Esami di Stato: Il Paese che ci piace tanto

Riflessioni in merito alla prima prova, quella di Italiano

Leggendo “I limoni” si può piangere, tanto la “dolcezza inquieta” scava e colpisce e fulmina. Alla fine l’odore dei limoni lo senti addosso.
Tra tutte le cattiverie contenute nella prima traccia d’esame, questa insopportabile di tagliare la poesia di Eugenio Montale è proprio da incolti, sacrileghi, denigratori di bellezza pura.
Ma ce ne sono di sciocchezze, e di oscurità, nella Maturità 2017: c’è una poesiola facile facile di Giorgio Caproni (e non importa che l’autore fosse misconosciuto: la guida all’analisi è da biennio di scuola superiore), uno che scriveva ben altro, “Il mio viaggiare/È stato tutto un restare/qua, dove non fui mai”.
C’è soprattutto, nei documenti forniti a supporto del “saggio breve”, un conformismo che sconcerta.

Nuove tecnologie e lavoro” riporta tre stralci di articoli tra loro simili. Alla domanda retorica “Come evitare la desertificazione economica?”, Marro (Sole 24 Ore) si risponde citando un “report” dell’ONU: “abbracciate la rivoluzione digitale, a partire dai banchi scolastici”.
Opinione confortata da Meta (Corcom.it), che riporta dati emersi dalla ricerca “Skills revolution”: “[…] si prevede che questi cambiamenti [la digitalizzazione e l’automazione del lavoro] avranno un impatto positivo” ecc. ecc. E qual è il Paese che dovrà aspettarsi “il maggior incremento di nuovi posti di lavoro”, “tra il 31% e il 40%” nientemeno? Ebbene sì, l’Italia!
Se nel terzo documento Medetti (Panorama) comincia cupo – metà fra gli analisti intervistati da Pew Research ritiene che “la nuova ondata dell’innovazione […] impatterà (sic!) negativamente sulla creazione di nuovi posti di lavoro” – subito si conforta con l’altra abbondante metà “fiduciosa”, “perché l’uomo – conclude –, così come ha sempre fatto dalla Rivoluzione Industriale in avanti, non smetterà di creare nuovi tipi di lavoro, nuove industrie e nuovi modi di guadagnare”.

A meno che non si pensi di vivere in un mondo mica male, è lecito domandarsi perché in questi testi manchi del tutto una visione – non diciamo antagonista, per carità! – ma almeno inconsueta, particolare, un poco eccentrica della vita e del pensiero e dell’essere umano e dello stare sulla terra e dell’immaginare un’alternativa. E dire che anche in Italia vi sono fior d’intellettuali dei quali menar vanto.
Nei documenti relativi al tema “Robotica e futuro tra istruzione, ricerca e mondo del lavoro”, c’è poi qualcosa di onirico, l’eco di concetti che noi normali non afferriamo, un pensiero volatile, dai contorni sfumati.
Qui si elogia l’utilità della “robotica ai fini educativi, una tendenza in continua crescita”, in grado di “sviluppare le competenze cognitive tipiche del pensiero computazionale […] e incrementare le competenze di problem solving”…

Mettiamo che ci si riferisca – e non è affatto sicuro – alla vera e propria costruzione di macchine: non sono quasi offensive tali ipotesi, per uno studente di un istituto, come tanti in Italia e soprattutto se professionali, ancora pieno di amianto, che non ha manco la cancelleria necessaria all’esame, figurarsi le fotocopiatrici o un armadio che si chiuda senza un calcio? E da parte di un Ministero il cui sito la mattina della prima prova va in blackout per mezz’ora dopodiché resta intasato per ore e ore? Robotica? Ma per favore!

Lo sconcerto aumenta poi leggendo il secondo documento, quello sulla “Soft Robotics”, “campo interdisciplinare che si occupa di robot costruiti con materiali morbidi e deformabili”, “una nuova generazione di robot capaci di sostenere l’uomo in ambienti naturali”… Cioè? Che significa? Una specie di umanità di pongo quattro punto zero? Pupazzi antropomorfi alla “Io, robot”?
Che effettivamente si tratti di umanoidi lo conferma il terzo – sediovuole ultimo – documento che sconfina nella legal-fantascienza: una risoluzione approvata dalla Commissione Europea chiederebbe “la creazione di uno status giuridico per i robot, con la prospettiva di classificare gli automi come ‘persone elettroniche’ responsabili delle proprie azioni”… (?! E se l’automa viene condannato, che si fa, l’iniezione letale?)

Basta! Nessuno stupore che molti studenti si buttino sull’ambito storico-politico: “Disastri e ricostruzioni”.
Da Montecassino, bombardata e in breve ricostruita, all’alluvione di Firenze che “insegnò a tutti […] come nulla sia veramente perso se si ha la forza e la fede di non lamentarsi e di rimettersi a lavorare”, a Machiavelli che invita gli uomini (nei quali in verità non riponeva grande fiducia) a “fare provedimento e con ripari e con argini” poiché la “fortuna” dimostra la sua potenza “dove non è ordinata virtù a resisterle”: c’è tanto materiale per elogiare il nuovo homo faber in luogo del vecchio lamentoso homo italicus.
Una traccia, questa, collegabile alla successiva, quella sul miracolo economico nell’Italia post bellica, ma anche alla precedente sul Bel Paese futuro attore della “quarta rivoluzione industriale”.


Ci vuol tempo, e un po’ di pazienza, ma se uniamo i puntini vien fuori un’immagine confortante: il progetto del “Paese che vogliamo”.

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