Da Manital alla brace

Dopo le commesse private Manital perde piano piano gli appalti pubblici. Ultimo in ordine di tempo quello dell’Inps. Ma i lavoratori non hanno avuto il tempo di gioire per il passaggio da Manital ad altra azienda perché l’Inps ha emesso bandi capestro con ribassi fino al 48%. Dimezzati orari di lavoro e retribuzioni.

Con la crisi Manital esplosa nel 2019, i lavoratori e le lavoratrici del gruppo sono rimasti senza stipendio per mesi e la maggior parte di loro deve tutt’ora ricevere quanto dovuto (fino a tre mesi di stipendio e il Tfr chi si è licenziato). E’ andata un po’ meglio solo a quei dipendenti che lavorando presso pubbliche amministrazioni sono stati pagati da queste in surroga, come è accaduto alle addette alle pulizie (per lo più sono donne) delle sedi Inps. L’Istituto, dopo le prime difficoltà burocratiche e qualche ritardo, ha infatti anticipato direttamente ai lavoratori il pagamento degli stipendi. La surroga però si è interrotta a novembre subito dopo il cambio di proprietà da Cimadom alla IGI Investimenti di Giuseppe Incarnato a fine ottobre 2019. Dopo la vendita infatti la situazione si è tutt’altro che normalizzata, anzi, vi sono ombre, denunce e contro-denunce su questo passaggio e la crisi finanziaria si è acutizzata fino ad arrivare alla dichiarazione di insolvenza emessa dal Tribunale di Torino il 4 febbraio scorso. Delle sorti di Manital si avrà un’idea nella prima udienza sullo stato passivo che si terrà  il 9 luglio davanti al giudice Stefano Miglietta che analizzerà il rendiconto presentato dai commissari straordinari per definire i prossimi passi (amministrazione straordinaria per arrivare alla gara di vendita della società, fallimento, concordato preventivo). Difficilmente sarà un’udienza risolutiva, ma l’esito sarà comunque significativo per comprendere la reale situazione finanziaria dell’azienda e quali prospettive per i lavoratori ancora in forza nell’azienda.

Bandi al ribasso, banditi al rialzo

Dopo la proroga di sei mesi concessa a Manital (ultima scadenza 30/6/2020) l’Inps ha emesso un nuovo bando per il Piemonte diviso in 5 lotti (Torino e provincia, due lotti, più un lotto ciascuna per le province di Vercelli, Novara e Biella). L’appalto è stato vinto da 4 imprese, tra le quali 2 cooperative multiservice in associazione temporanea di impresa, una società di facility management, la Dussman Italia (consociata di un gruppo internazionale) e la società di servizi Morelli Service.
Non appena sono iniziate a trapelare le condizioni del nuovo bando, le lavoratrici e i lavoratori coinvolti hanno subito capito che stava accadendo quello che temevano: cadere dalla padella Manital alla brace dei bandi al ribasso.
Il bando emesso dall’Inps prevede infatti riduzioni dei servizi fino al 48%. Le conseguenze di questo drastico ribasso ricadono naturalmente tutte sui lavoratori che si sono visti tagliare pesantemente l’orario di lavoro, già molto ridotto (c’erano part time anche al di sotto delle 20 ore settimanali).  Il taglio medio dell’orario è del 40%. I contratti da 30 ore settimanali sono stati ridotti a 17,5. Chi lavorava 17,5 ore a settimana ne lavorerà 10,50 andando sotto il minimo contrattuale che è di 14 ore. Ma il peggio è che chi era già sotto il minimo ha avuto ugualmente un taglio da 12,5 a 7,5 (è il caso delle 4 addette alle pulizie della sede Inps di Ivrea) e da 7,5 a 5 ore settimanali. Un massacro sociale, perché naturalmente la riduzione di orario si porta dietro un drastico taglio degli stipendi: chi guadagnava ad esempio 550 euro mensili con il nuovo appalto ne prenderà circa 300. Siamo di fronte a condizioni intollerabili, giustamente vissute come una profonda ingiustizia, un macigno che pesa sulle lavoratrici, molte delle quali lavorano per l’Inps da 20-30 anni, praticamente sono parte dell’organico dell’Istituto (anche su questo ci sarebbe da ridire, i servizi “organici” vanno internalizzati). Ed oggi si vedono trattate come una qualsiasi merce, come i detersivi che usano, sui quali si tira sul prezzo.

