Vaccini. Obbligare o informare?

Il ritorno all’obbligatorietà dei vaccini in Italia con la legge Lorenzin del 2017 ha aperto un dibattito non ancora risolto fra favorevoli e contrari che spesso sfocia in tifoseria e crea situazioni di disagio. Anche a Ivrea, con la vicenda della non ammissione di cinque bambini alla scuola dell’infanzia di Villa Girelli, si è alzato il tono della discussione. Serve l’intervento informativo istituzionale.

I vaccini sono una delle grandi scoperte della scienza moderna, con i vaccini e lo sviluppo delle regole igieniche si sono sconfitte malattie, spesso mortali. Con la diffusione dei vaccini si sono protetti i soggetti più deboli da queste malattie, un gesto individuale a favore della collettività. I vaccini, come i medicinali, possono certo avere effetti collaterali anche gravi su alcune persone. E quando si parla di bambini l’ansia per gli effetti collaterali può superare ogni altro sentimento. I genitori devono per questo essere informati e ascoltati da chi è preposto alla salute pubblica, devono arrivare ad una scelta consapevole non per essersi informati individualmente, leggendo un libro o seguendo un blog, ma attraverso canali istituzionali e scientifici, liberi e indipendenti dal mercato farmaceutico.
Con questa premessa, anche chi è fortemente favorevole alla profilassi vaccinale, non può che giudicare il “metodo Lorenzin” inadeguato per giungere a un risultato. Lo pensa allo stesso modo la maggior parte dei paesi europei: su 31 solo 11 hanno scelto la via italiana dell’obbligo pena l’esclusione dei bambini dalla scuola.

(FQ Millenium, 2017)

Gli altri 20 paesi, compresi Germania e Regno Unito, senza ricorrere all’obbligo, ma solo attraverso campagne d’informazione e i dialogo diretto con i genitori hanno ottenuto alte coperture vaccinali, grazie appunto al consenso informato. In realtà in Germania un obbligo c’è, quello di informarsi: ai genitori è imposto per legge un colloquio in un centro medico specializzato. Chi iscrive i figli alla scuola dell’infanzia senza averlo fatto, rischia una multa fino a 2.500 euro e quei bambini possono essere lasciati a casa se nelle classi si diffonde una malattia.
In Italia siamo passati dai quattro vaccini obbligatori fino al 1999 (anti-difterite, tetano, poliomelite, epatite virale B) senza i quali non si entrava a scuola, alla loro facoltatività alla fine del secolo scorso per la raggiunta copertura ottimale e la riduzione o scomparsa delle malattie. Solo due anni fa l’allora ministra della Salute Beatrice Lorenzin, a fronte di un calo delle vaccinazioni, ripristina con la legge 119/2017 l’obbligo della vaccinazione per i minori di età compresa tra zero e sedici anni per 10 malattie (alle quattro obbligatorie fino al 1999, si aggiuge pertosse, Haemophilus influenzae tipo b, morbillo, rosolia, parotite, varicella) pena la non ammissione dei bambini nei nidi e nelle scuole materne.
La ministra Lorenzin, e l’allora governo Gentiloni, ritennero che fosse necessaria la via dell’imposizione dura con sanzioni (esclusione scolastica e multe). Tante sono state le voci contrarie a questa linea anche fra i sostenitori della validità della profilassi. Così scriveva l’associazione Altroconsumo nel 2017 alla presidente della commissione igiene e sanità del Senato, “Riteniamo che la reintroduzione dell’obbligatorietà sia un controproducente passo indietro nel cammino verso un’adesione matura e consapevole dei cittadini alla vaccinazione (…). Un cammino possibile solo se la comunicazione tra cittadini e autorità è trasparente, fruibile ed esauriente. Crediamo infatti che la riduzione registrata nelle coperture vaccinali sia in fondo e per lo più frutto della paura e della perdita di fiducia della popolazione nelle istituzioni e nelle autorità scientifiche. Scegliere una linea dura che punisce chi è contrario alle vaccinazioni e forza la mano di chi ha dei dubbi rischia di rafforzare la sfiducia di chi non vuole vaccinare i figli e le preoccupazioni di chi è titubante.
Sono migliaia i bambini in tutta Italia non in regola con le vaccinazioni e per questo rimasti fuori dagli asili nido e dalle scuole materne, anche se le percentuali di copertura si attestano comunque attorno al 95%. Persino a Rimini, da sempre culla dell’antivaccinismo per la presenza sul territorio di alcune fra le principali associazioni legate al movimento no-vax, grazie a un fitto percorso di incontri con i genitori che avevano perplessità e domande sono arrivati a un calo sensibile dei bambini non vaccinati. La strada giusta sembra quindi essere proprio il dialogo fra istituzioni preposte e genitori. In un’epoca in cui le nozioni, vere e false, circolano facilmente e sono alla portata di tutti, non si può pensare di imporre senza informare. E sicuramente non si può delegare alle scuole il compito di “poliziotto”, di esecutore della legge, altro forte difetto della legge Lorenzin. Non si possono lasciare sole le scuole, obbligarle a chiudere le loro porte a bambine e bambini, non è questo il compito della Scuola.

Per venire al caso nostrano, ormai di rilevanza nazionale, occorrerebbe che l’amministrazione sanitaria e le istituzioni locali prendessero direttamente in mano la questione, permettendo alla scuola di recuperare la serenità richiesta per svolgere il suo ruolo primario e sollevandola dagli attacchi. Le richieste dei genitori di dialogo, informazione, chiarezza sono assolutamente lecite, ma altrettanto lecito il comportamento della scuola che ha applicato la legge. Una legge da riformare? Certo che sì, in molti passaggi. Quella è la battaglia da fare, attraverso i canali della società civile, della politica, verso le istituzioni preposte alla salvaguardia della salute e della sanità (dai comuni alle ASL regionali, al ministero della salute), certo non contro le scuole.

La salute è uno dei diritti fondamentali riconosciuti dalla nostra Costituzione. Ne parla l’articolo 32 della nostra Costituzione:

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

La nostra Costituzione sancisce quindi il diritto dell’individuo alla salute, ma allo stesso tempo l’interesse della collettività. Occore trovare un punto di incontro, ce lo chiede la Costituzione.

Cadigia Perini

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