Musicista, straniero e pure disoccupato

Testimonianza di un italiano a Lipsia

Sto a Lipsia da quasi un anno e non parlo tedesco, ma vivo con un indigeno e un portoghese che parlano un ottimo inglese, anche loro musicisti. Il mio lavoro non é un lavoro vero e proprio. Faccio parte di un collettivo che ha l’intenzione di far musica, nel senso più ampio, che comprende suono, spettacolo e poesia, alle proprie condizioni e con i propri ritmi. Ci sosteniamo a vicenda e ci facciamo sostenere, un po’ come le grandi masse di eterni stagisti lume della nuova economia del lavoro, ma questa è un’altra storia.
Il Coronavirus è arrivato con tempismo perfetto e ha colpito nel momento esatto in cui abbiamo posto la prima pietra di un progetto complesso, ma preparato minuziosamente in ogni dettaglio: la registrazione dell’album solista del suddetto artista portoghese, corredato da un documentario amatoriale, con un cast internazionale di musicisti e artisti chiamati a collaborare da ogni dove: un batterista dall’Olanda, un arrangiatore dal Portogallo, due membri del collettivo da Colonia, un pittore dall’Italia. Sembra una roba da megalomani vero? Eppure pensate che fino a due mesi fa, sarebbe stato semplice, forse addirittura normale.
Non vorrei sembrar presuntuoso, a indovinare quel che frulla nelle teste altrui, ma sono sicuro che anche voi come me sentite già una certa distanza da quel mondo di prima, specialmente in quelle libertà che la mia generazione (ho 26 anni) ha sempre dato per scontate. Eppure vivo in Germania e, per chi non lo sapesse, la situazione è molto diversa rispetto a dove state voi. La sensazione è di una normalità appesantita, di una leggera inflessione delle libertà, per niente offensiva e molto sensata. L’atmosfera è di attento disinteresse: le regole che ci sono si seguono, spesso si sgarra un poco, mai abbastanza da impensierire le frequenti pattuglie della polizia, che per lo più osserva e si fa notare, senza intervenire. Si può uscire, senza mascherina (da lunedì 21 obbligatorie nei negozi e mezzi pubblici, ma basta una sciarpa o un fazzoletto), senza guanti, si può frequentare il proprio nucleo di conviventi (ma chi controlla?), si può correre, passeggiare nelle strade e nei parchi, in macchina, in bici e immagino anche in barca. Una pacchia.

Dove sta il trucco? Il trucco, non quello dei numeri e dei complotti su infezioni e contagi, ma che rende la situazione in Germania altrettanto preoccupante che nel resto d’Europa, é nell’inflessione della libertà, reale e percepita. Vediamola dal punto di vista del lavoro: la Germania ne offre tanto, e ben pagato, soprattutto per lavoratori stranieri e stagionali. Il settore agricolo si basa su questi migranti provvisori. La chiusura delle frontiere impone la riorganizzazione del settore e i tedeschi, che hanno la tendenza a fare le cose per bene, non istituiscono un servizio agricolo obbligatorio, ma incentivano l’impiego di residenti in Germania, agevolando le procedure per la loro assunzione e, per mantenere il controllo sullo spostamento degli stranieri, rendono più difficoltoso l’impiego di questi ultimi. La Germania é maestra nell’esercizio di una sorta di potere dolce, anche al proprio interno, con i propri cittadini, che sicuramente dà ottimi frutti, ma mette anche in guardia sul futuro dell’Europa in quanto assenza di confini. Non mi illudo di pensare che i confini in Europa fossero spariti, ma penso seriamente che ogni giorno e ogni anno, fino a due mesi fa, ci eravamo più vicini. Era una di quelle cose che stranamente faceva comodo a tutti (ovviamente sto completamente tralasciando la questione extracomunitaria, ma concedetemi la finzione).
La condizione attuale é una regressione nel rapporto della comunità con lo straniero, la gente si gira a guardarmi, dice “Italienisch” quando vede la targa della mia macchina, il che non vuol dire che mi disprezzano o mi biasimano in alcun modo, ma che mi percepiscono come anomalo. Questa cosa, prima, non esisteva.
Dalle informazioni disponibili (molte, troppe e confuse), la Germania pare in una condizione favorevole nella gestione della pandemia: il contagio é stato rallentato al punto che il sistema sanitario é in condizione di reggere e in tempo per prepararsi ad ogni evenienza. La cattiva notizia é che la famigerata immunità di gregge o di determinate fasce della popolazione, é ancora lontana. Cosa significa? I confini resteranno probabilmente chiusi a lungo e la leggera e dorata inflessione delle libertà avrà tempo e modo di normalizzarsi, se la popolazione lo lascerà accadere (ma perché non dovrebbe? Un po’ di pessimismo, giusto per tirarvi su il morale).
Concludo, cercando di chiudere alcune delle parentesi lasciate aperte: questi due mesi li abbiamo passati cercando di fare in tre il lavoro di dieci persone, con esito ancora da valutare e notevoli difficoltà emotive, fisiche ed economiche (qui in ordine di importanza). Non ci é consentito suonare per vivere, fare lavori tecnici collegati (io sono anche fonico) e siamo costantemente spinti da una colpevole atmosfera coltivata dai mezzi di informazione nazionali e internazionali a sentirci moralmente colpevoli di essere al di fuori di qualcosa che chiamano il nostro paese, per giunta senza un lavoro, senza una casa a contratto, senza sapere la lingua eccetera eccetera…
Ma come ci permettiamo? (ogni riferimento a situazioni analoghe del recente passato é puramente casuale).

Pietro Pagliana