Paolo Rossi/2. Cambiamo ogni volta. La Recita Di Versailles a Ivrea

Paolo Rossi e la sua lezione di teatro


Ne La Recita di Versailles Paolo Rossi canta la canzone di Gianmaria Testa La maschera di Arlecchino, di cui questo è il ritornello: “E’ tutta la vita / che abito un altro / e da tutta la vita mi chiedo / quell’altro chissà /se poi pensa di me”. Il 17 gennaio lo spettacolo è andato in scena alle Officine H di Ivrea e ha spiegato cosa vuol dire teatro. Con un fattore in più rispetto a tutte le altre date della tournée.
La Recita di Versailles è un lavoro a cura di Paolo Rossi e di Giampiero Solari, anche regista, ispirato al testo di Molière del 1663 L’Improvvisazione di Versailles. Sono inseriti tre estratti dalle opere del drammaturgo:  Il Misantropo, Il Tartufo e Il Malato Immaginario, per l’occasione tradotti e adattati da Stefano Massini, già autore del bellissimo Lehman Trilogy. Il testo rappresenta il momento in cui la compagnia di corte di Luigi XIV viene incaricata di mettere su in tutta fretta uno spettacolo per la sera stessa. Molière, interpretato da Rossi, è il capocomico e ha il compito di costruire la rappresentazione.
Il primo aspetto da considerare è che La Recita di Versailles è una lezione di teatro. Sul palco le operazioni sono intraprese senza perdere tempo e ciascun membro della compagnia è impegnato in quella che è una vera e propria prova, in un ragionamento sulle singole scelte, sul significato delle scene, sul rapporto con il copione. L’obiettivo del testo è quello di spiegare allo spettatore le dinamiche che stanno dietro a un’opera teatrale, è quello di ricordare che quello che avviene sul palco deriva dallo studio e dal pensiero di persone. Il teatro è una ricerca dell’idea da trasmettere e degli strumenti di cui servirsi per questo: dietro a quel cenno o a quel movimento che il pubblico vede c’è una scelta di chi ha progettato lo spettacolo.
Appunto perché viene spiegato il modo in cui nasce una scena, gli attori dei giorni nostri sul palco di Ivrea devono improvvisare. Se i personaggi del ‘600 per prepararsi inventano, Paolo Rossi presenterà una serata intesa allo stesso modo come una prova, in cui inventerà. La prova è un lungo momento in cui bisogna dare spazio a qualsiasi soluzione si pensi d’improvviso, a qualsiasi stratagemma scenico. L’abilità di un capocomico è quella di entrare nel testo, di trovare la soluzione per superare il momento in cui la scena è solo recitazione della parte e per raggiungere quello in cui essa diventa precisa, centrata, inimitabile. Sia per chi è alla regia sia per chi recita, l’avvio è improvvisare. L’attore guarda il palco, inizia a muoversi e nella sua mente si chiariscono idee, idee, che lui afferra e mette in scena, che magari mezz’ora dopo migliora o cancella. Molière porta alla corte del re uno spettacolo che nasce dall’invenzione frettolosa, Paolo Rossi porta a Ivrea uno spettacolo che nasce dall’improvvisazione e che è improvvisazione, su uno scheletro di base. Per questo il lavoro cambia ogni volta e ogni sera il risultato è diverso.
La persona dietro il personaggio, questa la chiave de La Recita di Versailles. Ma c’è di più: Rossi sin dall’inizio abbatte la quarta parete e si presenta come se stesso, nel monologo iniziale parla come Paolo Rossi. Dopo lo vedremo certo nei panni di Molière, ma dall’inizio si ricorda che sul palco c’è un uomo che si può incontrare per strada a Milano domani. Personaggio e attore coincidono, ogni personaggio assomiglia all’attore e ne presenta tratti comuni. Le descrizioni dello spettacolo associavano proprio Rossi e Molière, simili nella vita e nelle relazioni amorose, entrambi immersi nel mondo del teatro, entrambi individui che hanno fatto del teatro la risposta al potere. Del resto Rossi è lo stesso che ricevette la censura quando imitò Berlusconi, è lo stesso che recitò il Discorso di Pericle agli ateniesi. Il rapporto con il potere lo accomuna a Molière, insieme a molti altri tratti.
Tutto questo lo hanno visto a Bolzano, a Milano, a Napoli. A Ivrea il pubblico ha visto in scena un elemento in più: nei camerini delle Officine H mancava il riscaldamento e la compagnia è andata in scena senza costumi d’epoca. Rossi, la sua compagnia e i musicisti sono saliti sul palco in abiti quotidiani. Se nelle altre repliche sarebbe stato possibile concentrarsi sui personaggi, soltanto su di loro, ora con questo imprevisto si è stati obbligati a ricordare che davanti a noi c’erano Paolo Rossi, Lucia Vasini, Mario Sala, Emanuele Dell’Aquila e via dicendo. Il 17 gennaio siamo entrati nel teatro chiuso al pubblico in cui si provava La Recita di Versailles e abbiamo visto gli attori quando non avevano ancora gli abiti di scena, che finito il pomeriggio se ne sarebbero tornati a casa in macchina. Ci siamo intrufolati nelle prove come nessun altro pubblico, solo noi eporediesi abbiamo visto questo lato dello spettacolo. Rossi ha ricordato di continuo di avere freddo, ci ha giocato anche in spagnolo: “Dentro frio, frio”. Sulla performance ha detto: “So già che qui non ci chiamano più.”
Chi era presente si sarà sentito in imbarazzo per le condizioni della sala, ma qualcuno avrà anche ripensato a quello che è andato in scena. Paolo Rossi insegna a fare teatro come pochi altri perché sfonda in ogni direzione. Prende al volo ogni possibilità, utilizza diversi tipi diversi di comicità,  non sbaglia un colpo e ha un’ironia sfacciata, è un comico incredibile.
Gli spettatori erano moltissimi e pochi veramente entusiasti, ma qualcuno anche se lo tiene ancora per sé vorrà iniziare a fare teatro.

Elia Curzio