Scienza dei luoghi comuni

CONTRONATURA di Diego Marra sull’uso di frasi fatte anche nella pubblicità ingannevole

Tutti, nel nostro quotidiano favellare, utilizziamo frasi fatte, luoghi comuni, modi di dire. È comodo descrivere concetti con proposizioni preconfezionate; importante, però, che si utilizzino con interlocutori che ne comprendano il significato metaforico.
Alcuni luoghi comuni sono talmente radicati da essere utilizzati anche giornalisticamente o in comunicazioni pubblicitarie. Pare che nessuno si soffermi a considerarne la correttezza scientifica.
Sì, è vero, chi se ne frega della correttezza scientifica, l’importante è comprendersi! Ma, se nel linguaggio parlato ciò è funzionale alla rapida comprensione e tutti ne attingiamo a piene mani, nelle comunicazioni ufficiali, nelle pubblicità, sui giornali trovo spesso irritante l’utilizzo di frasi di cui l’autore, probabilmente, non conosce il significato scientifico. E poi… sono cavilloso e mi piace indagare sul pelo nell’uovo (ops! anch’io utilizzo modi di dire comuni!).
E cominciamo dal più divertente: “nascondersi dietro una foglia di fico”. L’espressione è usata per indicare l’intenzione di celare maldestramente un’azione disonesta o sconveniente, fingendo d’intraprendere un’azione lecita che distolga l’attenzione dai reali fini del proprio agire, mentre si sta compiendone un’altra molto diversa da quella. Penso che l’espressione derivi dall’iconografia cristiana che rappresenta Eva e Adamo che si riparano le pudenda con una foglia di fico dopo aver commesso il furto del pomo che ci precluse il paradiso terrestre (mannaggia a loro!). Avete mai palpato una foglia di fico? Io lo faccio spesso quando raccolgo i prelibati frutti dall’albero e non consiglierei di appoggiarsela in un luogo delicato della nostra anatomia, perché le foglie del fico sono cosparse di peluria alquanto irritante, meglio una foglia di acero, più piccola, ma non urticante, certo potrebbe essere insufficiente in caso di abnormità genitali.
Un modo di dire usatissimo, spesso a sproposito e per me alquanto indisponente, è: “c’è l’ha nel DNA”. Lo ascolto regolarmente ripetere, soprattutto in campo sportivo per descrivere le imprese di qualche atleta, specialmente calciatori, ad opera di allenatori, commentatori o giornalisti. Ma lo sapranno cos’è il DNA?
Non mi addentro in spiegazioni di biologia molecolare (peraltro pleonastiche in questo contesto di lettori coltissimi) perché tutti sanno che l’acido desossiribonucleico (=DNA), racchiuso nel nucleo cellulare e organizzato in geni e cromosomi, contiene le informazioni per la trascrizione delle proteine che costituiscono gli organismi viventi. Ma l’espressione dei geni non è matematica; il genotipo, cioè l’insieme dei geni, produce una base organica su cui agiscono numerosi fattori ambientali che possono indirizzare la costituzione dell’individuo; per non parlare delle ultime scoperte dell’epigenetica (non vi delucido: cercatevi la spiegazione su Wikipedia). Semplificando: non c’è un gene, cioè un pezzo di DNA, che conferisca una particolare capacità, per esempio calciare un pallone, le abilità derivano da un’interazione multifattoriale su base genetica.
Una locuzione ricorrente nella pubblicità di integratori, cosmetici e pseudofarmaci è: “scientificamente testato”. Per esempio, ricorre ultimamente la pubblicità radiofonica di un integratore che promette meraviglie sulla salute dell’intero organismo, una vera panacea! Insomma, la simpatica voce del testimonial, Gerry Scotti, annuncia tutti i benefici di questo costoso e dubbiamente utile stimolatore del sistema immunitario a base di papaya fermentata. Ci può stare, qualche effetto potrebbe averlo, ma il fatto che lo si definisca scientificamente testato al termine dello spot, lascia molti dubbi, perché la discussione è aperta nel mondo scientifico e i risultati non sono conclusivi.
Comunque non è l’unico caso, altri ricorrono a tale affermazione per vendere i loro prodotti. Ritengo che utilizzare tale reboante fraseologia rientri nel contesto della pubblicità ingannevole e come tale dovrebbe essere sanzionata per tutelare consumatori con inadeguate cognizioni scientifiche. Ma è solo un mio parere.
Se qualcuno, dell’irrisorio numero di lettori che avesse apprezzato il mio onanismo mentale sui modi di dire scientifici, avesse qualche curiosità scientifiche su altre frasi fatte prego comunicarmelo, in modo che io possa proseguire questa perversa analisi dell’inutile fino a quando mi sarò “bevuto il cervello”.
Diego Marra