Non è spettacolo. Green Day a Torino

green dayUn piccolo articolo su La Stampa.it, che tirava le fila dei concerti in Italia del 2017, prevedeva che i concerti di gennaio dei Green Day sarebbero stati uno spettacolo, uno show, ancor più che musica. Al Pala Alpitour di Torino, il 10 gennaio, la band ha dimostrato l’opposto.
La presa di posizione politica è fermissima e, proprio per capire che si tratta di un concerto e non uno show, dobbiamo parlare subito di questo. La scaletta propone tra le prime canzoni le novità dell’album del 2016 Revolution Radio, un lavoro che presenta pezzi antimilitaristici, che riflette sulla predominanza dell’istinto e dell’impulso. La partecipazione massima del pubblico arriva in American Idiot e Holiday, scritte nel 2004 ma con un messaggio che oggi è addirittura rafforzato. Proprio nel momento in cui la situazione americana come quella europea è alle porte di un cambiamento sostanziale, il cantante e chitarrista Amstrong canta: “Una nazione controllata dai media/ La nazione della disinformazione e dell’isteria”. Questo è il lato più esplicito della discografia della band: si ha davanti un gruppo che guarda in faccia il potere e si oppone. Durante l’esecuzione di Letterbomb Amstrong si riferisce direttamente a Trump e urla “Non è il mio presidente”.

Queste canzoni assumono una marcia in più in tour. Sono brani che abbracciano gli assetti politici di ogni Stato in cui sono suonate dal vivo, il pubblico lo riconosce ed è spinto a prendere posizione da una musica che scende in campo. La serata non si può considerare spettacolo perché sul palco non ci sono immagini colorate ma idee, perché la musica dimostra che una canzone non significa soltanto un sottofondo e un suono perfetto, ma anche un invito a pensare.
Il gruppo non si ferma un attimo e in poco tempo si arriva alle canzoni migliori della scaletta, estratte da Dookie del 1994. All’epoca Amstrong aveva 22 anni: i brani esprimono i pensieri frenetici e frustrati dell’adolescenza, sono pezzi impagabili che non invecchiano. Emblema di questo è il brano Burnout , che si apre con una rullata di batteria dopo la quale immediatamente si inseriscono gli strumenti e la voce, senza intenzione di fermarsi. L’adolescenza esplode e chiunque tra il pubblico si riconosce nelle parole “Non sto crescendo, sto semplicemente bruciando […] L’apatia è piombata su di me/ Adesso mi sento come un sogno bagnato/ Così vicino ad annegare”. La giovinezza brucia e si deteriora, la musica che lo spiega è veloce e diretta, irresistibile. Oltre a Basket Case, in parallelo con Burnout, sono eseguite When I Come Around, Welcome to Paradise, Waiting, Christie Road. Canzoni che camminano a vuoto per la città, abbandonate nei quartieri americani decadenti.
Sono poche le band ad avere un rapporto con il pubblico così caloroso. Amstrong non riesce a stare fermo più di qualche secondo e instancabilmente comunica con il pubblico, invita gli spettatori a muoversi, occupa qualsiasi spazio possibile sul palco. Ed esegue alcuni pezzi con una convinzione doppia rispetto alla versione in studio. In  i musicisti si travestono, il turnista Freese regala un bellissimo assolo di sassofono, con in testa un cappello a forma di escremento che sorride. Ci sono siparietti, alcune canzoni sono lasciate cantare per metà al pubblico. E’ spettacolo, ma in senso positivo. Gli spettatori hanno un’età media di trent’anni (non di quindici come credono in molti) e vogliono essere intrattenuti soltanto dai musicisti. Non c’è motivo di prendersela con i siparietti, di accusare il gruppo di essere diventato troppo leggero. Proprio i siparietti rappresentano una comunicazione con gli spettatori che evita la bellezza degli schermi, del palco o della scenografia. Il rapporto migliore con il pubblico si ha quando, in poche parole, si suona per lui.
Con il concerto ho concluso, voglio aggiungere un’ultima cosa più generale. Ho sempre amato il gruppo per i dischi del 2012 ¡Uno!, ¡Dos!, ¡Tré! più che per i brani riportati sopra. Era risaputo non li avrebbero suonati, i tre dischi sono d’impatto minore rispetto ai concept-album pubblicati precedentemente e il tour deve proporre canzoni che scuotano un palazzetto. Questo invece per me è stato uno dei punti più alti della carriera del gruppo: la band ha pubblicato tre dischi di argomenti assolutamente dimessi, come gli amori liceali, la musica era divertente e senza pretese. Dischi spensierati, che avevano dato l’impressione di essere fuori luogo. Mi serve ricordare questi album per spiegare che di sicuro ha senso andare al concerto, ma per essere soddisfatti ascoltando questo gruppo basta mettere nello stereo una di queste canzoni. Si ascolteranno tre amici che si trovano in una stanza, con gli strumenti in mano, e crescerà ancora di più la voglia di fare musica.

Elia Curzio