I preparativi dell’insurrezione del marzo 1821

Questa piccola rubrica, senza troppe pretese, ambisce all’obiettivo di rendere tutti un po’ più partecipi della storia contemporanea di questa città, troppo spesso considerata irrilevante o povera di note degne di essere ricordate

Preso atto della presenza carbonara all’interno della città d’Ivrea (e non solo), dei loro intenti e della loro organizzazione, cerchiamo di capire come, sommariamente, si svolsero i fatti di quell’insolita giornata sul finire dell’inverno che avrebbero portato, il 13 marzo, alla vera e propria insurrezione in nome della Costituzione spagnola.

L’arma principale dei carbonari eporediesi fu la pazienza. La voglia di conquistare il Palazzo di Città e di mettere in atto una strategia offensiva ben organizzata dovette attendere la notizia dell’insurrezione a Torino. Sarebbe stato un errore anticipare o ritardare di troppo il momento in cui levar le bandiere e imbracciare le armi. I costituzionali eporediesi, strettamente dipendenti da quelli torinesi, avrebbero messo in campo le loro scelte tattiche solamente in seguito ad ordini in arrivo da quest’ultimi. Ma la notizia dell’insurrezione della Cittadella nel capoluogo infiammò i loro animi e le loro menti prim’ancor che i tempi fossero maturi.
Pier Alessandro Garda, nelle sue Memorie, descrisse l’episodio della presa della Cittadella a Torino. Nel primo pomeriggio del 12 marzo 1821, al seguito di un colpo di cannone si diede inizio ai moti rivoluzionari. Scrive il Garda:

Soddisfatto di quanto avevo visto, ritornai in mezzo ai miei compagni per aspettare il momento di agire. Ma il segnale non si faceva intendere, ed era già trascorso il mezzogiorno: per cui un senso di inquetudine si destò negli animi nostri, e con vicendevoli interrogazioni e supposizioni cercavamo di indovinare il motivo del ritardo. Si sentì al fine tuonare il cannone; ed a quel segnale si vide ad un tratto e come per incanto sbucare da tutte le vie adiacenti alla Cittadella schiere d’insorti armati in diverso modo, e dirigersi, a passo di corsa, verso l’entrata della Cittadella.

Le prime notizie di quest’insurrezione giunsero ad Ivrea tra le cinque e le sei del pomeriggio, grazie alla pronta cavalcata del Cavaliere Maurizio Palma di Cesnola che, partito da Rivarolo, accorse ad Ivrea ad informare il nucleo eporediese. Sopraggiunta la notte, in molti si trovarono a casa del conte Palma per rifinire i dettagli del piano di sollevazione del giorno successivo. Intanto, nel cuore della notte un corriere proveniente da Torino fece sosta al caffé Boschis; annunciò l’abdicazione del re e la nomina del principe reggente. Nonostante questo corriere confermasse le varie voci giunte nel pomeriggio, i carbonari eporediesi attesero pazientemente le direttive da parte dei capi di Torino. Giunsero, infine, due uomini a cavallo i quali, accolti nella casa del conte Palma, sgombrarono ogni dubbio residuo dalle menti dei futuri rivoluzionari: Sua Maestà aveva effettivamente abdicato la corona concedendo al principe di Carignano Carlo Alberto la reggenza.
L’atto finale era imminente. Nella stessa notte si sarebbero mandate quante più staffette possibili in tutti i paesi circostanti ad annunciare i nuovi avvenimenti e per dar loro una direttiva ben precisa: accorrere, l’indomani mattina, ad Ivrea a dare man forte al nucleo carbonaro in modo da intimorire le autorità. Intimorire i governanti minando psicologicamente le loro convinzioni e la loro prontezza di reazione fu senz’ombra di dubbio una carta vincente che i carbonari eporediesi giocarono, soprattutto se si considera il fatto che il 13 marzo sarebbe stato giorno di mercato e la città sarebbe stata, di conseguenza, assai popolata. A questo espediente sarebbe seguito il secondo obiettivo: la richiesta di liberazione dei prigionieri di Stato Demetrio Turinetti di Priero e Luigi Ciocchetti di Asigliano, entrambi segregati nelle carceri di Ivrea.
Infine, il tutto ebbe inizio. La mattina del 13 da Vico e da Brosso cominciarono a scendere un centinaio di uomini che, tuttavia, non raggiunsero subito Ivrea, ma si fermarono a Lessolo a riposare e ad aspettare nuovi ordini.

Andrea Bertolino