La situazione del carcere di Ivrea rimane critica

Il quinto dossier sulle criticità strutturali e logistiche delle carceri piemontesi evidenzia tutte le carenze della struttura eporediese. Mozione di Comotto e interpellanza di Colosso alla giunta comunale

Con l’inizio dell’anno nuovo si torna a parlare di un vecchio problema: le pessime condizioni in cui versa il carcere di Ivrea. Nel prossimo consiglio comunale verrà discussa una mozione a firma del consigliere Francesco Comotto, nella quale si chiede al sindaco di denunciare attivamente le condizioni di disagio presenti all’interno della struttura e di aprire un canale di comunicazione tra l’Amministrazione comunale e quella penitenziaria, comprendente visite periodiche e incontri con operatori, volontari e responsabili della gestione. A questa si aggiunge un’interpellanza della consigliera Gabriella Colosso, che richiede un’audizione con la garante dei detenuti Paola Perinetto per relazionare sul lavoro svolto negli ultimi due anni ed evidenziare le criticità specifiche della struttura, rimasta per dieci giorni senza impianto di riscaldamento in pieno inverno.
Non è la prima volta che il carcere eporediese balza agli onori della cronaca per faccende poco edificanti, a cominciare dai “presunti” pestaggi avvenuti tra il 2015 e il 2016: quattro inchieste aperte, di cui tre avocate dal Procuratore Generale Francesco Saluzzo perché “le indagini espletate dalla Procura della Repubblica di Ivrea appaiono sotto vari profili carenti”. In pratica venivano compiute dagli stessi indagati e per i reati il procuratore capo di Ivrea Giuseppe Ferrando aveva chiesto l’archiviazione. Rimane a Ivrea solo l’ultima inchiesta, quella riguardante i fatti del 25 e 26 ottobre 2016, quando una lettera del detenuto Matteo Palo venne pubblicata sul sito infoaut.org. Nella lettera si parlava di pestaggi e abusi e della presenza dell’ “Acquario”, una cella liscia punitiva: una stanza priva di ogni cosa, compreso dove sedersi, con le finestre oscurate e priva di riscaldamento.
Del detenuto uscito peggio da questi pestaggi si dirà che “è caduto dalle scale”, la più classica delle scuse nei casi di violenza domestica, ma i referti medici confermeranno quanto scritto nella lettera, e persino la cella “Acquario” verrà individuata nelle indagini successive. Il caso fece notevole scalpore, richiamando proteste e indignazione da parte di diverse realtà, pur senza la consapevolezza di quanto vicino fossimo andati ad un altro caso Cucchi.

Ma i problemi del carcere di Ivrea non si limitano agli abusi di potere

Nella presentazione del quinto dossier sulle criticità strutturali e logistiche delle carceri piemontesi, la garante dei detenuti Perinetto evidenzia numerose carenze, soprattutto per quanto riguarda la struttura vecchia e mai ristrutturata; ogni anno si rompe il riscaldamento e quando piove di traverso entra l’acqua. Questo ambiente malsano facilita il presentarsi nei detenuti di sintomi influenzali e il conseguente isolamento anche per intere settimane a causa delle nuove normative dell’ASL per gestire la situazione Covid, la cui incidenza nel carcere di Ivrea pare restare fortunatamente sotto il 2%. L’impianto di videosorveglianza, richiesto dagli stessi detenuti per evitare il reiterarsi di casi di abuso, è completo solo a metà, primo e terzo piano, mentre è tuttora assente al secondo e al quarto. Non ci sono docce nelle celle nonostante la legge che le prevede sia del 2000 (in Piemonte solo a Fossano sono presenti). Il campo da calcio, uno dei pochi passatempi, diventa inutilizzabile in autunno e inverno.
Anche il comparto rieducativo è carente, comprendente solo i corsi di alfabetizzazione e per conseguire la licenza Media, a cui possono peraltro accedere solo pochissimi detenuti. Il Centro Per l’Impiego di Ivrea ha organizzato un gruppo di nove insegnanti, ma mancano gli spazi per riuscire a organizzare lezioni con più sette studenti.
Gli spazi, già carenti in tempi normali, sono oggi ancora più insufficienti in tempi di pandemia: la capienza è stimata a 194 persone, mentre all’interno vi sono 259 detenuti, una situazione che sarebbe già tragica senza la minaccia costante di un contagio. Tuttavia, mentre il sovraffollamento non viene ritenuto problematico, i colloqui con i parenti sono possibili solo attraverso il plexiglass separatorio: si cerca di supplire alla mancanza di contatti con tre telefonate alla settimana e quattro ore di videochiamata al mese.

Quanto è ampio il problema?

