Il carcere di Ivrea tra le proteste dei detenuti e quelle delle guardie

Dalla relazione di fine mandato del “Garante dei diritti delle persone private della libertà personale” importanti indicazioni su come diminuire la violenza e promuovere attività utili al reinserimento all’interno della Casa Circondariale di Ivrea

Periodicamente, e negli ultimi mesi con una certa frequenza, si torna a parlare della situazione del carcere di Ivrea, o Casa Circondariale. Prima per la scarsa igiene delle strutture idriche, poi per il sovraffollamento, ora per il cronico mancato funzionamento dell’impianto antincendio. Nell’ultimo Consiglio Comunale di Ivrea di dicembre 2018 è stata approvata una mozione di Viviamo Ivrea che impegna il Comune a verificare costantemente la situazione e promuovere incontri con tutti gli attori del “pianeta carcere”.
Nei giorni scorsi una delegazione composta dal Consigliere Regionale PD Cassiani e da due esponenti dell’Ass. Adelaide Aglietta ha visitato la struttura e confermato le carenze strutturali.
A Ivrea per fortuna è presente, e Ivrea è tra le prime città ad averlo istituito, un Garante dei detenuti (ufficialmente Garante dei diritti delle persone private della libertà personale), fino al 2018 Armando Michelizza, che recentemente ha presentato una relazione di fine mandato (5 anni), prima di passare il testimone alla nuova Garante, Paola Perinetto, e tale relazione è molto utile per capire le problematiche e le criticità presenti in questa comunità chiusa e impermeabile, anche se collocata a pochi metri dalle nostre case.
Michelizza non nasconde che il problema principale, a parte le carenze strutturali e di manutenzione, è la mancanza di una convinta strategia di riqualificazione e di offerta di opportunità per detenuti che, lasciati a se stessi, ricadono con troppa frequenza nella recidiva. Un carcere concepito solo per punire produce, sembra un paradosso, meno sicurezza di uno che investa invece nella educazione e nella speranza per il recluso. Di qui l’invito al Consiglio Comunale a sostenere tutte le persone che all’interno del carcere operano in tal senso: “il Consiglio Comunale, a cui è principalmente rivolta questa relazione, stia vicino e sostenga le persone che dentro al carcere hanno una visione “educativa”. Ce ne sono, a iniziare dalla Direzione, ma sono contrastate e hanno bisogno del sostegno della comunità esterna.”
Il problema prioritario resta quello del lavoro esterno e certo la fase economica non aiuta ma sarebbe molto utile anche sviluppare le possibilità di volontariato esterno, che danno un senso di utilità, sono richieste dai detenuti e previste dalla Legge 9 agosto 2013, n. 94 che estende la possibilità del permesso anche a persone che “possono essere assegnati a prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito nell’esecuzione di progetti di pubblica utilità in favore della collettività da svolgersi presso lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato”. Già esistono convenzioni con la Caritas, la Biblioteca, il gattile ma si potrebbero incrementare ulteriormente.
Che la situazione non sia accettabile, anche se si tratta di una casa Circondariale, lo dicono le continue denunce di malcontento e stress da parte delle guardie penitenziarie e i casi, in continuo aumento, di disagio e violenza, anche su se stessi, dei detenuti. Negli ultimi anni si sono verificati 4 casi di suicidio, tanto da porre il carcere di Ivrea negli ultimi posti tra quelli italiani. Vale la pena di riportare le parole di Michelizza: “C’è violenza in carcere?
Ogni tanto mi sento fare questa domanda che trovo, francamente, ingenua.
Una ingenuità incolpevole, perché nasce dalla non conoscenza, ma anche da poca riflessione.
Sì ce n’è tanta, fisica e verbale. Violenza su sé stessi, soprattutto. Per protesta, per ottenere un trasferimento in un carcere più vicino ai famigliari, per cento altri motivi, perché non ci si sente ascoltati.
Sciopero dell’alimentazione e del bere, ci si taglia il corpo, si inghiottono lame e pile e altro, si inscenano suicidi che a volte purtroppo riescono.
Se l’ambiente è deprivato di opportunità e prospettive, se si sta male, ma il futuro immaginabile è anche peggio o si comincia a pensare che la libertà sarà una breve pausa fra successive detenzioni, il disagio è altissimo.
Rispetto ai venti anni di insegnamento nei corsi professionali in carcere che svolsi dal 1985 al 2005, ho notato un pesantissimo aggravarsi del disagio psicologico, mentale, in tutte le carceri del Paese. Non sto assolvendo il nostro carcere. Sto dicendo che è una organizzazione che produce violenza e, con rarissime isole di luoghi e di tempi. Sto accusando un sistema che rischia di distruggere persone. Persone detenute e persone che vi lavorano. Perché la violenza è veleno e fa male a tutti.
Certo la violenza, da qualsiasi parte giunga e su chiunque si eserciti, va sanzionata. E quella esercitata dalle persone detenute viene sanzionata quasi sempre, non sempre quella di altri.
Certo gli organici sono insufficienti e non tutte le posizioni sono coperte, ma occorrerebbe chiedersi quanto sia la qualità del lavoro a rendere pericoloso e nocivo questa attività.
Penso che la ricerca della sicurezza attraverso il controllo ossessivo non avrà mai organici sufficienti e la frustrazione non diminuirà, con rischi di vittimismo contagioso. Credo che solo una qualità profondamente diversa del tempo, della vita trascorsa lavorando e restando detenuti possa ridurre tensioni, frustrazioni, vittimismi e violenze.”
Nella parte finale del documento Michelizza ricorda che nel 2016 per opera dell’allora Ministro Orlando si tenne un lungo e fruttuoso confronto racchiuso nella cornice degli Stati generali dell’Esecuzione Penale.
Per un anno, dal maggio 2015 all’aprile 2016, vi è stata la maggior consultazione pubblica in questo Paese, che io ricordi. Centinaia di persone, forse più di mille, con diverse esperienze, professionalità, riferimenti culturali, condizioni sociali, hanno lavorato, si sono confrontati, hanno studiato e capito esperienze in atto in altri Paesi.
Magistrati, operatori penitenziari, volontari, docenti universitari, persone detenute, persone che furono detenute, garanti, economisti, psicologi, architetti, medici, pedagogisti, psicoterapeuti, avvocati, costituzionalisti, giuristi, studenti, politici … cittadini.
Divisi in 18 gruppi di lavoro tematici, hanno prodotto uno straordinario studio e proposte per rendere meno distruttivo e fallimentare il nostro sistema penale. Non ricordo altre esperienze di costruzione così culturalmente ricca e partecipata di una politica e di provvedimenti di legge. Ecco, mi dicevo, così si fa.”
E poi? Cambiano gli assetti politici, la paura della perdita di consenso, aumentano le parole d’ordine forcaiole e tutto viene accantonato. Ora non possiamo far altro che sperare che, cambiati i tempi, quel gran lavoro venga ripreso e valorizzato.
La relazione è molto estesa e merita di essere letta per intero, compresi gli allegati con documenti su iniziative realizzate nella Casa di Ivrea e a livello nazionale.
L’incertezza sul futuro del nostro carcere è dato anche dalla prossima partenza della Direttrice senza che sia stato nominato un sostituto e naturalmente il ruolo della Direzione è decisivo, anche se non unico responsabile, del clima e delle attività all’interno della Casa.
Ora per i detenuti, e anche per le Guardie, questo è un carcere da cui cercare di essere trasferiti, e questo rientra a pieno titolo nei problemi sociali della città di Ivrea.

Francesco Curzio