I servizi educativi per la prima infanzia e i centri estivi fanno più bella (e più giusta e pure più ricca) la comunità.

Quali risposte possiamo dare ai bambini fragili che rischiano uno svantaggio permanente a causa del protrarsi dell’emergenza Covid?

In questi giorni di emergenza e conseguente distanziamento fisico, e purtroppo anche sociale e relazionale, penso in continuazione ai bambini più vulnerabili dei nostri servizi. Penso a quei bambini che imparano a parlare perché vengono al nido, che trovano libri e giochi che a casa non ci sono, spazi verdi per stare all’aria aperta, amici da cui imparare. Penso a quelli che al centro estivo imparano che sono capaci a pensare e a fare, scoprono con sorpresa di avere un talento o, ancora più importante, una passione. Con sorpresa perché per i nove mesi precedenti a scuola hanno avuto la netta impressione di non essere bravi a fare nulla.
Penso, insomma, a quelli per cui venire al nido o al centro estivo è l’unica possibilità di tirarsi fuori da una situazione di svantaggio economico, culturale e sociale che altrimenti li penalizzerà a vita. E quando affermo che si è penalizzati a vita dal mancato accesso ai servizi educativi di qualità, che lavorano cioè in un’ottica di inclusione e valorizzazione delle persone, non sto facendo un’affermazione melodrammatica per attirare l’attenzione su situazioni oggettivamente molto difficili.

Oltre all’esperienza diretta e quotidiana che le mie colleghe e io abbiamo dell’enorme beneficio che stare nei servizi porta ai bambini e alle famiglie più fragili, parlano chiaro i dati sulla povertà educativa del nostro Paese e del nostro territorio.

A livello italiano la povertà educativa attualmente supera il 12%, secondo Rapporto sulla povertà educativa minorile in Italia presentato dall’impresa sociale “Con i Bambini” che gestisce il Fondo Nazionale sulla povertà educativa. A livello canavesano la percentuale nota di bambini in situazione di fragilità si attesta intorno al 7%, ma ci sono tanti bambini che sfuggono alla rilevazione perché non noti o non presi in carico né dai servizi sociali né da quelli scolastici o educativi. E’ parere largamente condiviso tra gli esperti che questo numero è destinato a salire in modo esponenziale a causa dell’emergenza COVID-19.
L’ultimo preoccupante articolo che ho letto a riguardo viene non da insigni e rispettati pedagogisti, che potrebbero essere sospettati di aver una visione esagerata dell’importanza dei servizi educativi o essere monotematici, come sono io spesso. Viene dall’Economist, intitolato, per toglierci ogni dubbio, “La chiusura delle scuole aumenta le disuguaglianze per tutta la vita”. L’articolo riporta che “secondo un calcolo conservativo dell’istituto di statistica norvegese, la chiusura scolastica (dagli asili nido ai licei) comporta una perdita economica di circa 158 milioni di euro al giorno. Gran parte di questa cifra è una stima dai redditi futuri persi a causa dell’interruzione dell’istruzione [di bambini e ragazzi]. Il resto della cifra è costituito dalla perdita di produttività dei genitori”. Secondo Matthias Doepke, della Northwestern University (USA), “alla fine dell’estate il nutrito gruppo di bambini statunitensi che ha cominciato a perdere nozioni con la chiusura delle scuole avrà sostanzialmente saltato un anno di scuola. Dato che ogni anno scolastico è associato a un aumento degli introiti annuo di circa il 10 per cento, le conseguenze per questi studenti sono enormi. Appare evidente che se non si prenderanno provvedimenti ci sarà un aumento della disuguaglianza con una riduzione della mobilità sociale”.
Oltre al problema della povertà educativa vi è naturalmente anche l’altro significativo problema a cui i servizi educativi, anche quelli estivi, danno una soluzione e cioè quello della conciliazione dei tempi lavorativi con quelli familiari (e viceversa). Ricordo a chi non ha figli in età scolare che le vacanze scolastiche estive in Italia durano 12 settimane. 12!

