Tutti assolti in appello per le morti per amianto in Olivetti. Quanti e come si pronunceranno nell’Ivrea pre-elettorale su questa sentenza

“Un colpo di spugna inaccettabile”, per la Fiom; un preoccupante segnale in un paese in cui di lavoro ci si ammala e si muore nuovamente di più.

Come si paventava in un intervento di Federico Bellono pubblicato il 25 febbraio scorso  su questo giornale, il processo di appello per le morti di amianto in Olivetti si è chiuso con l’assoluzione di tutti i 13 manager e amministratori dell’azienda eporediese che, il 18 luglio 2016 al termine del processo di primo grado, erano stati ritenuti responsabili delle morti di 12 dipendenti e della malattia di altri due (uno dei quali nel frattempo è morto). Le condanne a Ivrea erano state di 5 anni e 2 mesi per Carlo De Benedetti e altrettanti per il fratello Franco Debenedetti e insieme a loro erano stati condannati Manlio Marini (a 4 anni e 8 mesi), Luigi Gandi (a 4 anni e 2 mesi), Paolo Smirne (a 2 anni e 8 mesi), Giuseppe Calogero (a 2 anni e 2 mesi), Corrado Passera, Pierangelo Tarizzo e Renzo Alzati (a 1 anno e 11 mesi ciascuno), Luigi Pistelli, Roberto Frattini e Filippo Barbera (a 1 anno e 8 mesi ciascuno), Anacleto Parziale (a 1 anno).
In attesa di conoscere le motivazioni di questo ribaltamento della sentenza di primo grado da parte della terza sezione penale della Corte d’Appello di Torino (presieduta da Flavia Nasi), l’ipotesi che avanzano alcuni avvocati sarebbe il fatto che le 14 vittime di amianto di cui tratta questo processo si sarebbero ammalate tutte prima che gli amministratori e manager dell’Olivetti fossero nelle loro funzioni (De Benedetti, ad esempio, arriva nell’azienda di Ivrea nel 1978) e «non essendoci consenso unanime della comunità scientifica sull’esistenza certa di un “effetto acceleratore” nell’esposizione all’amianto, la giurisprudenza non può tenerne conto».
Le motivazioni di questo colpo di spugna che assolve tutti perché “il fatto non sussiste” e implicitamente assegna al destino cinico e baro la responsabilità della malattia e della morte di questi ex dipendenti Olivetti, saranno rese note entro 90 giorni. «Finché non saranno depositate le motivazioni non sapremo il perché di questa sentenza. Ma se emergeranno dei profili per l’impugnazione, la impugneremo. E daremo battaglia. Per ora noi e la difesa siamo sull’1-1», è il commento a caldo del Procuratore generale Carlo Maria Pellicano, che, insieme alle colleghe Laura Longo e Francesca Traverso, ha sostenuto la pubblica accusa e aveva chiesto la conferma delle condanne.
Ma, al di là delle motivazioni giuridiche, certamente non è estranea a questo esito la sordina messa a questo processo d’appello che, come notava Bellono qualche mese fa, ha riproposto «una disattenzione colpevole già vista a Ivrea nell’aula magna del Gramsci: in fondo il concentrarsi sugli imputati eccellenti e la distanza dal Tribunale di Torino rappresentano dei buoni alibi per molti». Un processo d’appello seguito da uno scarsissimo pubblico (tra cui alcuni animatori dello “Sportello Amianto” della CGIL di Ivrea che dal 2013 segue questa e altre vicende relative alla salute dei lavoratori) e senza la presenza di persona di nessuna delle parti civili, ad eccezione di quella della FIOM. Sindacato che, in un comunicato stampa, definisce la sentenza della Corte d’Appello di Torino per i morti di amianto in Olivetti «un colpo di spugna inaccettabile». Così commenta Federico Bellono, segretario generale della Fiom di Torino: «Siamo stupiti e amareggiati, un colpo di spugna così non ce lo aspettavamo. Le sentenze si rispettano ma si possono non condividere: leggeremo le motivazioni ma il messaggio è comunque devastante, perché decine di lavoratori sono morti per l’esposizione all’amianto in Olivetti e non hanno avuto giustizia. Forse ai giudici è mancato il coraggio di confermare una sentenza di primo grado importante. Ovviamente questa tragica vicenda non può chiudersi in questo modo, altri procedimenti sono ai nastri di partenza e in ogni caso le famiglie delle vittime non meritano una tale scandalosa impunità».
Il quotidiano il manifesto riporta un primo commento del sindaco Della Pepa che dice: «Siamo tutti molto sorpresi. Nessuno se lo aspettava. Sono due sentenze che mi lasciano sbalordito perché vanno l’una in contraddizione dell’altra».
Sarà curioso vedere quanti e come, nell’Ivrea pre-elettorale di questi giorni, vorranno pronunciarsi su questa preoccupante sentenza.
Sin dall’inizio in troppi a Ivrea hanno visto quasi con fastidio l’avvio di questo procedimento giudiziario perché poteva gettare qualche ombra sul mito dell’azienda cittadina e sulle narrazioni connesse. Un procedimento che dovrebbe invece ricordarci quanto il tema della salute e della sicurezza sul lavoro sia drammaticamente attuale. Perché di lavoro ci si ammala e si muore, e in questi ultimi tempi sta peraltro diventando drammaticamente frequente.
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