Senza respiro. Come ripensare un modello di sanità pubblica

Lunedì 9 novembre la presentazione per il Piemonte del libro di Vittorio Agnoletto “Senza respiro” durante l’incontro online “Contagiati e sacrificati” organizzato dal PRC di Torino.

Senza respiro lo si può definire una “scatola nera” della pandemia da Coronavirus. Non un instant book, scritto e pubblicato in fretta e furia per speculare sulla pandemia, tutti i ricavi andranno all’ospedale Sacco di Milano, una struttura pubblica, ma un’inchiesta indipendente del medico, ricercatore e attivista Vittorio Agnoletto, che in questi mesi ha raccontato e documentato ogni aspetto dell’epidemia Covid 19 e in particolare che cosa non ha funzionato. L’inchiesta è stata svolta in collaborazione con l’Osservatorio Coronavirus, un’equipe collegata a Medicina Democratica e la trasmissione 37e2 di Radio Popolare. Un lavoro rigoroso che coniuga la ricerca scientifica con l’inchiesta giornalistica e che raccoglie la sintesi di migliaia di testimonianze di cittadini e di operatori sanitari e la rielaborazione dei dati della pandemia. (dal sito dell’editrice altreconomia)

Da un’intervista a Vittorio Agnoletto*

Senza Respiro è un libro che Vittorio Agnoletto non avrebbe voluto scrivere, come lui stesso afferma, perché narra di un dramma che ancora stiamo vivendo, ma poi aggiunge “ho pensato però che fosse mio dovere scriverlo, per raccontare quello che ho visto e ascoltato, per provare a ragionarci sopra e per avanzare delle proposte.” Uno degli obiettivi del libro, ci dice Agnoletto, è quello di aiutarci a non rimuovere, per naturale difesa, quello che stiamo sperimentando perché è importante invece rielaborare l’esperienza dolorosa e farlo collettivamente, perché diventi un patrimonio dal quale partire e guardare in avanti. Altro obiettivo è quello di capire come tutto questo possa essere accaduto e quali sono le responsabilità. “Non c’è dubbio che il virus abbia fatto la sua parte, ma ci sono state anche grandi e gravi responsabilità umane che hanno favorito l’azione del virus, responsabilità che si sono assunti coloro che hanno il compito istituzionale, ai diversi livelli, di tutelare la nostra salute”. E infine l’obiettivo forse più importante: capire che cosa è accaduto e perché, comprendere cosa si potrebbe fare per evitare che una vicenda come questa si ripeta. “Io non sono un pubblico ministero e non è mio compito emettere sentenze – dichiara Agnoletto – ma come membri attivi della società civile è nostro dovere esercitare un’analisi critica e un’attenta vigilanza sull’operato di chi ha responsabilità pubbliche, soprattutto quando questo impatta fortemente sulle nostre vite. Quanto abbiamo scritto in questo libro, i documenti che abbiamo citato – abbiamo naturalmente tutti i file con l’intera documentazione, anche quando le dichiarazioni, le segnalazioni e le denunce sono riportate in forma anonima per tutelare coloro che le hanno rilasciate – sono a totale disposizione dei magistrati ai quali ho intenzione di consegnare il libro.

Come ci ha trovati il virus?

Questa pandemia è arrivata quando il paziente stava già male, la sua salute e la sua condizione di benessere erano già state messe a dura prova ed era già in una fase critica. Non si parla della singola persona, ma del nostro Servizio Sanitario Nazionale, che dal 1981 ad oggi ha subito tagli e attacchi da ogni parte (il nostro SSN è stato istituito con una riforma sanitaria dalla legge n°833 del 1978 come un servizio sanitario universale e gratuito, sostenuto dalla fiscalità generale in proporzione con i guadagni di ciascuno). Dunque, nel 1981 avevamo circa 530.000 posti letto, oggi poco più di 200.000: un taglio superiore al 50%. Negli ultimi decenni abbiamo assistito a un taglio concentrato sui posti letto e sulle strutture ospedaliere pubbliche, mentre contemporaneamente aumentavano le strutture private. Le strutture private, quando si convenzionano col servizio sanitario pubblico, scelgono i settori per loro maggiormente produttivi, per esempio la cardiologia, l’alta chirurgia, le patologie croniche: non sono minimamente interessate a gestire il pronto soccorso o i dipartimenti di emergenza, dove i profitti sono minori a fronte di uno sforzo organizzativo tecnologico e di personale molto alto. Il privato convenzionato però si comporta come qualunque altra azienda privata: per loro più ci sono malati, più aumentano i profitti. La struttura sanitaria pubblica invece dovrebbe ragionare esattamente nel modo opposto: più c’è prevenzione, meno persone si ammalano e più c’è risparmio di soldi pubblici.