Nonostante la tragicità del quadro generale, sarebbe sbagliato credere che il problema riguardi solo il carcere eporediese nello specifico: la situazione è grave in tutta la Regione, ci sono 5 direttori su 13 carceri. A Ivrea da tre mesi ogni settimana arriva un direttore diverso, quello di turno non ha ritenuto di venire ad Ivrea neanche quando, nel novembre scorso, si è verificato un caso di suicidio. Anche il comandante delle guardie non è fisso e viene 2 volte alla settimana, per ora è quello di Verbania. La mancanza della dirigenza rende impossibile qualunque decisione, motivo per il quale l’edificio non viene adeguatamente ristrutturato e i problemi si accumulano. Il sottosegretario al ministero della giustizia Andrea Giorgis parla di 150 milioni destinati alle carceri italiane, ma senza direttori nessuno potrà usarli e sembra che i test per accedere ai nuovi concorsi siano stati annullati. A livello centrale pare insomma mancare la volontà di migliorare qualcosa.
Volendo ampliare ulteriormente lo sguardo, la situazione risulta anche più tragica: a marzo dell’anno passato, nelle carceri italiane hanno avuto luogo oltre 30 rivolte, definite le più grandi dal dopoguerra. Il risultato di queste rivolte è di 14 morti attribuite all’overdose di farmaci sottratti duranti gli assalti alle farmacie, 4 delle quali durante il trasferimento in altre città (trasferimento che non può avvenire senza l’approvazione di un medico). Decine di denunce di ritorsioni violente dopo le rivolte. Cinquantasette agenti accusati di pestaggi e torture solo al carcere di Santa Maria Capua Vetere. Centinaia di processi per le sommosse, accuse di devastazione e saccheggio.
Rivolte nate per paura del contagio, in un posto dove l’unica fonte di informazione sul mondo esterno è la televisione (quando c’è), e in cui la possibilità di ricevere visite è stata troncata senza maggiori spiegazioni. Tutto questo insieme all’impossibilità di rispettare quelle misure di sicurezza tanto sbandierate in quei giorni di marzo da ogni programma TV: come si rispetta il distanziamento se si è in sette in una cella pensata per tre persone? Il tentativo di decongestionare l’affollamento grazie a misure detentive alternative, progetto attuato in Francia, in Danimarca e in parte in Spagna, non verrà attuato in Italia a causa della narrazione tossica dei media secondo cui si stavano facendo uscire 376 boss mafiosi dal carcere usando il Covid come pretesto, narrazione che ha immediatamente infiammato l’anima giustizial-populista del paese. Nella realtà dei fatti però, la maggior parte di essi erano detenuti per reati di piccolo/medio calibro o si trovava ancora sotto processo, mentre solo tre di loro si trovavano realmente in regime di 41 bis. La scarcerazione di questi ultimi, avvenuta per motivi diversi dalle misure di prevenzione del contagio, verrà usata in malafede da chi sa che la parola “mafia” chiude qualsiasi discorso sui diritti (si pensi allo stesso 41 bis, criticato pesantemente dalla stessa UE ma su cui non è possibile nemmeno muovere critiche senza passare per simpatizzante delle cosche).
Nel gioco pubblico della politica, il carcere non è un tema che porti voti, anzi è considerato una specie di suicidio elettorale: così anche le rivolte di marzo sono finite in fretta nel dimenticatoio, e come sempre in questi casi l’unica voce a cui si dà ascolto proviene dall’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma della Polizia Penitenziaria) che si lamenta della mancanza di personale e delle condizioni di lavoro pessime. Ciò è anche vero, ma mai quanto lo è per la parte rieducativa del carcere: medici, psicologi, volontari sono perennemente sotto organico, sottoposti a stress e a turni massacranti.

Un problema enorme per una piccola giunta

I problemi del carcere di Ivrea sono molti e complessi, con radici troppo profonde per pretendere una miracolosa risoluzione dalla piccola giunta eporediese. Sarà tuttavia interessante vedere quale sarà la risposta della maggioranza al prossimo consiglio comunale: il tema del carcere non è certo uno dei temi centrali della Lega, attuale forza motrice della giunta eporediese, che anzi si distingue per il suo reazionarismo da operetta, acritico della divisa e feticista del manganello. Ma sarebbe un bel modo di cominciare l’anno nuovo vedere la giunta che governa la città affrontare un problema (o almeno riconoscerne l’esistenza) senza rifugiarsi in soluzioni facilone e repressive. O dobbiamo aspettarci che anche quest’anno il problema del carcere finisca dimenticato, magari seppellito da frasi di circostanza, luoghi comuni e da una presa di posizione del sindaco “solo a livello personale”? Confidando nel fatto che il 2021 porti nuove prospettive anche a chi amministra la città, attendiamo il consiglio comunale, consapevoli che anche un completo cambio di direzione gestionale non sarà mai efficace quanto il nascere di una nuova sensibilizzazione cittadina, base necessaria perchè il carcere diventi qualcosa di diverso da quello che è oggi.

Lorenzo Zaccagnini