Fiat-Renault: quali vantaggi? E quali rischi, soprattutto per i lavoratori?

Accordo Fca-Renault, analisi e riflessioni di Federico Bellono della segreteria provinciale Cgil Torino

L’accordo tra Fca e Renault è in via di definizione, e quindi qualsiasi valutazione va presa con beneficio d’inventario: in particolare è ancora da verificare il coinvolgimento della giapponese Nissan (con Mitsubishi), alleata di Renault. Sollevare preoccupazioni è d’obbligo, non solo per la mia cultura sindacale, ma perché – al di là del mantra sulla necessità di alleanze nel mondo dell’auto – la storia recente è costellata di fallimenti: Renault e Volvo negli anni 80 e 90, Daimler e Chrysler nonché Gm e Fiat a cavallo del 2000.
Al momento sembra una certezza il fatto che si tratti di un buon affare, dal punto di vista finanziario, per la proprietà di Fca: il valore della azioni in Borsa è schizzato verso l’alto ed Exor dovrebbe mantenere il ruolo di primo azionista, seppur con una percentuale molto diluita rispetto ad oggi (dal 30 al 15%)
Tutto il resto ad oggi appare molto più indefinito, soprattutto per quanto riguarda gli effetti sull’occupazione, al di là delle dichiarazioni di rito, che pure sono state fatte con modalità diverse al di qua e al di là delle Alpi: qui Fca ha detto che non verranno chiusi stabilimenti, il solo Salvini ha dato voce ad un sostanziale ottimismo, mentre in Francia il Governo ha chiesto la tutela dei posti di lavoro francesi. E quest’ultima affermazione è particolarmente importante in quanto lo Stato francese ha una significativa presenza azionaria in Renault. Rigurgiti di socialismo reale? No, una delle modalità con cui i grandi paesi industriali si occupano dell’industria automobilistica, dalla Germania agli Usa, alla stessa Cina.
È difficile pensare che non ci siano sovrapposizioni – ci sono sempre! – tra i modelli e gli stabilimenti europei, soprattutto su vetture medio piccole – si pensi alla Clio rispetto alla Panda a Pomigliano – ma anche alla Renegade o la 500X che si producono a Melfi. D’altronde è noto che in Europa c’è una sovracapacità produttiva. E d’altronde dove si realizzeranno gli oltre 5 miliardi di euro di risparmio stimati da Fca per effetto delle sinergie tra le due case costruttrici?
È pur vero che Renault è carente sulla gamma del lusso, ma è molto più avanti (e lo stesso vale per la Nissan) sull’elettrico con la Zoe: questo aiuta il progetto della 500 elettrica per Mirafiori o lo rende meno rilevante? Inoltre la Francia è impegnata con la Germania in un progetto per la produzione delle batterie, componente strategica per i nuovi motori e oggi realizzate quasi in esclusiva dalla Cina.
Naturalmente tutto va inquadrato in uno scenario non solo europeo, e le scelte di Nissan non sono secondarie, non solo per ragioni dimensionali: senza Nissan si tratterebbe del terzo gruppo al mondo, con Nissan del primo. C’e anche un aspetto strategico: Renault sul mercato americano è irrilevante, mentre Fca è ben radicata con i marchi Chrysler e Jeep. Al contrario Nissan rappresenterebbe per Fca una porta importante sul mercato asiatico. Inoltre Nissan è molto più avanti sul piano tecnologico, rispetto alle altre due aziende, che invece su questo versante hanno debolezze comuni.
In tutti i casi sarà un’operazione complessa, che comunque rallenterà i progetti in corso, e quindi aumenterà l’incertezza per molti lavoratori, che in questi mesi, soprattutto a Torino, hanno visto aumentare cassa integrazione e contratti di solidarietà.
In Italia la politica al momento è afona, presa dalle convulsioni post elettorali. E il sindacato ancora condizionato dalle divisioni di fronte alle promesse di Marchionne, per cui mentre Fiom e CGIL chiedono anche al Governo di prendere in mano la situazione, Fim e Uilm si accontentano di un confronto con l’azienda che ad oggi non pare essere neppure all’orizzonte.

Federico Bellono