Le Memorie di Adriano ispirano il Jazz Festival

Dal 27 al 30 marzo a Ivrea una edizione ricca di musica, danza, arte e libri.

Lunedì 18 marzo, la presentazione dell’Open Jazz Festival edizione 2019 si è svolta su due piani non del tutto sovrapposti, si direbbe: da una parte il consueto, composto, composito entusiasmo da parte degli organizzatori mentre verso l’altra si rimarcava il ritardo nell’assegnazione dei contributi – che ha determinato pure il taglio di alcune performances – e la mancanza di un piano sistematico per far valere gli investimenti sul fronte della promozione nelle scuole e in città. Perché se è vero che pecunia non sonat, in mancanza di quella ogni creatività diventa sterile.
Eppure, leggendo in filigrana i contenuti e soprattutto il topos letterario a cui l’evento è dedicato si rivelano a noi alcuni elementi simbolici e particolarmente profondi. “Memorie di Adriano” è certamente un rimando alla letteratura classica, seppure nell’orientamento postumo di Marguerite Yourcenar, e anche in questo caso l’Open Jazz sembra da sempre guidato dalla mano di un umanista del Quattrocento, tanti e tali sono i riferimenti di quel tipo; ma homo novus è anche il ‘Nostro’ Adriano, quello che di Ivrea ha sempre saputo distillare il meglio e l’innovativo offrendolo al mondo senza che gli importasse troppo delle piccolezze altrui. Perfetta dedica per un Festival che eccelle tra quelli piemontesi, utopista e visionario quanto basta per essere soppesato dai circuiti ufficiali e non compreso. O, molto più probabilmente, compreso anche troppo: ma non sono queste le pagine, analisti ben più autorevoli di me se ne sono meravigliosamente occupati (Gabriele Ferraris, n.d.r.) e di vero cuore opero un ‘transeat’, non privo di un po’ di pena per chi non vuole apprezzare né la tradizione né la portata culturale di questo evento.

Anche in quest’edizione prevale un sentimento diffuso per cui l’arte deve saper essere offerta e percepita in ognuna delle sue forme possibili e nello stesso contenitore ideale. In particolare, l’Associazione ArteinFuga prosegue la propria collaborazione con l’Open organizzando nei giorni del festival due distinte mostre: la prima, allestita in Santa Marta, si intitolerà ‘Sguardi Africani’ dagli scatti della fotografa Odina Grosso; la seconda occuperà gli spazi del Caffè del Teatro e sarà incentrata sulle opere di alcuni pittori torinesi come Tony Murioni e Daniela Gorla (rispettivamente Presidente e Vice-Presidente dell’associazione) con Eugenio Pacchioli, Ennio Marzano, Umberto Pettene, Alfredo Samperi, Lanfranco Costanza, Susanna Clarino.
La danza, elemento insostituibile e fondante della rassegna, sarà presente quest’anno anche attraverso inaspettati e coinvolgenti flash mob per le strade della città, come di consueto ideati e nobilitati dalle bravissime Cristina Ruberto, Francesca Galardi e Giulia Ceolin. Mi piace particolarmente la loro motivazione nel portare la danza fuori da teatri e luoghi chiusi per farla giungere ‘a un pubblico che non sa ancora di essere tale’. Pensiero de-condizionato, e per questo anche parecchio jazz.
La parola scritta determina solitamente un bel passo di qualità e all’Open infatti non manca mai: ecco dunque che venerdì 29 marzo alle ore 18.00 in Sala Santa Marta verrà presentato dal libraio ed esperto Davide Gamba il più recente lavoro dello studioso Franco Bergoglio, che nel titolo ricorda vagamente un famoso standard di Henry Mancini (The Days of Wine and Roses), ma dove la trattazione riguarda invece l’incanto sotteso ai dischi pubblicati nel 1968, con tutto il bagaglio di informazioni storiche, sentimenti, trip ideologici che l’argomento reca con sé. “I giorni della musica e delle rose” è un ottimo volume, con una bella copertina psichedelica e in sé l’autorevolezza di un musicologo raffinato. E così sarà sempre lui, insieme al libraio Gianmario Pilo, a presentare sabato 30 marzo, sempre alle ore 18 e sempre in S. Marta, il libro del giornalista e musicologo Davide Ielmini sul gruppo italiano più longevo di sempre, e cioè Enten Eller. “Il Suono ruvido dell’innocenza – Musica, testi e immagini di Enten Eller” vede una narrazione appassionata e documentata e si avvale della prefazione di Claudio Sessa. Non leggere questo volume risulta quasi impossibile, sia per un jazzofilo che per un amante di storie ineffabili.
E non possiamo considerare ‘arte’ anche il vino buono? In questo caso – e spero lo sia – Ciro Lubrano di ‘Vino e Dintorni’ sarà presente in entrambe le giornate del festival che si svolgono in S. Marta, con le degustazioni sapienti in collaborazione con la cantina Cella Grande di Viverone.
Ma il locale appena citato sviluppa anche quest’anno una fattiva collaborazione con l’associazione letteraria ‘TiConto?’, che in altre occasioni ha visto il tutto esaurito. Mercoledì 27 marzo alle ore 18 proprio a “Vino e Dintorni” potrete assistere a un reading il cui apparato musicale vede un duo intenso e dalle sonorità perfettamente miscelate, composto dal chitarrista Loris Deval insieme al flicorno di Bruno Martinetti. Meglio prenotare per tempo, entro sabato 23, al numero 0125/641223.