Le lavoratrici non ci stanno. La protesta davanti la sede regionale dell’Inps a Torino.

La reazione dei lavoratori e delle lavoratrici è stata immediata, un’esplosione di rabbia: “è in gioco la nostra sopravvivenza!” Lunedì 29 maggio c’è stato davanti alla sede regionale dell’Inps in via dell’Arcivescovado a Torino un presidio-assemblea molto partecipato sostenuto unitariamente dalle organizzazioni sindacali confederali e di base. Una delegazione di lavoratori è stata ricevuta dall’Inps che ha motivato la riduzione dei servizi con la necessità di far risparmiare la pubblica amministrazione e ottimizzare il servizio. La pubblica amministrazione vuole dunque fare risparmi sulla pelle dei lavoratori? E da quando riducendo le ore di lavoro si ottimizza un servizio? «Un paradosso, un controsenso l’Istituto di previdenza per risparmiare lo fa su chi lavora in casa propria creando povertà e a chi si licenzierà dovrà magari pagare la Naspi o il reddito di cittadinanza!», osserva acutamente una lavoratrice.
«Le lavoratrici e i lavoratori dell’appalto pulizie delle sedi INPS del Piemonte sono all’esasperazione! – denunciano le Segreterie Regionali del Piemonte Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e UilTrasporti – Non bastavano i problemi creati dalla Società Manitalidea che per mesi non ha pagato stipendi, ad aggravare la condizione delle lavoratrici. Denunciamo responsabilità precise in capo alle Società e al committente INPS. Senza tener conto di tutti i servizi che da mesi le lavoratrici, con grande senso di responsabilità, stanno garantendo per il rispetto di tutte condizioni di sicurezza sanitaria e di sanificazione legate all’emergenza COVID19. Tutto questo a garanzia della salute dei cittadini e della comunità. I lavoratori non devono pagare il prezzo di tagli e riduzioni.». Sono circa 75 lavoratrici e lavoratori che vedranno drasticamente peggiorare le loro condizioni rischiando di far crollare una già critica situazione economica e creando ulteriore emergenza sociale nella nostra Regione. Da parte sua l’Inps, come unica concessione, ha dichiarato genericamente, senza alcun impegno formale, di cercare per il futuro di integrare qualche servizio in più. Un comportamento da respingere che dovrà essere portato a livelli di discussione nazionali in sede governativa, perché se è condannabile lo sfruttamento dell’impresa privata, quello pubblico lo è doppiamente, contrario ai diritti costituzionali del lavoratore. “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.” (art. 36). Trecento euro al mese possono garantire un’esistenza libera e dignitosa? Risponda l’Inps. Rispondano gli operatori che hanno accettato, se non proposto, un ribasso del genere consapevoli che tanto sarebbe stato scaricato tutto sui lavoratori.

La consapevolezza di essere in piena condizione di sfruttamento, l’esasperazione, la disperazione, mantiene uniti e determinati a lottare per un lavoro giusto le lavoratrici e i lavoratori. Le organizzazioni sindacali hanno aperto la procedura di raffreddamento prevista dalla legge 146 per i servizi pubblici essenziali ed è stato proclamato lo stato di agitazione. E’ anche stato chiesto un incontro in Prefettura. Se tra Inps e società non vi sarà la volontà di arrivare ad un accordo per condizioni di lavoro dignitose, la protesta andrà avanti con nuove mobilitazioni fino allo sciopero.

Tra un bonus e l’altro il governo non deve dimenticare i lavoratori poveri

Le lotte come quelle delle lavoratrici delle pulizie per il salario minimo non dovrebbero esistere in un paese civile. Non dovrebbero esserci appalti al ribasso per manciate di ore e stipendi da fame per servizi continuativi, svolti da lavoratori esterni sfruttati da piccole e grandi società o cooperative di servizi a loro volta strozzate da capitolati “schiavizzanti”. Altro che appalti sempre più agili! Il Governo si deve concentrare su queste (e simili) aberrazioni del mondo del lavoro sempre più frammentato e precario, operando per eliminarle, a maggior ragione nel pubblico.
Non servono bonus bicicletta, monopattino, vacanze, baby sitter, … serve lavoro, pagato giustamente. Come Costituzione e dignità richiedono.

Cadigia Perini