Ciao Amos, che adesso voli davvero

E’ mancato, all’età di 96 anni, Amos Messori, partigiano D’Artagnan

Amos Messori, partigiano D’Artagnan, avrebbe compiuto 96 anni il prossimo febbraio. La sua morte quindi non è di certo di quelle che giungono inaspettate, impreviste, come un fulmine a ciel sereno. Eppure quando sul mio cellulare è comparsa una chiamata in arrivo e il nome di sua figlia Paola io mi sono sorpresa a pensare che fossero gli auguri di buon anno che non eravamo riuscite ancora a scambiarci. E mi è rimasto un dolore sordo che non so quando se ne andrà. Avevo conosciuto Amos quasi vent’anni fa quando con un gruppo di compagni avevamo provato a mettere insieme uno spettacolo teatrale che narrasse le vicende della Resistenza in Canavese. “Oltre il Ponte” andò in scena al Castello di Ivrea nel 2004 e da allora le repliche non sono mai del tutto terminate. Il “Ponte” era quello ferroviario di Ivrea, strategico per il trasporto di materiale bellico dalla Cogne di Aosta in Germania, che Amos e il suo comandante Alimiro (Mario Pelizzari), insieme al loro gruppo, fecero saltare nella notte del 23 dicembre 1944 per evitare il bombardamento deciso dagli Alleati. Un’azione, quella degli americani, che avrebbe giocoforza sacrificato vittime tra i civili: impensabile, per un uomo come Alimiro. E così, con quell’operazione di “ingegneria partigiana”, con quattro schizzi immaginati guardando una cartolina D’Artagnan e il suo comandante minarono il ponte lavorando tre ore al buio senza scambiarsi una parola.

Amos era di Correggio e a Ivrea l’aveva portato l’otto settembre. Appassionata da sempre al tema della Resistenza mi incuriosiva la storia di ragazzi come lui che, non mossi da un particolare credo politico o religioso, avevano messo in gioco la loro vita perché il Paese uscisse dalla barbarie fascista e nazista. “Sapevamo di voler combattere i tedeschi e i fascisti, tutto qui”, mi racconterà qualche anno dopo quando inizierò una lunga frequentazione di casa sua e conoscerò Lilia, sua moglie e memoria vivente.
Da quei lunedì mattina nell’elegante abitazione di via San Nazario, da quei caffè, da quei cioccolatini, da una quantità incredibile di nastri registrati prenderà vita la sua biografia “Il ragazzo che sognava di volare”, che pubblicai nel 2010.
Amos era un uomo in cui la dolcezza e la testardaggine convivevano occupando ciascuna la stessa quantità di spazio, in un’alchimia che aveva del miracoloso. A un’età, vent’anni, in cui la morte non esiste, ragazzi e ragazze come Amos fecero una scelta. E scelsero da che parte stare. E ogni mattina di quei venti mesi la rinnovarono. Senza confondere i morti con i morti, perché avevano imparato a distinguere i vivi dai vivi.
Pensando a questo riesco a dare un nome al mio dolore. E’ rabbia. Per aver lasciato passare senza fermare, per aver trascurato, sottovalutato, tollerato. Loro sapevano di “voler combattere i fascisti”. Tutto qui. Noi stiamo permettendo loro di tornare. Ecco perché ci mancherai, D’Artagnan.

Simonetta Valenti

Il saluto dell’ANPI di Ivrea e Basso Canavese