Le assicurazioni private nei contratti collettivi di lavoro

Un altro problema, ben precedente al Covid, è la defiscalizzazione delle assicurazioni private sulla sanità e il loro inserimento all’interno dei Contratti Collettivi Nazionali: significa portare centinaia di migliaia e forse milioni di persone fuori dal servizio sanitario nazionale e dentro una logica assicurativa. Il rischio che si corre è quello di intraprendere la strada che ci porta al modello sanitario statunitense, per cui l’assistenza sanitaria dipende da che assicurazione hai sul luogo di lavoro: chi non ha un lavoro in una grande azienda con un contratto a tempo indeterminato, non ha l’assicurazione sanitaria e ha solo l’assistenza sanitaria di base. È ciò contro cui si sono battuti Obama e i movimenti americani e noi, che avevamo il Servizio Sanitario Nazionale, stiamo andando proprio in quella direzione. Un punto importante sul quale è bene che i sindacati facciano un ripensamento.

Ricostruire un Sistema Sanitario Nazionale universale e gratuito

Dobbiamo riuscire a costruire una grande vertenza nazionale per il diritto alla salute. Dobbiamo riuscire a tornare a un Servizio Sanitario Nazionale universale e gratuito, sostenuto dalla fiscalità generale in relazione ai guadagni e ai profitti di ciascuno, un servizio sanitario fondato anche sulla partecipazione della popolazione, perché gli eventi problematici dal punto di vista sanitario che noi dovremo affrontare nel prossimo futuro e nei prossimi anni saranno sempre più simili a quelli che stiamo vivendo in questi mesi. Un’epidemia che si trasmette attraverso dei comportamenti umani ha bisogno della partecipazione delle persone, della consapevolezza, della formazione, di uno sforzo collettivo
Probabilmente oggi le condizioni per costruire un grande movimento ci sono perché l’insieme della popolazione italiana ha sperimentato e sta purtroppo sperimentando su se stessa che cosa vuol dire avere un servizio sanitario che ha trasformato la salute in un profitto, il nostro corpo in una merce a disposizione di interessi privati nelle mani ovviamente di pochi. Serve una vertenza nazionale per ottenere che i LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza, siano sempre e comunque garantiti dal servizio sanitario pubblico.
Questa pandemia, inoltre, testimonia il fallimento totale della richiesta di trasformare la sanità in una materia di pura titolarità regionale: durante i mesi più critici è stato necessario lo sforzo nazionale e il supporto di una regione con l’altra; come dicevo prima, siamo addirittura dovuti ricorrere a medici che arrivavano dall’altra parte del mondo. Questa pandemia testimonia che il servizio sanitario deve essere nazionale.