Venerdì 29 marzo, dopo la presentazione del libro di Bergoglio e la degustazione etilica, il concerto in Santa Marta alle 18 è di quelli che iniziano veramente bene un percorso musicale. Interessante il gruppo E-volution: sotto la guida del bassista altoatesino Norbert Dalsass con Luis Zöschg alla chitarra, Christoph Zöschg alla batteria e come ospite il trombettista austriaco Martin Ohrwalder, già membro della Jazz Orchestra Tirol, viene presentato il lavoro ‘Albatros’ puntinando con l’aiuto dell’elettronica il viaggio emblematico intrapreso dall’uccello per procurare cibo al proprio piccolo. Non mancano spunti per riflettere e lasciarsi completamente andare alla musica.

Baba Sissoko

Alle 21,30 inizia la tradizionale programmazione dell’Open al Teatro Giacosa, e la delizia comincia con due chitarristi dal suono travolgente e peculiare che si incontrano ed è un incanto per occhi e orecchie. Maurizio Brunod insieme al grande Elliot Sharp promettono note abbacinanti che continueranno a volare – e far volare – per tutto il mese d’aprile all’interno di una copiosa serie di concerti americani.
Ore 22,15 e l’energia è già altissima. Conviene dunque non resistere e godersi questo ‘concerto del trentennale’ insieme a quei magnifici portatori sani di ritmo degli Odwalla, unico gruppo italiano finora unicamente formato da strumenti a percussione. Qui l’incontro è con Baba Sissoko, non è nemmeno la prima volta che suonano insieme con reciproca soddisfazione e il minimo comune denominatore è l’Art Ensemble Of Chicago, di cui i primi omaggiano un brano nel nome e con cui il musicista del Mali ha spesso collaborato. Suonano in Odwalla Massimo Barbiero a marimba, vibrafono, percussioni; Matteo Cigna a vibrafono e percussioni; Stefano Bertoli alla batteria; Alex Quagliotti a batteria e percussioni; Andrea Stracuzzi e Doudù Kwateh alle percussioni; Doubata Diarrà a djembé e kora. Oltre alla voce di Gaia Mattiuzzi e Baba Sissoko a voci e tamà (tamburo parlante) la danza affiora dai gesti di Giulia Ceolin e Gloria Santella. Due set pirotecnici e cosmopoliti nell’accezione più colta.
Ancora non paghi, ci si può trasferire al Caffè del Teatro dove alle 23,50 potrete rifocillarvi (ma senza troppo clangore, perché i musicisti suonano in una tonalità diversa da quella riferita al banchettare…) accompagnati dai bravi Night Dreamers con Emanuele Sartoris al piano, Simone Garino al sax, Antonio Stizzoli alla batteria e Dario Scopesi al basso. Sembra possano interpretare brani degli Enten Eller rivisitati, e se così fosse sarebbe bellissimo e interessante.

