PIIGS, quando il documentario supera il cinema

PIIGS, ovvero come imparai a preoccuparmi e a combattere l’Austerity”, visto al Cineclub Ivrea il 9 e10 gennaio

Questo è un lavoro che bisognerebbe studiare a memoria. Merito delle Rosse Torri che l’avevano già inserito nel trascorso programma di IvreaEstate 2017 e merito del Cineclub per la riproposizione all’interno dell’attuale rassegna. Sì, perché di un cinema così diretto e realista abbiamo bisogno come di una percussione che ci ricordi quanto siamo regolarmente strumentalizzati, manipolati, disinformati, plagiati ecc.
In quest’ora e 16 minuti di realtà non celata si svela il quadro della nostra condizione “democratica”, si toglie il velo agli inganni che l’ideologia del capitalismo iperliberista usa come regolare propaganda. Una serie di interviste a personaggi della sociologia, della politica e dell’economia famosi, come Noam Chomsky, Yanis Varoufakis, Federico Rampini, lo scrittore Erri De Luca e altri ci spingono a capire, riflettere, verificare su quali fatti dormono le nostre coscienze.
Questo è un film dove si può entrare impregnati di una ideologia e uscirne trasformati nelle proprie solide convinzioni. L’efficacia del messaggio, come sempre, sta nella semplicità dell’esempio.
Che cos’è la macroeconomia? Mettiamo che in una stanza ci siano 100 cani e vengano loro distribuiti 95 ossi. Va da sé che 5 cani restano senza pappa. (E questa è la macroeconomia).
Cos’è invece la microeconomia? La microeconomia affronta analisi particolareggiate sul perché 5 cani restano a secco e, imbeccata dai governi, ci spiega che i 5 cani senza osso devono addestrarsi meglio per spuntare la pappa.
Chi sono dunque i cinque cani a digiuno? Ovviamente gli stati sfigati dell’Europa da cui l’acronimo P.i.i.g.s., del titolo del film, e cioè Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna, gli stati indolenti ed edonisti che invece di sgobbare si divertono. Di qui la crisi infinita di questi Stati che devono diminuire il loro debito pubblico.
Questo è quanto ufficialmente ci viene detto dai media. La verità invece è dissonante e ci viene spiegata nel film compreso il meccanismo per cui l’Euro ha avvantaggiato i cosiddetti paesi forti e portato alla crisi i più deboli.
Alla fine del documentario più di uno, in sala, sfoga, in un applauso liberatorio, la soddisfazione di condividere l’acutezza dell’analisi esposta. Nel film si sente dire che l’economia è tutto e che, se noi non ci occupiamo di essa, essa si occupa comunque di noi, secondo un accalorato assioma già utilizzato per la politica.
Naturalmente, nonostante l’enorme ingiustizia creata dalle politiche iperliberiste, c’è sempre l’esperto di turno, nel film, a ricordarci che al sistema capitalista non c’è alternativa e i popoli sono stati peggio proprio là dove c’era o c’è il comunismo. Sarà, ma il fatto è che, se anche i 5 cani perdenti diventano più competitivi, altri 5 ne fanno le spese e non leccano l’osso. E comunque io non sopporto che il capitale faccia fallire le cooperative che si sbattono nel sociale a fini umanitari, come si vede nel film, o che, per fare un altro esempio, questa volta extrafilmico, un’azienda farmaceutica smetta di fare ricerca sull’alzheimer perché non è più conveniente economicamente. Io sono stufo di assecondare qualcuno che al posto mio decida come e quanti ossi tirare ai cani. Qui non è più una questione economica o politica, qui la questione è antropologica.
Il che vuol dire che il nostro letargo deve finire, che la coscienza individuale (quella collettiva viene dopo) deve aprirsi.
Erri De Luca ricorda nel film che i “desti” sono numericamente sparuti e, purtroppo, non fanno “mucchio” a contrasto e ha perfettamente ragione.
In platea qualcuno, come detto, ha applaudito il film, qualcun altro ha dormito e qualcun altro, ancora, è sgattaiolato via annoiato dopo una decina di minuti di proiezione. E tutto questo rientra nella norma per cui un film così parla soprattutto a chi ha già capito. Se però il pungolo concettuale non serve a spostare almeno qualcuno, tra quelli in fase di “dormiveglia”, allora vuol dire che ci meritiamo di stare senza ossi.

Pierangelo Scala