Ivrea avara nel ricordare Adriano Olivetti a 60 anni dalla sua scomparsa

Un breve comunicato dell’amministrazione e una fugace visita alla tomba. Adriano meritava di più.

Un brevissimo comunicato stampa e la visita del sindaco con la fascia tricolore con tre consiglieri e un cuscino di fiori alla tomba di Adriano Olivetti nel cimitero di Ivrea. Solo questo è riuscita ad organizzare l’amministrazione comunale eporediese.
Vero è che nemo propheta in patria, ma qui si è andati oltre, o meglio sotto la soglia. Nessun evento ad hoc, solo la dedica ad Adriano Olivetti del “Festival dell’Architettura” che si svolgerà a Ivrea dall’8 al 17 maggio 2020. Dopo il riconoscimento Unesco a Ivrea, città industriale del XX secolo per il suo “modello alternativo e unico di città industriale basato su un sistema sociale e produttivo ispirato alla Comunità”, proprio della fabbrica Olivetti, per i 60 anni dalla scomparsa di Adriano, francamente ci si aspettava qualcosa di più. Si aspettavano iniziative, coordinate fra pubblico e privato, congressi, mostre, visite al patrimonio architettonico, intitolazione borse di studio, inaugurazione (vera) del punto informativo Unesco alla portineria del pino in via Jervis. Come pure l’apertura straordinaria dell’Archivio Storico Olivetti con la mostra Storia d’Innovazione (aperture straordinarie per altro previste invece per il carnevale, poi sospese per l’emergenza coronavirus), del museo Tecnologic@mente, l’esposizione di collezioni private di prodotti Olivetti, letture degli illuminati e illuminanti scritti di Adriano. Insomma una festa popolare, collettiva, di tutta la città per ricordare una figura fondamentale per il suo sviluppo umano e sociale. Invece il nulla.

Non fiori ma opere di bene …

Qualcuno si è chiesto il perché di una tomba semplice arricchita solo dai fiori di chi la custodisce con amore e rispetto? Adriano Olivetti di famiglia ebrea e valdese, pur essendosi convertito al cattolicesimo, non aveva il culto del luogo della sepoltura.

Targa davanti ai Servizi sociali

Di più avrebbe apprezzato (con tutto il rispetto per chi visita privatamente le sue spoglie) che per ricordarlo la città si prendesse cura dei luoghi “olivettiani”. Che gli edifici da lui immaginati e fatti realizzare dai migliori architetti, visionari come lui, fossero conservati con amore e che le sue idee di comunità si fossero allargate ad una nuova e moderna umanità.
In via Jervis dove vi sono alcune delle più grandi realizzazioni architettoniche industriali e civili olivettiane evidente è l’abbandono, l’incuria. Le Officine ICO, l’idea della fabbrica luminosa, “una delle prospettive urbane industriali del Novecento più note in Europa”, e il complesso della biblioteca e dei servizi sociali con gli alberi che dal terreno si infilano armonicamente nell’edificio fino a salutare con le loro fronde il primo piano. “Questa nuova serie di edifici posta di fronte alla fabbrica sta a testimoniare con la diligente efficienza dei suoi molteplici strumenti di azione culturale e sociale che l’uomo che vive la lunga giornata nell’officina non sigilla la sua umanità nella tuta di lavoro”, sono le parole di Adriano Olivetti pronunciate nel 1958 in occasione dell’inaugurazione della biblioteca e dell’infermeria aziendali.

Immondizia davanti ai Servizi sociali

Oggi questi spazi, sono semi abbandonati, sporchi, umiliati.

Cicche Unesco

I totem del Maam sono come isolati sprazzi informativi e non viene spiegato cosa sia il Maam. La stele di Ivrea città Unesco, solitaria davanti alla portineria (chiusa) del pino senza un cartello che indichi dove trovare informazioni per visitare i luoghi e gli edifici Unesco, o trovare cartine, pubblicazioni, ecc. Le fa compagnia solo il famoso pino, che ne ha viste tante e ora gli tocca anche questa. Alle spalle una cancellata chiusa dove si vede solo un cartello che avvisa che il luogo è sorvegliato da guardie armate. Davanti l’ex-infermeria, i servizi sociali, la biblioteca, in abbandono (c’è un’attività commerciale, ma che frutta solo cicche di sigarette fra i sampietrini calpestati da migliaia di lavoratori della “fabbrica” negli anni d’oro). Sporcizia, oblio. E d’estate foresta d’erba. Bastava un cartello, una spolverata alle targhe, raccogliere l’immondizia ogni tanto. Se non sempre, almeno ogni 60 anni.

Cadigia Perini con spunti di emme.pi.

Alcuni ricordi di Adriano Olivetti, fuori “patria”

La fabbrica-comunità. Olivetti, 60 anni dopo la sua morte. da Riforma, il quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia.

Ascea ricorda Adriano Olivetti a 60 anni dalla morte con il sociologo De Masi da Il giornale di Salerno

Il più pragmatico degli utopisti: 60 anni senza Adriano Olivetti di Paolo Bricco (Ilsole24ore)