Femminicidi: di che cosa parliamo quando parliamo d’amore?

L’amore che ti insegna la pubblicità è nascondere i problemi di prostata

La progressione dei femminicidi, in Italia, sembra inarrestabile e le vittime accertate, dall’inizio dell’anno, hanno già toccato il numero di 12. Una di queste donne, con profetica lungimiranza, nel timore di venire uccisa dall’ex compagno si è addirittura pagata in anticipo il funerale, per non gravare il figlio disabile e l’anziano padre di nuove spese dopo la sua scomparsa.
Questa donna, sessantanovenne e residente a Genova, si è beccata la sua quota di coltellate ed è finita, come previsto, ad ingrossare la fila delle donne massacrate dai compagni a cui hanno avuto la sventura di unirsi quando entrambi sorridevano nell’illusoria felicità di una vita ricca di amorevoli prospettive.
Sul femminicidio si è già detto di tutto e molto si è anche fatto per creare sensibilità e incoraggiare le donne a sporgere denuncia, ma la violenza maschile continua a tracimare.

Si è detto, ultimamente, che il numero delle vittime è aumentato anche in rapporto al lockdown. Per me il lockdown, così come la società, la cultura, l’educazione, i modelli di comportamento precostituiti non sono che astrazioni che possono influenzare, anche fino agli esiti fatali, gli uomini, ma non determinarne in assoluto il loro comportamento.
Gli uomini possono andare oltre i condizionamenti che li rendono dipendenti per non dire schiavi.
Il problema è come ci si possa riuscire in un tipo di società che, comunque, non mette propriamente al centro dei suoi scopi l’aspetto umano.

A Ivrea, sabato 6 marzo, c’è stata l’ennesima manifestazione contro i femminicidi, anche in vista del’8 marzo, con tanto di uomini e donne schierati in silenzio in Piazza Ottinetti, davanti a due panchine rosse con i nomi delle ultime donne uccise. Il silenzio di questa compostissima manifestazione era assordante, un cazzotto nello stomaco per chiunque passasse di lì. Insieme alle scarpe rosse, le manifestanti esibivano un manifesto dal titolo: “Il cuore non lascia lividi. Se ami non uccidi!”.
Lo slogan, di vibrante eloquenza, sta proprio tutto in quel “…se ami” che, a dispetto del sembrare la cosa più facile e naturale del mondo, di fatto non lo è.

Sarebbe già una conquista enorme se almeno uno degli attori di una coppia conoscesse il significato di questo verbo, evitando così non solo il crimine ma anche l’errore di imbarcarsi in storie pericolose.
Se ami… diventi forte e, in quanto tale, sai riconoscere le vulnerabilità altrui tanto più evidenti quanto mascherate dal dispotismo e dall’arroganza.
Un uomo debole si identifica nel ruolo di capo e quando ne è scalzato, in seguito all’emancipazione della donna, può diventare violento fino alle estreme conseguenze.

Chi ama non uccide ma, fortunatamente, anche chi non ama , in genere, non uccide perché riesce ad accettare la sofferenza che deriva dalla perdita di potere sulla propria compagna.
E’ certo comunque che i delitti, che nascono in nome dei fraintendimenti legati alla parola “amore”, si accavallano. Credo che l’amore non sia per sé definibile, tuttavia, con un po’ di attenzione, potremmo riconoscerlo per ciò che non è spogliandolo delle sue false identità e connotazioni.
La parola “amore” è molto mistificata come quando, ad esempio, viene usata in tv attraverso il generico e urlato: “I love you” diretto al pubblico, una falsificazione che si palesa attraverso un’imbarazzante assenza di trasporto emotivo.

Si è detto che le donne (e così gli uomini) dovrebbero, innanzitutto, imparare ad amare se stessi, ma qui i volenterosi paladini della contraddizione sono pronti a dirti subito che l’amore del prossimo è più importante dell’amore di sé e che, pensando a te stesso, ti riveli egoista ed individualista.
Analogamente, pur sapendo che i femminicidi hanno come causa principale la gelosia e la possessività, gli stessi paladini tralasceranno di sottolineare come questi concetti costituiscano, di per sé, pericolosi disvalori.

L’uomo violento dovrebbe avere ormai un identikit ben tracciato che le donne dovrebbero portare nella borsetta soprattutto all’inizio di un nuovo rapporto quando, sullo sbocciare del coinvolgimento emotivo, è fin troppo facile dipingere il presente e il futuro a tinte rosa.
E’ chiaro che una società, che conteggia un così alto numero di femminicidi, non può essere molto d’aiuto nel fornire soluzioni efficaci.
Ci devono pensare gli individui, uomini o donne che siano, scorgendo la realtà dietro le apparenze.

Ultimamente vedo spesso in tv una pubblicità decisamente discutibile. C’è una coppia di coniugi anziani in camera da letto con il marito che, nel cuore della notte, si alza più volte per andare in bagno.
Lui ha problemi di prostata ma, davanti alla moglie che si sveglia, si giustifica una volta dicendo di avere sete, l’altra di avere sentito dei rumori in garage.
Alla fine lo spot fornisce la soluzione che si chiama Prostamol, un bel medicinale che calma la vescica.
Ecco, la società è come questo spot, mette a disposizione soluzioni tipo il “Prostamol”, con le quali si possono nascondere, alla consorte di una vita, le cause originarie persino di un disturbo così comune come quello della prostata gonfia.

Siamo nel mondo della fiction e dell’occultamento delle realtà scomode.
“Così non hai più scuse” conclude lo spot, restituendo alla coppia la tranquilla abitudine delle sue menzogne.
Questa è una tipica, e fin troppo banale, rappresentazione di cosa non è l’amore, talmente ovvia da passare quasi inosservata.
E’ una metafora evidente di che tipo di fragilità possa caratterizzare i rapporti uomo-donna, dove l’amore sta al matrimonio come il “Prostamol” sta alla sincerità della vita di coppia..

Pierangelo Scala