Sui bambini siriani e sulla nostra coscienza

Riceviamo e pubblichiamo questa riflessione di Mario Beiletti

Cari amici, permettetemi una breve riflessione… Dopo la strage di qualche giorno fa in Siria, nel villaggio di Khan Sheikum, dove quasi un centinaio di persone sono morte, fra cui molti bambini, ho atteso che qualche voce si levasse (oltre, ovviamente, ai servizi giornalistici e televisivi). Nulla, o quasi. Non ci sono stati i presidi in piazza, i sit-in, i flash-mob, i drappi appesi, le fiaccole. Nessuno ha detto: «Siamo tutti Siriani !»

Era accaduto dopo i fatti (cito in ordine sparso) di Parigi, Bruxelles, Londra, Orlando, Nizza…
Chiedendo verità per la tragica fine di Giulio Regeni avevo a suo tempo voluto sottolineare quanti Egiziani erano stati contemporaneamente imprigionati dal regime, rimasti a noi sconosciuti.

Ma, evidentemente, i volti dei bambini che agonizzavano in una tremenda sofferenza, trasmessi morbosamente dalle TV, non risultavano più efficaci a colpire la nostra coscienza. Dopo il bambino morto sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, divenuto simbolo per qualche giorno, ci siamo ormai assuefatti anche a questi ultimi orrori.

Magari perché è sempre più difficile indicare in modo netto un colpevole? Sprofondiamo in una lunga notte della ragione, nella morte delle civiltà e delle culture, portandoci dietro le nostre piccole convinzioni, sempre più inadatte ad affrontare il mondo e le categorie di oggi.
Nel frattempo non ci facciamo mancare le piccole beghe di casa: partiti, partitini, movimenti, gli uni contro gli altri armati. Il palazzo va a fuoco, e i condomini litigano in assemblea…

Fra pochi giorni festeggeremo il 25 Aprile, Festa della Liberazione. Tanti altri, in un mondo sempre più globalizzato, attendono una loro Liberazione, che non è ancora avvenuta.
Malgrado il pessimismo della ragione, permane però l’ottimismo della volontà. Recuperiamo la capacità di immedesimarci, soffrire, solidarizzare. Sono i giorni della Pasqua: proviamoci.

Tanti auguri a tutti voi.

Mario Beiletti