La timidezza del mondo scientifico

Un altro aspetto molto triste al quale abbiamo assistito e stiamo assistendo in questi mesi è la rinuncia da parte della maggioranza del mondo scientifico italiano a difendere le ragioni e le evidenze scientifiche e la sua disponibilità a adattarsi e piegarsi alle richieste di chi in quel momento è al potere e governa nei diversi ruoli istituzionali. Da un punto di vista scientifico è stato vergognoso, addirittura ridicolo, vedere ogni sera, alle 18, la Protezione Civile fornire gli aggiornamenti numerici con a fianco i dirigenti dell’Istituto Superiore di Sanità: lavorando sull’epidemiologia sanno benissimo che un’epidemia si gestisce con modalità totalmente diverse e che non ha senso sparare a casaccio il numero di tamponi e il numero di persone positive se contestualmente non si spiega quali sono le strategie adoperate, qual è la popolazione sottoposta a tampone, quanti sono i tamponi effettuati come prima volta per verificare se una persona è infettata o meno, distinguendoli da quelli realizzati su una persona già positiva per verificare se è ancora positiva o se è diventata negativa
C’è inoltre una parte del mondo scientifico che lavora seriamente, ma che non è riuscita a farsi sentire e forse non ha nemmeno osato intervenire in modo forte per chiedere ai responsabili politici di assumersi fino in fondo le loro responsabilità. “Io sono in una serie di mailing list riservate a ricercatori – racconta Agnoletto – e vedo documenti interessantissimi, ma non vedo poi questi ricercatori uscire con dichiarazioni collettive e rivendicare le loro affermazioni scientifiche, chiedendone conto alla politica. Si tratta di timidezza e della tendenza, ancora troppo forte, che ha il mondo universitario a parlarsi al suo interno, a scambiarsi le opinioni e a non assumersi fino in fondo anche la responsabilità sociale di cui comunque è investito.

Vaccini e brevetti

Sono stati lanciati vari appelli, ad esempio a livello nazionale dal professor Garattini, ma anche a livello internazionale, che chiedono che in questa emergenza vengano messi in discussione gli accordi TRIPs (accordi sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale) sui brevetti: chiedono che si rinunci ai brevetti, che si stipuli un accordo economico con le aziende (che comunque avrebbero garantito di non lavorare in perdita e di ricavare i loro profitti) secondo cui, nel momento in cui si scoprisse un farmaco utile o si producesse un vaccino, anche altre aziende e anche le strutture pubbliche possano contribuire con i propri laboratori ad aumentare immediatamente la produzione, dando quindi una risposta immediata.

Alla fine dobbiamo essere chiari: la salute è un bene comune che sta al primo posto nei bisogni e nelle esigenze di qualunque cittadino. (Vittorio Agnoletto)

* L’intervista completa di Alberto Deambrogio a Vittorio Agnoletto può essere letta nel numero di novembre di Lavoro & Salute a questo link: http://www.lavoroesalute.org/

Senza Respiro

Il libro è arricchito dalla prefazione di Lula da Silva presidente del Brasile dal 2003 al 2010. Vittorio Agnoletto: “Conosco Lula dai tempi del Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre e degli incontri avuti con lui all’interno del Consiglio Internazionale del FSM. Ho pensato di chiedere a lui di scrivere la prefazione perché una delle caratteristiche positive di Lula è sempre stata quella di riuscire a tenere insieme lo sguardo al cielo, alle stelle che indicano la strada anche di notte quando in montagna non devi perdere il sentiero, con lo sguardo a terra, al sentiero, per vedere se ci sono dei sassi e non inciampare: la sua capacità di far ballare lo sguardo dalla terra al cielo, dal cielo alla terra, di avere insomma un orizzonte globale che non finisce ai confini del peraltro immenso Brasile. Il secondo motivo è perché il Brasile è uno dei Paesi maggiormente colpiti da questa pandemia, e anche lì la potenza del virus è il risultato dell’azione del virus e della non azione e dei disastri del presidente Bolsonaro. Il terzo motivo è perché anche in questa vicenda ha sempre prestato attenzione a come la pandemia colpisce i diverse strati e le diverse classi sociali

Contagiati e sacrificati

L’incontro “Contagiati e sacrificati” organizzato dal PRC di Torino al quale sono intervenuti fra gli altri, oltre a Vittorio Agnoletto, Maurizio Arnaud, medico di famiglia, Andrea Ciattaglia, portavoce fondazione promozione sociale e comitato vittime RSA Piemonte, Eleonora Artesio, Capogruppo Torino in Comune, già assessora alla “Tutela della Salute e Sanità” Regione Piemonte, può essere rivisto a questo link: https://fb.watch/1N4Y3pI0Z-/

a cura di Cadigia Perini