Ricapitolando: cosa è successo in Via Ruffini 27 a Ivrea?

Accattonaggio, multe e responsabilità delle cooperative: questi i temi principali della mozione discussa in consiglio comunale il 27 settembre. I soggetti in questione sono i richiedenti asilo o protezione umanitaria presenti sul nostro territorio e le cooperative sociali che si occupano della loro accoglienza.

La mozione, presentata dal consigliere di minoranza Alberto Tognoli (Lista dei Cittadini), poi approvata all’unanimità dal Consiglio Comunale di Ivrea con diverse modifiche, proponeva di sanzionare le cooperative responsabili della “vergognosa necessità, da parte di alcuni profughi, di ricorrere all’accattonaggio nei parcheggi cittadini o davanti ai negozi.” Non è però nelle sale comunali, né nei parcheggi o davanti ai negozi che aveva radici la mozione. L’iniziativa di Tognoli nasceva infatti dagli avvenimenti di Via Ruffini 27, dove il collocamento da parte della cooperativa Mary Poppins di un gruppo di migranti in due appartamenti aveva scatenato reazioni di protesta da parte di alcuni residenti.
La miccia era stata accesa da Alessandro De Stefano (fratello dell’ex consigliere comunale Massimiliano, per coincidenza sostituito nel Consiglio Comunale eporediese per dimissioni proprio nella seduta del 27 settembre) proprietario di un alloggio in cui hanno vissuto fino ad ora la sua ex moglie e i suoi figli, De Stefano sosteneva che il condominio sarebbe diventato invivibile da quando vi sono stati trasferiti i giovani migranti, in particolare per l’eccessivo numero di ospiti in due appartamenti che potrebbero ospitarne al massimo dodici.
Difficile capire di quanti ospiti si sia parlato, su alcuni giornali si parlava di 16 persone, mentre De Stefano parlava di una ventina.
“Non sono contrario all’accoglienza, anzi” ci teneva a precisare, ma “bisogna assolutamente trovare una soluzione, ma la soluzione non può certo essere quella di ammassare tanti immigrati in spazi così piccoli, dieci ospiti per stanza con un bagno e due camere.
Oltre ai numeri incerti, non è chiaro nemmeno se in questi “conteggi” vi fosse una distinzione tra i migranti che effettivamente abitano gli alloggi e semplici conoscenti in visita. Nelle parole dello stesso De Stefano: “Ce ne sono molti di più, perché c’è un continuo via vai di ragazzi che entrano ed escono, che vengono a trovare i loro amici, che la fanno da padrone, tanto da costringere la mia famiglia a cercare un’altra casa con tutti i problemi economici che ne conseguono.
La vita al numero 27 di Via Ruffini sarebbe infatti diventata talmente insopportabile da costringere la famiglia di De Stefano ad abbandonare l’appartamento. De Stefano ha parlato di “urla e liti a tutte le ore del giorno e della notte”, ma la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso sarebbe stato un alterco dell’ex moglie con qualcuno degli ospiti del condominio (anche se, su alcune testate, l’episodio è riportato come delle molestie subite dalla figlia minorenne) in seguito al quale, il 15 settembre, è stato organizzato un vero e proprio sit-in di protesta che avrebbe coinvolto alcuni residenti della zona.
All’iniziativa hanno partecipato anche degli attivisti di Casa Pound. Secondo quanto dichiarato dal referente eporediese Igor Bosonin, sarebbero stati contattati da De Stefano stesso.
Un’intesa che, se effettivamente c’è stata, sembra non essere durata a lungo: “De Stefano ci ha subito contattati dopo che la figlia minorenne aveva subito molestie da alcuni immigrati ospitati in una palazzina nel quartiere Fiorana. Ora, anche tramite il gruppo FaceBook ‘Ivrea Libera senza censura’, che non è né libera né anti-censura, ci ha ovviamente oscurato, schierandosi apertamente su posizioni a difesa dei clandestini.
In molteplici resoconti, tuttavia, gli organizzatori del sit-in hanno negato di aver invitato Casa Pound o qualsiasi altra forza politica all’incontro.
Fin qui si tratta di una sequenza di avvenimenti che lasciano più domande che risposte: quanti sono, dunque, i migranti ospitati nell’edificio? In che stato si trovano i due appartamenti coinvolti, secondo De Stefano “alloggi che non sono stati nemmeno ristrutturati, senza nemmeno impianti e serramenti adeguati”? Qual è la vera natura del coinvolgimento di Casa Pound, e perché gli organizzatori del sit-in e gli attivisti ne danno due versioni differenti?
E infine, di che tipo sono esattamente i problemi creati da questi nuovi inquilini?
Ad alcuni di questi interrogativi ha risposto Giulia Bonavolontà, presidente di Mary Poppins, in un’intervista rilasciata a Il Canavese. Bonavolontà ha dato la sua versione dei fatti smontando le accuse di sovraffollamento (“Il numero dei migranti […] ammonta a 12 persone ospitate, sei per appartamento, come dichiarato dalla nostra cooperativa”) e sostenendo di non aver ricevuto alcuna lamentela da parte degli altri residenti della zona, al di fuori del caso De Stefano.
Bonavolontà ha anche specificato che non risulta essere stata depositata alcuna denuncia in seguito alla presunta aggressione subita dall’ex moglie di De Stefano. Inoltre, la storia raccontata dai migranti in questione è molto differente: sarebbe stata la signora ad accendere il diverbio nel cortile del condominio, lamentandosi della loro presenza a suo dire numericamente eccessiva.
In seguito a una replica del genere, è chiaro che le dichiarazioni rilasciate da De Stefano e chi lo ha sostenuto appaiono sotto tutt’altra luce, soprattutto considerando la poca chiarezza che le ha caratterizzate fin dall’inizio.
Innegabilmente, le vicende di zona Fiorana sottolineano ancora una volta l’importanza di una comunicazione trasparente da parte di Comuni e cooperative sul tema dell’accoglienza. È sempre più evidente come la presenza dei richiedenti asilo nel nostro Paese stia portando alla luce diversi nodi di tensione sociale, la cui vera origine non ha sempre a che fare con l’immigrazione stessa. Nodi che le istituzioni devono avere il coraggio e l’intelligenza di non nascondere sotto il tappeto.
Ma non bisogna dimenticare che anche essere un semplice cittadino comporta resposabilità, non solo diritti, e che non basta la frase “Non sono razzista, ma…” per cancellare comportamenti e gesti di intolleranza.

Elisa Alossa

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