Carta, spago, fornelletto, ceralacca: cronache dal 2020 (d.C.)

Esame di maturità: la commissione.
Che fine ha fatto la “dematerializzazione”, che avrebbe reso la vita di tutti più semplice e il mondo anche più sicuro?

LA PLENARIA
Nella riunione “plenaria” emerge il problema dei problemi: l’accavallamento.
Ogni commissione è formata da due sottocommissioni, due classi di studenti da esaminare.
Essendo i commissari tutti interni all’istituto, è certo che qualcuno tra loro sarà impegnato in un’altra commissione, e organizzare un calendario che non preveda ubiquità non è un giochino da sprovveduti.
Per fortuna San Giuseppe da Copertino, protettore degli esami, provvede, pur essendo impresa assai complessa in una scuola di solito con 10-12 classi quinte: ci si affida così al presidente con la mente aritmetica, quello che, oltre a essere gentile, riesce a leggere numeri e tabelle e a spostare caselle come manco Spassky sulla scacchiera.
E rapidamente anche, perché proprio nella stessa riunione – tranne aggiornamento – si dovrebbe impostare l’attività delle prossime settimane, ci sarebbero poi da tenere i consigli delle rispettive classi, gli insegnanti di sostegno da nominare, da discutere i criteri di valutazione – non ultimi quelli di attribuzione dei “bonus” (punteggio ulteriore da assegnare ai più meritevoli), – da visionare e archiviare i materiali per le interrogazioni, controllare l’arredo delle aule affinché siano rispettate le norme sul distanziamento, infine stilare i verbali (tre il primo giorno: uno per la plenaria più uno per ogni classe).

I COLLOQUI
E i verbali da produrre nei giorni successivi saranno molti: il primo ore 7,30, predisposizione dei materiali (una paginetta), il secondo ore 14, tabelle con candidati esaminati e non – questi ultimi da barrare – (4 pagine), in mezzo una relazione per ogni studente con l’elenco delle domande, gli argomenti trattati, le discipline coinvolte, la valutazione assegnata dalla sottocommissione, unanimità o maggioranza (nel caso: perché maggioranza? con quali motivazioni?).
Una volta preso il ritmo, si suda e si va: verbale 1, relazione candidato n. 1, 2, 3, 4 e 5, verbale 2; così ogni dì, fino alla chiusura della prima classe.
Quindi del primo plico. Quindi della riproduzione cartacea. Una valanga di carta. Un mare di carta.

TANTA CARTA
– In una classe tipo (e fortunata) di soli 20 studenti, in quattro giorni di colloqui e una plenaria i verbali da stampare saranno 15, più uno di “consegna” materiale e chiavi: una trentina di fogli;
– per ogni colloquio l’applicativo “Commissione web”, creato appositamente dal MIUR per la maturità e nel quale ogni sezione dell’esame è registrata e salvata, ha prodotto una scheda-candidato composta di due fogli (dati anagrafici dello studente, crediti accumulati nel triennio, voto di ammissione e d’esame, valutazione globale con eventuale bonus), ciascuna delle quali verrà stampata in doppia copia: una da inserire nel “plico”, l’altra da consegnare in segreteria: dunque 20×2=40 schede di due fogli ciascuna (80 fogli);
in duplice copia saranno stampati anche:
– l’albo degli esiti (2×2=4 fogli) e
– il registro degli esiti (1×2=2);
in copia unica invece, oltre a tutti i verbali:
– per ogni studente una griglia (già fornita dal Ministero e compilata al termine di ogni interrogazione) con i criteri in base ai quali si è deliberata la valutazione (20 pagine);
– gli elenchi con le firme di tutti i candidati (4);
– le fotocopie del materiale utilizzato dai commissari per l’interrogazione (diciamo 40: nel caso sia stata utilizzata la LIM, bisognerà stamparlo);
– le nomine e le dichiarazioni dei commissari che: non sono ammalati, non sono sottoposti a procedimenti penali, sono esenti da conflitti di interesse poiché né parenti né insegnanti privati degli alunni esaminati (28, se la commissione è di 6 più il presidente), alla faccia della fiducia cieca nei propri dipendenti.

LA CERIMONIA DELLA CERALACCA
Con tutta questa roba, 200 fogli mal contati, ci si fa un pacco, carta e spago, da sigillare con due-tre timbri di ceralacca (se sono due o tre o di più va riportato, firmato e controfirmato, sull’ultimo verbale, quello extra-plico).
E quella è una specie di cerimonia ma anche una piccola gara goliardica nel bel mezzo dell’assurdo: a chi farà il timbro più bello, quello più pulito nel quale il logo dell’istituto risalterà nitidamente, a chi insomma riprodurrà più abilmente una pratica dei secoli andati (ideale sarebbe l’anello cardinalizio).
Fornelletto, oppure semplicemente candela e mestolino (chi ha da accendere?) per sciogliere la ceralacca e poi via, che la gara abbia inizio.

DUBBI E PERPLESSITÀ
Concluso il gioco ed eletto il migliore, prima di attaccare con l’altra classe i dubbi si affastellano.
Intanto presiedere gli esami non regala sonni tranquilli: c’è sempre un’incertezza, il sospetto di aver tralasciato un verbale importante, di aver dimenticato una comunicazione fondamentale, omesso un passaggio essenziale, ignorato una dichiarazione obbligatoria, una postilla, un comma, un punto e virgola.
Dai pensieri emerge poi un ricordo: la “dematerializzazione”, che – si strombazzava ai quattro venti – avrebbe reso la vita di tutti più semplice e il mondo anche più sicuro (considerato pure che nulla di tutto ciò risulta essere ignifugo).
E’ del 2006 l’entrata in vigore del CAD (Codice dell’Amministrazione Digitale) in cui si annuncia la rilevanza giuridica degli atti realizzati non più su carta ma su supporti informatici. CAD che da allora ha subito ben 29 aggiornamenti, sempre in funzione di una maggiore semplificazione.
Ed eccoci, a 14 anni da quella “rivoluzione digitale”: fogli su fogli su fogli, stampati, firmati, impilati, impacchettati, ceralaccati.
Ci vorrà il coraggio di qualcuno, o l’insofferenza di tanti, e forse passeranno 20 anni ancora.
Nel frattempo, meglio conservare fornelletti e scorte di ceralacca. E pregare che sempre qualcuno abbia da accendere.

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