Solidarietà, ospitalità, conoscenza reciproca e fiducia: è questo il messaggio consolidato di Canestri senza reti

Il torneo, giunto alla sua diciottesima edizione, che ha visto, tra Natale e Capodanno, sui campi da basket di Ivrea duecento ragazzi di tredici anni provenienti da tutta Italia e da mezza Europa

«Guardate il tabellone luminoso, ragazzi. Lì sopra c’è qualcosa che per noi conta più di tutto, più dei numeri, più ancora del punteggio. È la parola Ospiti. Ed è proprio questa parola che dà senso al nostro torneo, da sempre. Abbiamo iniziato nel 2001, accogliendo una richiesta semplice e potente che veniva dai ragazzini di Kragujevac, nella ex Jugoslavia, un paese devastato dalla guerra: vorremmo giocare con dei ragazzi italiani. Ok, abbiamo detto. Venite a giocare, venite a stare da noi. Da diciassette anni apriamo le nostre case con la stessa gioia con cui apriamo le nostre palestre. Siamo felici di fare colazione con voi e poi di vedervi saltare a canestro. Alla fine, è vero, ci dispiace un bel po’ vedervi partire. Ma sappiamo che dopo questi cinque giorni, in un certo senso, nessuno ci potrà più separare: locali e ospiti, per sempre insieme, come su quel tabellone».
Queste le parole lette durante le premiazioni da Ornella, moglie dello scomparso dottor Enrico Levati, l’ispiratore di Canestri Senza Reti. In queste parole ci sono le origini e l’essenza di un torneo di basket giovanile organizzato dalla Asd Lettera 22 che nel frattempo è diventato maggiorenne, ma che ha cercato di consolidare un messaggio profondo: la solidarietà, l’ospitalità, la conoscenza reciproca e la fiducia tra ragazzi di tredici anni di paesi diversi attraverso lo sport.
«In un’epoca in cui si innalzano nuove barriere e si costruiscono muri che separano, Canestri senza reti insegna ad abbattere i confini»: lo ha detto Arianna, una ragazza di Ivrea, che ha giocato per tanti anni a basket e ha ospitato in casa propria i giovani dalla ex Jugoslavia.
Il messaggio è forte e chiaro fin dalla prima edizione, quando la finale tra i bosniaci del Velez Mostar e i serbi del Kolonac Kragujevac finì quasi incredibilmente tra abbracci e lacrime.
Il messaggio è ancora vivo e si è allargato a Spagna, Germania e negli anni a Croazia, Macedonia, Montenegro, Russia, Danimarca, Georgia, Francia, Lituania, ed è stato imitato a Kragujevac, a Cacak, a Tuzla, a Bologna, a Sarajevo, a Badalona: probabilmente nessuno diciotto anni fa pensava che ce ne sarebbe stato così tanto bisogno. Vedere duecento ragazzi di tredici anni, provenienti da tutta Italia e da mezza Europa, sui campi da basket di Ivrea tra Natale e Capodanno trasmette emozioni. Vedere quegli stessi ragazzi fare un tifo sano e appassionato dalla tribuna, in una lingua sconosciuta, per i ragazzi che hanno ospitato per cinque giorni è un’emozione unica.
Mauro Celani  (foto di Alessandro Franzetti)