Entro dicembre 2019 servirà un “piano Unesco”

Molte città con importanti siti Unesco (in particolare in Spagna) lamentano la mancanza di entrate sufficienti a coprire i costi di manutenzione degli edifici patrimonio dell’umanità. Tutti denunciano: “il titolo moltiplica le spese ma non le entrate”. Come si comporterà Ivrea?

Parliamo di Unesco. Ad Ivrea, da luglio entrata a far parte della lista di siti considerati patrimonio dell’umanità, sono partite le iniziative legate alla valorizzazione della Core Zone (l’area principale del sito): per cinque domeniche a partire dal 21 ottobre l’amministrazione comunale, attraverso l’ufficio Turismo, con la collaborazione del Museo Civico Garda, ha organizzato delle visite guidate. Una passeggiata tra gli edifici che hanno fatto la storia dell’azienda Olivetti, quelli prettamente legati alla produzione/lavoro e anche quelli ad uso civile. Perché la motivazione della nomina recita: “The industrial city of Ivrea is an ensemble of outstanding architectural quality that represents the work of Italian modernist designers and architects and demonstrates an exceptional example of 20th Century developments in the design of production, taking into account changing industrial and social needs”. Sviluppo industriale legato allo sviluppo e ai bisogni sociali della comunità. Mi sono iscritta per domenica 21 ottobre. Il ritrovo è la Fabbrica di Mattoni Rossi, si parte puntuali. Gli eporediesi integrano volentieri con storie personali e aneddoti il racconto della guida e quindi il giro diventa subito un viaggio della memoria che tocca corde intime e che, purtroppo, mano a mano si trasforma in sconforto.Teste basse e sospiri. Particolarmente significativo il commento di una donna i cui genitori erano dipendenti Olivetti, la quale racconta di aver seguito in diretta la nomina e di aver avvertito un sentimento di fallimento misto alla gioia, di aver pensato:” adesso è veramente finita” e di aver pianto. Mi ha davvero commossa e al contempo mi ha fatto realizzare che il suo sentire rispecchiava una cruda verità: è veramente finita, ora non ci resta che ricordare e possibilmente conservare per consegnare al futuro. Ma per farlo occorre lavorare bene.

Inutile dire che gli edifici, certo, raccontano una storia importante e sicuramente degna della nomina (e tutti ne siamo felici e orgogliosi – nessuna critica alla nomina in sé), oggi però sono svuotati di senso, se non addirittura snaturati o, peggio, in condizioni non accettabili (vedi centrale termica o area circostante la mensa Gardella). Ed è proprio questo il punto dolente, a mio parere: quella storia ha bisogno di essere intrecciata con l’esperienza e la storia degli uomini e delle donne che l’hanno vissuta, che l’hanno resa viva, appunto. Senza di essa rimane il ritratto piuttosto triste dello scheletro di un tempo che fu, come visitare il set cinematografico dismesso di un film famoso. Per fortuna gli edifici ad uso civile sono in buone condizioni (Talponia a parte, in alcuni punti) e ancora respirano della vita di chi ora li abita e ne conserva l’essenza. Quindi manutenere e conservare diventano punti chiave. Tra l’altro la nomina al punto 4 del paragrafo dedicato alla manutenzione recita testualmente: “Provide a strategic conservation plan for the property, including the planned conservation outcomes for each building, strategies for new uses of vacant buildings and resources for maintenance and send it by December 2019” Avete letto bene, entro Dicembre 2019 bisogna fornire all’Unesco un piano di conservazione e manutenzione degli edifici e una strategia per il riuso degli edifici vacanti. Mica cosa da poco! E queste poche righe mi hanno riportato alla mente una recente lettura.

Il 25 settembre 2018, sul quotidiano spagnolo El Pais è uscito un articolo interessante sul tema Unesco, il titolo era questo: ”Le città patrimonio dell’Umanità si lamentano per la mancanza di entrate”. La Spagna è il secondo paese al mondo per numero di siti Unesco, subito dopo la Cina, che vanta il primato, e prima dell’Italia, terza classificata. Ben 15 municipalità spagnole, insignite del titolo di patrimonio dell’umanità, si lamentano del fatto che devono spendere molti più soldi di quanti ne entrino nelle casse municipali, soldi spesi soprattutto per la più semplice e normale manutenzione. E via con gli esempi: a Tarragona un anno fa un camion ha divelto una ringhiera della Discesa della Misericordia, tra l’Arco di Augusto e il Circo Romano, e il comune non ha ancora potuto aggiustarla, non certo per cattiva volontà, ma perché prima deve realizzare un progetto specifico per poter conservare “il titolo” Unesco ottenuto nel 2000. A Ubeda (provincia di Jaen) le strade del centro storico devono essere spazzate a mano, con i relativi costi orari, perché i mezzi pubblici non passano e non è possibile fare nessuna modifica. A San Cristobal de la Laguna (Tenerife) non si possono installare ripetitori di telefonia mobile, per non danneggiare l’immagine di luogo a bassissimo tasso di inquinamento. I sindaci delle 15 municipalità, che quest’anno hanno festeggiato il 25esimo anno di nomina a Patrimonio dell’Umanità, interpellati, si lamentano tutti della stessa identica cosa: il titolo moltiplica le spese ma non le entrate. Tutti chiedono un aiuto economico da parte dello Stato, sotto forma di sovvenzioni ed esenzioni. Chiedono che i proprietari di immobili in area protetta non siano esentati dal pagamento delle imposte comunali (la nostra Tari) e dagli oneri di costruzione/ristrutturazione, altrimenti le entrate del comune scendono e non vengono riequilibrate da altre entrate. Oltre a ciò, riferiscono che il turismo legato a questo tipo di luoghi è un turismo di fascia alta che, non solo necessità di strutture ricettive di un certo tipo, ma che non raggiunge numeri elevati al punto da equilibrare le uscite e le entrate.

In Spagna lamentano questi problemi e sebbene noi in Italia magari abbiamo regolare fiscali diverse (non mi risulta che gli edifici sito Unesco siano esentati dal pagamento della Tari) anche le nostre spese per la manutenzione e conservazione saranno sicuramente alte e sottoposte ad iter piuttosto complessi. Se a ciò si aggiunge che Ivrea in fatto di manutenzione lascia parecchio a desiderare in generale (era al primo posto nei programmi elettorali di tutti), ecco che la preoccupazione sale ed è più che giustificata. La domanda sorge quindi spontanea: adesso che si fa? E non è una domanda a cui si può rispondere sullo slancio dell’entusiasmo, è una domanda che richiede un piano preciso, dettagliato, multidisciplinare, condiviso, partecipativo, possibilmente realistico e che entri in vigore il più presto possibile. Da anni si sente parlare di turismo, ma ancora non si vede un progetto degno di nota: musei chiusi nel week end o aperti a singhiozzo solo in alcuni week end, pochi locali aperti dopo le sette di sera, edifici storici inagibili o gestiti da associazioni che faticano a tenerli aperti, mancanza di spazi culturali pubblici, una certa tendenza ad affidarsi al volontariato, tanto per fare qualche esempio. C’è un gran bisogno di politiche culturali, insomma. Ci sarebbe bisogno di un assessore dedicato (ma questo merita un discorso a parte). E’ un cammino che va intrapreso con volontà e determinazione, ma soprattutto con spirito di servizio per onorare, almeno questo, quel passato tanto glorioso di cui tanto ci si vanta, ormai finito per sempre.

Lisa Gino