Infine, sabato 30 marzo e ultima sensazionale serata nella quale lascio trapelare un po’ d’emozione rispetto al primo set. Protagonista infatti è la Wolfgang Schmidtke Orchestra, che prende il nome da uno dei musicisti più eclettici e ‘panartistici’ in circolazione: da Stockhausen a Randy Brecker fino all’attrice Hanna Schygulla e ai valori aggiunti Steve Lacy e Lee Konitz all’interno della propria orchestra, la sua biografia è un continuo tuffo al cuore e nel contempo una meraviglia per gli amanti della citazione. Anche in questo contesto gli ospiti si alternano, sono prestigiosissimi e la loro musica si fonde a perfezione con lo spirito collettivo (vi ricorda qualche altro gruppo qui noto?!), soprattutto considerato l’omaggio a uno dei musicisti più sfaccettati e splendenti del jazz. La creazione ‘Monk’s mood’ vede Ryan Carniaux, John-Dennis Renken, Martin Ohrwalder, Nikolaus Neuser alla tromba; Gerhard Gschlössl, Thorsten Heitzmann, Mike Rafalczyk al trombone; Peter Cazzanelli al trombone basso; Nicola Fazzini a sax alto e sax soprano; Gerd Dudek a sax tenore e soprano; Helga Plankesteiner al sax baritono; Michel Lösch al piano; Igor Spallati al contrabbasso; Bernd Oezsevim alla batteria e il nostro Schmidtke a sax soprano, clarinetto basso e conduction.
Alle 22,30, i sensi piacevolmente sopraffatti, ci si affida a due nomi solidissimi del jazz italiano. Anche in questo caso però è tranquillità solo apparente e non risponde certo ai novelli dettami del (presunto) sentire attuale sulla ‘prevalenza dell’italiano’: nulla qui di più aprioristico e insensato perché a tromba e piano dei nostri grandi Fabrizio Bosso e Giovanni Guidi contrappuntano sulla scena il sax tenore di Aaron Burnett e soprattutto la sezione ritmica composta da Dezron Douglas al contrabbasso e Joey Dyson alla batteria. Il lavoro è intitolato ‘Not a What’ e muove dalla famosa frase del pianista Bill Evans su come il jazz non sia ‘un cosa’, ma ‘un come’. (“Jazz is not a what, it is a how”). Si vola alto.
Alle 23,50 il Caffè del Teatro propone il concerto del gruppo Svengali, un quartetto formato da Igor Vigna a tromba e flicorno, Alessandro Romeo alla chitarra, Marco Bellafiore al contrabbasso e Filippo Abrate alla batteria. Giovani e bravissimi musicisti che concludono con una serie di composizioni originali una rassegna davvero ricca e ben strutturata.

Nella chiusa si vuole tornare ai primi concetti espressi, come se fosse il Tg dell’Open: sin qui si potrebbe dire che la direzione artistica (con Massimo Barbiero, sua naturale sineddoche) non si sia minimamente lasciata travolgere da tutte le difficoltà, e anzi abbia rilanciato in qualità e cultura.
Per quanto riguarda invece il nasino snob dei circuiti dimenticanti, c’è una frase che ricordo più di ogni altra proprio in “Memorie di Adriano” (nella traduzione di Lidia Storoni Mazzolani): “Ogni tolleranza accordata ai fanatici li induce immediatamente a credere a una simpatia per la loro causa.” E accidenti quanto è attuale.

Lorenza Cattadori