Quindi. Cosa possiamo fare noi in Canavese?

Cosa possiamo fare in un territorio che ha visto nascere il primo nido aziendale d’Italia, che ha avuto, fino a qualche anno fa, il nido pubblico con il maggior numero di posti in Piemonte e il maggior numero di posti nido per bambino 0-3 anni in Italia, che ha avuto uno dei primi centri estivi in Europa, con una struttura edificata con l’unico scopo di proporre attività di educazione estiva e con una ricerca pedagogica all’avanguardia a determinarne la programmazione?
Quali risposte possiamo dare ai bambini fragili che rischiano uno svantaggio permanente e ai genitori, soprattutto alle madri che sono, com’è noto, più a rischio di perdere il posto, per consentire loro di rientrare al lavoro e contribuire con la loro produttività alla ripartenza del territorio?
Possiamo intanto focalizzare il discorso sulla costruzione della famosa quanto fantomatica comunità educante e sui servizi educativi (nidi, centri estivi, le Scuole del Sole proposte da Raffaele Iosa, i servizi educativi integrativi, il sostegno a scuola e fuori dalla scuola a bambini e ragazzi con disabilità, la maggiore integrazione scuole-comunità) se non al primo posto dell’agenda politica, almeno nella top five insieme a sanità, sviluppo economico e ambiente.

Un discorso che deve interessare e coinvolgere, a livello paritario, gli enti e i servizi pubblici (comuni, scuole, servizi sociali), gli operatori del settore educativo più capaci, dinamici e innovativi (terzo settore) e anche l’ambito della filantropia strategica (fondazioni private e di comunità) che dovrebbe vedere nei servizi educativi un’importante leva per far crescere persone, organizzazioni e territori.

Occorre pensare ora e insieme a quali possibili scenari ci attendono ed elaborare modelli di risposta (più di uno) che prevedano adeguate risorse economiche, soprattutto pubbliche, ma anche private; spazi idonei e sicuri; personale qualificato; criteri di accesso chiari e trasparenti. Bisognerà nelle prossime 4, 5 settimane, “alzarsi presto, andare a letto tardi e lavorare di molto”, come dice un Sindaco del nostro territorio.

Bisogna avere ben chiaro in mente anche il tema dell’accessibilità ai servizi perché già averli è molto, ma non basta. Bisogna che chi più ne ha bisogno sia in grado di accedere e che siano abbattute le barriere economiche, ma anche culturali e logistiche, che ostacolano il pieno utilizzo dei servizi educativi.

Alcune riflessioni sono già state avviate: i servizi sociali del territorio lavorano da tempo in un’ottica comunitaria, con soggetti diversi (pubblico, terzo settore, fondazioni), per aumentare numero e tipo di servizi e grado di accessibilità. Il Comune di Ivrea ha cominciato a pensare a come poter riaprire il nido comunale e come strutturare i servizi di educazione estiva. Il terzo settore si è fermato solo apparentemente: sono sospesi molti dei servizi condotti per l’ente pubblico, ma non si è interrotta l’energia progettuale che lo contraddistingue (purtroppo quasi mai retribuita questa).

Credo sia importante ora che bambini e ragazzi, genitori, educatori e animatori, insegnanti e operatori sociali, fundraiser e amministratori di fondazioni, amministratori pubblici, funzionari e politici (l’idea platonica di comunità educante, insomma), ognuno per la sua parte, non cessi neanche per un istante di ricordare che i servizi educativi sono le fondamenta di una comunità equa, inclusiva, giusta e anche ricca e che, per ripartire, il nostro territorio, ricco di energie, idee e capacità, deve passare dalla porta di un nido, di un centro estivo, di una scuola.
Abbiamo l’occasione di ricostruire la nostra comunità e la responsibilità di farlo meglio di prima.

Vittoria Burton – Responsabile Servizi 0-6 anni per Consorzio Copernico