È giorno di vento

È giorno di vento, preludio al cambiamento.
Si sbriciolano le persiane incrostate sbattendo contro gli antichi muri delle palazzine da intonacare, le poche foglie rimaste, secche ed avvizzite, piroettano sul viale come ballerine sotto effetto di allucinogeni o medicinali scaduti; un cinquantenne tiene stretto il suo parrucchino color fumo di Londra: il suo piccolo grande investimento rateizzato per sentirsi ancora il fuoco dentro. Le lenzuola stagliano il blu del cielo, e in condizioni simili pare si possano ammainare le vele, pur sapendo che per qualcuno il vento tira a favore e per qualcun altro no. Si colgono occasioni al volo e si perdono opportunità in nanosecondi.
Ed è subito vento dentro di noi, giovani dalle speranze masticate dai giganti.
L’inquietudine come stagione, come moto perpetuo, come assioma saldamente consolidato.
Siamo come cani dalla pancia piena; brancoliamo chiusi in una chiesa pronti a prendere un bel calcio in culo da tutti: prete, parrocchiani, pie donne e mendicanti.
A noi è sufficiente recitare un mantra per spostare le montagne. O così crediamo.
Dio è risorto; in compenso sono morti i miti, la sensibilità e le belle storielle.
Avvelenati dal successo facile e dal lusso dell’ozio.
Inabili, muti scribacchini da cellulare, educati a prospettive piatte, nel pieno timore di non provare per non uscirne “sconfitti”.
Un esemplare ritorno alla caverna platonica.
Infelici e felici di esserlo. Felici ed infelici di esserlo.
Riversiamo il nostro malessere sugli altri, vomitando scuse ed accuse, accuse e scuse.
In un 2017 che sta cadendo a pezzi, portato via come i residui sbriciolati delle persiane, è opportuno fare un salto nel passato, per costruire un nuovo futuro.

-1967 esce VOLUME I, primo album registrato in studio da Fabrizio De André. Tra le 10 tracce proposte spicca un notevole brano dall’innaturale sensibilità: Bocca di rosa. Coraggioso fin da subito Fabrizio; senza il timore d’essere giudicato, caratteristica d’altronde emblematica del cantautore in dicotomia tra borghesia e proletariato. Narrare di prostitute, di sesso e di bigottismo sociale non è certamente come farlo oggi, 50 ANNI DOPO, nonostante certi temi possano essere ancor soggetti a censura e creare chiaro sconcerto generale. Bocca di rosa è in grado di mischiare gendarmi, preti, perpetue e compaesani dal bell’aspetto sullo stesso piano; è in grado di conferire dignità e credibilità a quello che è il mestiere più vecchio del mondo; facendo passare una puttana quasi come una regina.

-1977 esce COM’E’ PROFONDO IL MARE, settimo album in studio di Lucio Dalla, che lo consacrerà nell’olimpo dei cantautori immortali e leggendari della musica italiana. Com’è profondo il mare è un album sensazionale, ostico da recensire o presentare perché parla da sé. E l’omonimo singolo sembra essere precipitato da un altro pianeta, destinato a cambiare non solo il cantautorato ma anche la musica pop. Stiamo parlando di 40 ANNI FA!
“Certo, chi comanda
Non è disposto a fare distinzioni poetiche
Il pensiero come l’oceano
Non lo puoi bloccare
Non lo puoi recintare
Così stanno bruciando il mare
Così stanno uccidendo il mare
Così stanno umiliando il mare
Così stanno piegando il mare”

-1987 vede luce Signora Bovary, di Francesco Guccini, riprendendo il titolo dal romanzo del francese Gustave Flaubert. Guccini ormai è famoso, cavalca l’onda del poeta-non poeta, del cantastorie burbero. Questo è il tredicesimo album, dal quale viene partorita una chicca ancora forse nascosta a molti: Van Loon.
Van Loon, per chi ancora non lo sapesse, era un olandese, divulgatore di storia, geografia e umanità (una sorta di Piero Angela degli anni 30). I suoi scritti, raccontò Guccini, sono nelle case di tutti ma soprattutto di chi, come suo padre, non aveva avuto soldi e l’opportunità per studiare. La canzone è intensissima, tanto che lo stesso Francesco non l’ha mai proposta live per paura di scoppiare in lacrime. In questa canzone Van Loon rappresenta tutti i padri della generazione passata, e come ben si sa, in piena ribellione adolescenziale, la famiglia rappresenta quel che non si vuol essere, partendo dal padre (visto come il punto forte da scardinare). Quando sei giovane pensi che siano una generazione fatta di perdenti, di stupidi, di commiserevoli esseri che si accontentano del loro lavoretto, della loro macchinina e delle loro vacanzine al mare. Solo crescendo capisci che nessuno è un perdente, semplicemente è costretto a vivere cosi. E le loro sconfitte diventano poi le nostre sconfitte, e lo stesso vale per le vittorie. QUESTO, 30 ANNI FA!

Cosa lega questi tre dischi? Questi tre artisti a tratti schivi, a tratti malvisti dal perbenismo e dalla rettitudine della casta?
LA SENSIBILITA’.
Ne siamo scarni, sprovvisti.
Non allunghiamo la mano al prossimo neanche per obbligo, abbiamo imparato a diseducarci, ad essere in continuo conflitto.
Le poche anime sensibili vedono spegnersi ora per ora.
Siamo giovani è vero, ma è tempo di afferrare le redini di questo sfacelo. Non ci sono più né De André, né Lucio Dalla; e non possiamo parlare sempre e solo di loro per gli anni a venire.
E, in un giorno di vento, non c’è miglior cosa che spazzare via questi vecchi nuvoloni grigi.
In un 2017 da salutare ed un 2018 da accogliere con un sorriso di sfida.

Riccardo Bonsanto