La vecchiaia dagli occhi di una vecchia: incontro con Margherita Giacobini

Un romanzo ricco di argomenti trattanti aspetti differenti della società tutti di rilievo. L’omosessualità, l’immigrazione, l’integrazione, il terrorismo, la violenza e, infine, l’età ridicola

La sera del 25 gennaio si è tenuto alla libreria Mondadori di Ivrea l’incontro con Margherita Giacobini. L’autrice torinese – in verità anche saggista e traduttrice- ha presentato il suo ultimo romanzo L’età ridicola. In sala un consistente gruppo di lettori affezionati, eppure anche un cospicuo gruppo di persone attratto dalle tematiche quasi inedite presentate nel libro, desiderosi di saperne di più.

L’immagine in copertina è evocativa. Si tratta di una donna di una certa età, ma senza volto, e lo si riconosce dalla mano. Il rosso e la pistola spiccano, paiono fuori luogo: il rosso in una foto dai colori generalmente tenui, e la pistola stretta in una mano raggrinzita. Uniscono infatti un corpo non giovane, apparentemente inoffensivo, e lo iniziano alla violenza. La foto prelude il contenuto del romanzo. Tuttavia, per quanto riguarda l’arma, essa ha unicamente valore simbolico, che il lettore avrà piacere di decodificare nel corso del romanzo.
All’inizio della chiacchierata la trama ci è subito resa nota dall’autrice stessa. Gabriela, una bella ragazza emigrata dall’Est, si prende cura della vecchia – così viene denominata nel corso del romanzo – come se fosse sue nonna, raggiungendo un tale rapporto di intimità da confidarle tutto. Grazie a questa vicinanza l’anziana signora viene a conoscenza delle disavventure che pullulano la vita infelice della sua giovane badante. La vita di Gabriela, è composta da parenti poco raccomandabili che tentano di estorcerle più denaro possibile, e dal cugino Dorin, terrorista, il quale ad uccidere non si farebbe nessuno scrupolo, impegnato a rendere la vita di lei, che si rifiuta di sposarlo, un inferno sulla Terra. Gabriela e la vecchia, di cui non verrà mai svelato il nome, appartengono apparentemente a due sfere differenti. Giovane e anziana, di età lontane, di provenienza diversa, di ineguale educazione; si troveranno in realtà a costruire un rapporto complice, empatico, che non farà esitare la vecchia a difendere Gabriela di fronte alle ingiurie. La ragazza entra nella vita della signora che non vorrebbe più affezionarsi, ma non ci riesce. E’ una persona complessa e confusa, che deve imparare a difendersi nel mondo in cui vive, non sempre comprensibile per noi. Noi non migranti, non déplacé. Al minimo segno di pericolo Gabriela retrocede e si blinda all’interno, e nel frattempo potrebbe spargere lacrime, o torcersi le mani, ma sono soltanto manovre difensive per coprire la ritirata.
«Ho cercato di raccontare una storia partendo dalle cose che si conoscono, o che ci fanno paura. Ciò che ho scritto non l’ho inventato interamente, mi sono basata sulla verità delle cose accadute. Ho vissuto dei momenti con queste cosiddette ‘straniere’ che ci portano a pensare a quanto noi siamo stranieri nei confronti di noi stessi».

«Volevo anche raccontare l’amore che finisce perché finisce la vita. Viene raccontato poco ed è un peccato» prosegue l’autrice. Nel romanzo viene infatti introdotto il personaggio di Nora, la defunta compagna della vecchia. A farle compagnia, dopo la sua scomparsa, sono i dolori di un amore finito che lascia dietro di sé solitudine e passività. Si tratta di un ottimo spunto di riflessione: la vecchia ci viene presentata come innamorata, e il nome femminile Nora viene introdotto senza accennare all’omosessualità della signora. E così dovrebbe essere tanto nella finzione, quanto nella vita reale; l’omosessualità, o l’eterosessualità non sono, e non sono mai stati, “tratti” caratterizzanti e il modo in cui la Giacobino introduce il lettore alla vita privata della vecchia, sarebbe bene venisse finalmente normalizzato dopo anni di lotta all’eguaglianza. Lotta che, se la totalità della gente fosse dotata di intelligenza, non avrebbe avuto modo di iniziare, in quanto non ce ne sarebbe stato bisogno.

Generalmente è un libro che fa divertire. Dedicato alla morte, al sentirsi vecchi, a come rispondere a tono alle battute sottili indirizzate all’età e alla vita che giunge al termine inesorabile, senza vergognarsi, perché non c’è niente da nascondere. «La protagonista alla sua età può dire quello che pensa, senza freni, agli anziani si presta poca attenzione». Erroneamente però, perché la vecchiaia non è davvero un’età ridicola. Così tutti la credono da giovani, ma si ricredono da vecchi. Non è la vecchiaia a rendere stupidi, è l’ignoranza, ma per quella, una volta radicata, purtroppo non è stato ancora rinvenuto alcun rimedio.

Annalisa Mecchia