Economia Civile versus Economia Politica

Nella tre giorni eporediese del “Quinto Ampliamento” interventi ed esperienze di “buone pratiche”, ma a cosa può servire in un mondo dominato dalla finanza?

Pubblico variegato alle “Conversazioni sull’economia civile” svolte il 29 e 30 settembre (e la chiusura della manifestazione domenica primo ottobre con la “passeggiata formativa nell’Atene degli anni Cinquanta”) nell’Officina H di Ivrea (allestita come nell’aprile scorso per SUM #01 di Casaleggio): amministratori, politici e pubblico degli eventi culturali importanti insieme a imprenditori, commercialisti e manager.
Pausa pranzo!” era l’accattivante titolo di questa inaugurazione del percorso di promozione dell’economia civile che si propone di sviluppare l’associazione “Il Quinto Ampliamento”, un nome che nasce da “una sorta di quinto ampliamento” a cui pensava Adriano Olivetti, secondo Stefano Zamagni (presidente dell’associazione), immaginando “l’impresa come agente di trasformazione, non solo della sfera economica, ma anche di quella sociale e civile della società”. E da dove poteva partire se non da Ivrea, e da un ex officina Olivetti, il cammino di un’associazione che prende questo nome e che, nel suo statuto, si pone come obbiettivo “un nuovo modello di fare impresa basato sui principi dell’economia civile”?

Con una composizione insolita di soci fondatori (Confindustria Canavese, Legambiente Italia, Fondazione Adriano Olivetti,  Message, Aida Partners Ogilvy PR, Pubblico-08, Mercatino, Sabox, AEG cooperativa), “Il Quinto Ampliamento” si definisce “un movimento di pensiero che intende promuovere un rinnovato modello di impresa, il quale ponga al centro della propria azione la crescita della persona e uno sviluppo sostenibile ed equilibrato”. E, mentre riconosce il carattere sistemico della crisi economica attuale, osserva che “i semi non germogliano su terreni trascurati, le imprese non fioriscono su territori impoveriti da diseguaglianze, divisioni, disincanto”.

Tra i tanti interventi di manager, economisti, presidenti di società o di fondazioni, imprenditori e giornalisti, in apertura dei lavori pomeridiani di venerdì 29 settembre quello del presidente dell’associazione, Stefano Zamagni (professore di Economia Politica all’Università di Bologna, accademico di lungo corso e dal 2013 membro della Pontificia Accademia delle Scienze su nomina di Papa Francesco). Più che un intervento una lectio magistralis sull’economia civile, la cui «prima facoltà nel mondo è aperta nel 1753 presso l’Università di Napoli con Antonio Genovesi e qualche anno dopo si sviluppa anche a Milano con Pietro Verri. E’ solo più tardi, nel 1776, che Adam Smith uscirà con la sua “Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni” e passerà come “padre dell’economia politica”».
Ma che differenza c’è tra economia politica e civile? «Entrambe sembrano avere la stessa radice, la prima dal greco “polis”, la seconda dal latino “civitas”, ma già in questo c’è differenza: la polis greca tendeva all’esclusione (donne, analfabeti e privi di censo non partecipavano), la civitas romana era inclusiva (i popoli conquistati diventavano romani)». Ma al di là della radice della definizione, spiega Zamagni, «mentre l’economia civile sostiene che l’imprenditore è l’agente trasformatore della realtà, l’economia politica lo riduce a soggetto che cerca la massimizzazione del profitto, sottovalutando l’imprenditore e la sua funzione. Il paradigma dell’economia politica – aggiunge il professore – si basa su due gambe: mercato e stato, mentre l’economia civile su tre perché considera anche la società civile organizzata».
Riferendosi poi alla situazione attuale Zamagni rileva come «l’aumento endemico delle diseguaglianze sia un problema economico, perché il mercato si inceppa e la redistribuzione da parte dello stato non funziona». Non mancano nell’intervento i richiami anche alla questione ecologica che il sistema economico oggi dominante pone, al populismo «nemico dichiarato della libertà» e al terzo paradigma economico, quello marxiano del quale – dirà en passant il professore – «non  parliamo perché non c’è più».

