…che Dio perdona a tutti. Il primo romanzo di Pif

“Molto credente, tanto che aveva imposto a tutte le agenzie di appendere il crocifisso. Era convinto che sarebbero aumentate le vendite”
Domenica 16 dicembre nella sala Santa Marta di Ivrea, a cura della Galleria del libro, si è tenuta la presentazione di …che Dio perdona a tutti, primo romanzo di Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, meglio conosciuto come regista e conduttore e noto soprattutto per i suoi film tra cui il lungometraggio La mafia uccide solo d’estate, grande successo di critica e pubblico.
Il libro si apre con due citazioni: Facciamo un mestiere diverso da quello della Chiesa, di Angelino Alfano; e Il vescovo fa il vescovo e non rompe le palle ai sindaci e a chi amministra le sue città di Matteo Salvini. E’ presente dell’ipocrisia in queste ultime parole; dopo la polemica sulla conquista dell’affissione del crocifisso nei luoghi pubblici, si incitano e si invitano i funzionari ecclesiastici a rimanere nelle proprie posizioni senza intervenire riguardo l’attività politica corrente. Professare il cattolicesimo fedelmente, coscienziosamente, è estremamente difficile. In Italia spesso si vanta un’educazione cristiana, improntata e plasmata dai giusti valori della legge morale dettati dall’omelia, ma nella realtà fattuale la corrispondenza con i comportamenti ideali non viene soddisfatta.
Arturo, il protagonista, al fine di conquistare il cuore di Flora, sua amata fermamente cattolica, decide di praticare ed essere un vero credente per tre settimane. La decisione presa come influenzerà la quotidianità e la qualità della sua vita? E il suo lavoro di agente immobiliare? Come dirà la verità sui difetti delle case da affittare?
La sua scelta condiziona integralmente le giornate di quelle tre settimane, intaccando anche il rapporto con Flora. Lei è ciò che lo scrittore definisce una ‘classica credente borghese’. Rientrano nella categoria gli individui che, banalmente detto, ‘predicano bene ma razzolano male’. Chi si fa portavoce e paladino della vera e propria fede, assumendo un congruo comportamento solo se conveniente; evitando di ammettere colpe o assumere responsabilità. Se dovessimo davvero trattare il prossimo come noi stessi sarebbe estremamente complicato. L’uomo compie azioni solo in vista di un ritorno, uno scambio; nessuno agisce unicamente per gli altri afferma Pif. Lo scopo del romanzo vuole infatti essere la dimostrazione della veridicità di tale affermazione. Dichiarazione cardine del libro, che Arturo ripete a intermittenza.
Il protagonista, mettendo in pratica i dovuti insegnamenti, davanti alla disapprovazione altrui, tenta invano di convincerli e mostrare loro l’errore e l’incoerenza delle azioni commesse di fronte agli insegnamenti di Dio. Tuttavia, ai loro occhi, egli viene dipinto come ‘cristiano estremista’, esagerato, ai limiti del sopportabile; e ogni azione viene definita bizzarra, incongruente con la situazione, fuori luogo. Ne è un chiaro esempio la riunione del club del padre di Flora dove, giunto il momento di eleggere la causa in cui impegnare i soldi della beneficenza, viene prontamente omesso dai membri dell’associazione il punto ‘accoglienza migranti’; e Arturo, facendolo presente, viene invitato ad allontanarsi dalla sala. Al termine delle tre settimane egli rimane solo, perde il lavoro, l’amore, gli amici.
Il romanzo è un’ottima occasione per confrontarsi e interrogarsi sulla veridicità della propria fede, da leggere soprattutto se credenti e praticanti. Il vivere la fede è portato ad una crisi. Ragiona sull’ipocrisia di molti di vivere cristianamente, chiunque dovrebbe sentirsi capace di donare, di aiutare; quando in verità la bontà avviene in modo fittizio. La provocazione che salta fuori è che tutti possiamo essere San Francesco, rinunciare alle possessioni per dedicarsi all’alterità; tutti possiamo essere martiri, tuttavia la società pragmatica in cui viviamo e lo spirito di autoconservazione rendono impervio il percorso. Perché si può fare? Perché non si può? Che cosa significa avere effettivamente fede?
Lo stesso titolo lancia la provocazione. Non è altro che la fine del detto siciliano ‘futti futti che Dio perdona a tutti’, frega il prossimo e pentiti in punto di morte che Dio ti perdona. E’ l’erroneo pensiero del vivere il Cristianesimo, ma è alla base di gran parte del comportamento della società, e spesso celato. Il libro non è giudicante, ma attraverso la scrittura ironica e ben costruita riesce nell’intento di divertire e far riflettere allo stesso tempo.

Annalisa Mecchia