Come ti costruisco un terrorista

Grandi titoli sull’espulsione del detenuto nel carcere di Ivrea: “terrorista e leader della rivolta nel carcere eporediese”. Ma è tutto completamente falso! Lo svela in modo puntuale una lettera del Procuratore della Repubblica di Torino, Armando Spataro. Ma chi ha generato questa bufala e perché?

“Sgozzerò americani e inglesi, 38enne espulso. Lo comunica il Viminale. L’uomo, marocchino, era stato monitorato in carcere a Ivrea dove nel 2014 aveva guidato le intemperanze di un gruppo di stranieri minacciando di realizzare un’azione ostile in città…(La Sentinella).

“IVREA. Terrorismo: espulso marocchino radicalizzato in carcere” (La Voce).

“Aveva guidato la rivolta nel carcere di Ivrea: presunto terrorista espulso dall’Italia
È un detenuto marocchino di 38 anni: “Voglio sgozzare americani e inglesi” Con un volo diretto a Casablanca, un cittadino marocchino di 38 anni, già detenuto ma per reati comuni, è stato espulso dal territorio nazionale a seguito di «approfondite attività investigative», come riferisce il Viminale in una nota diffusa in giornata. (La Stampa)

Di vero c’è solo il nome del detenuto e il fatto che è stato espulso dall’Italia. Tutto il resto è falso!
Lo spiega dettagliatamente il Procuratore della Repubblica di Torino, Armando Spataro, in una lettera (vedi l’immagine) al direttore del quotidiano La Stampa.
Spataro, chiarisce punto per punto che “le cose stanno diversamente” perché Said Mbejetate, il marocchino detenuto a Ivrea espulso, era in Italia dal 1996 e“non è mai stato imputato per fatti di terrorismo né per aver capeggiato rivolte in carcere, ma è stato condannato a 11 anni di reclusione per traffico di stupefacenti (di cui solo due ancora da espiare)”. Dunque, aggiunge il Procuratore di Torino, “Mbejetate non era certo un ‘santo’ ed era anzi un delinquente, ma non era certo un terrorista, tanto vero che la sua espulsione non è stata decisa affatto dal Viminale, ma disposta dal Magistrato di Sorveglianza di Vercelli, quale sanzione sostitutiva della detenzione, con provvedimento datato 22/12/2016, vietato per i condannati per terrorismo, come la legge ordinaria prevede”.
Infine, Spataro ricorda quanto sia necessario “evitare enfatizzazioni e imprecisioni, idonee solo a diffondere terrore nei cittadini fino a convincerli, come scriveva Zygmunt Baumann recentemente scomparso, che in nome della sicurezza si possa rinunciare a una parte dei propri diritti. Ed è chiaro che mi riferisco anche a un altro tipo di informazioni che spesso circola senza verifica alcuna, prima fra tutte quelle secondo cui i terroristi arriverebbero via mare insieme agli immigrati disperati (…)”.

La lettera del Procuratore della Repubblica di Torino. Clicca per ingrandire

Ma ciò che risulta ancora più preoccupante per lo stato dell’informazione nel nostro paese, è quanto emerge dalla breve replica (firmata L. Fer.) del quotidiano torinese, nella quale, nel prendere atto delle osservazioni del procuratore della Repubblica, si precisa che “il lavoro dei nostri cronisti si è svolto prendendo spunto da una nota stampa del ministero dell’Interno”.
Ora, se questo è vero, vuol dire che l’opera di disinformazione e di “diffusione del terrore” viene dall’alto, addirittura dal ministero dell’Interno che lancia la “notizia”, lasciando poi il “lavoro sporco” ai giornalisti, proverbialmente più propensi a “sensazionalizzare” e assecondare i luoghi comuni (fino alle leggende metropolitane) che a cercare di scavare e verificare la realtà dei fatti.
In questo caso la lettera del Procuratore torinese (per quanto relegata in taglio basso a pagina 49 de La Stampa del 28 gennaio con il titolo “Spataro: le enfatizzazioni diffondono il terrore”) ha rotto (o almeno ha cercato di rompere) il “giochino” della disinformazione, ma in quanti altri casi questo invece ha funzionato e funziona senza ostacolo alcuno?
Anni fa questo giornale ospitava la rubrica “Osservatorio sull’informazione” nella quale un piccolo gruppo di giovani denunciava i falsi, le deformazioni di alcune “notizie” pubblicate su diversi giornali (varieventuali compreso) e analizzava i meccanismi e gli scopi (chiari e nascosti) con i quali queste venivano “confezionate” o addirittura costruite. Oggi, con la mole di fonti e strumenti di informazione in circolazione, forse risulterebbe più difficile, ma certamente sarebbe più che mai utile e necessario. E, se qualcuno volesse riprendere quell’esperienza, troverebbe certamente spazio su questo giornale (e magari anche su altri).

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