Tanti gli interventi successivi: sulla cultura del giornalista Antonio Calabrò (Fondazione Pirelli e Assolombarda), sulla competitività di Luca Vignaga (Gruppo Marzotto), sulla finanza di Giulio Pasi (Commissione Europea), su Ivrea e la Silicon Valley di Paolo Marenco (Silicon Valley Study Tour), sui manager di Marcella Mallen (di Prioritalia). Particolarmente interessante, per le esperienze illustrate, l’incontro con le imprese, “Prove di Quinto Ampliamento”, con gli interventi di Paride Saleri (OMB Saleri spa di Brescia), Norberto Patrignani (per il Gruppo Loccioni nelle Marche), Nevina Satta (Italian Film Commission) e del presidente di Mercatino.

Alla sera di venerdì lo spettacolo “Direction Home. Storia di Adriano Olivetti” realizzato da Le Voci del Tempo, mentre sabato il titolo “Pausa Pranzo” è diventato anche l’oggetto degli interventi e degli incontri al mattino con la domanda “Può una mensa darsi dei fini?” e al pomeriggio con l’esplorazione delle “infinite opportunità di cibo e impresa”.

Un dubbio, qualche preoccupazione e una domanda.
Fortemente connotato da interventi di imprenditori e manager, con qualche cameo di Legambiente, Slow Food e CISL, questo primo evento organizzato dal Quinto Ampliamento, al di là delle intenzioni, lascia poco trasparire il ruolo della “società civile organizzata”. E nella “ricerca di nuove direzioni” perché “la crisi economica attuale rivela in modo sempre più chiaro, anche a livello internazionale, il suo carattere sistemico”, appare poco credibile e fondata sulla sabbia l’ipotesi che tali nuove direzioni si possano trovare semplicemente “formando” gli imprenditori e convincendoli (anche con esperienze di buone pratiche) che è più lungimirante, intelligente e soddisfacente fare impresa in modo diverso dalla ossessiva “ricerca della massimizzazione del profitto”.

Qualche preoccupazione sorge poi per l’esaltazione dell’imprenditore che diventa “agente di trasformazione, non solo della sfera economica”, perché di imprenditori che “sono scesi in campo” per gestire “l’azienda Paese” ne abbiamo visti e ne vediamo da un quarto di secolo e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. E non sarebbe diverso il risultato se a qualcuno, seppur sotto la “bandiera dell’economia civile” e del richiamo alla “Comunità di Adriano”, venisse in mente di “scendere in campo” sul terreno locale.

Infine una domanda: a cosa è dovuto il successo straordinario, mediatico e di immagine, che riscuotono in questi ultimi anni Adriano Olivetti e l’esperienza olivettiana?
Ad aprile, nella stessa Officina H utilizzata in questi giorni dal Quinto Ampliamento, Davide Casaleggio con il suo SUM #01 avviava l’operazione di creazione del profilo di governo del Movimento 5 Stelle e, in questo quadro, grazie anche all’assist della Fondazione Olivetti in quella sede, accomunava il suo movimento all’esperienza olivettiana. Un modo per tranquillizzare il sistema economico e sociale dominante sull’affidabilità del M5S, offrendo nello stesso tempo ai militanti e agli elettori la prospettiva del “capitalismo dal volto umano”.
Ma se Adriano e l’esperienza olivettiana sono negli ultimi anni tanto richiamati, usati, esibiti e talvolta mitizzati, non sarà perché il capitalismo in crisi di sistema cerca una via d’uscita e ricorre al proprio “Albo d’oro” per trovare una faccia e un’esperienza presentabili? Poco importa che sia una possibilità realmente praticabile oggi, da un capitalismo finanziario che è profondamente diverso da quello industriale e familiare di mezzo secolo fa.
Probabilmente parte proprio da questa consapevolezza lo sforzo di elaborazione sull’economia civile avviato la scorsa fine settimana a Ivrea: un tentativo di “riforma dall’alto” che parte dagli imprenditori e ne enfatizza il ruolo sociale, sperando che questo in qualche modo riesca a fermare gli “istinti animali” del capitalismo finanziario.
Auguri!

ƒz