Via dalla polvere: uomini in marcia

L’attualità dello spettacolo Polvere, con Le voci del tempo, organizzato da Il Quinto Ampliamento

La rappresentazione Polvere (adattamento tratto dal romanzo Furore dello scrittore John Steinbeck) è andata in scena venerdì 9 novembre sul palco dell’Officina H a Ivrea, ideatori e protagonisti il duo Le voci del tempo. Le parole di Marco Peroni, voce narrante, sono interrotte dalla musica folk di Guthrie interpretata da Mario Congiu, chitarra e voce; si assiste ad una piacevole fusione di parole e suono, uniti nel medesimo obiettivo di raccontare i movimenti migratori avvenuti negli Stati Uniti negli anni trenta, ma di fatto estremamente contemporanei.
Sulle terre dell’Oklahoma le piogge furono leggere. Il cielo era polvere, qualsiasi cosa si muovesse sollevava in aria polvere. Polvere si librava in colonne grigiastre, si disperdeva in un cielo infernale sempre più nero. Il mais rovinato, gli uomini sconsolati; ma la coltura si poteva anche perdere, il coraggio degli uomini no. Arrivarono i delegati dei proprietari, sfrecciando a bordo di grosse macchine esaminarono il terreno, parlarono con i mezzadri e andarono dritti al punto: “La mezzadria non può più funzionare, un uomo con un trattore può sostituire quattordici di voi, spostatevi verso ovest”.
E così le loro case rimasero vuote nella campagna, solo i capannoni con dentro i trattori erano vivi, tenevano sempre i fari accesi: una macchina non conosce né giorno né notte. Ex contadini, ormai migranti, si miseri in marcia sulla 66, la principale strada migratoria che dal Mississippi raggiungeva le valli della California. Al tramonto le famiglie cercarono rifugio sul ciglio della strada, in prossimità di corsi d’acqua, e si tramutarono in una sola grande famiglia, e i figli furono figli di tutti. Giunsero in California dopo un sofferto cammino, si insediarono , divennero occupanti. Col tempo smisero di esserlo e si trasformarono anch’essi in proprietari. Tutto era loro, il loro amore per la terra si inaridì in denaro. Poi furono commercianti, i meno abili vennero soggiogati. Le fattorie crebbero ma diminuirono di numero. Nuovi emigranti, espropriati, occuparono la California. I barbari appena venuti cercavano terra e cibo, che ai loro occhi era la stessa cosa. Affamati e agguerriti. E se un uomo è affamato deve lavorare, e se deve lavorare lo farà a qualsiasi paga, anche a quella più bassa, e nessuno riuscirà più a spuntarne una più alta. I migranti in California erano ormai trecentomila. Sottomessi, ma la repressione serve solo ad organizzare e fortificare la rivoluzione. I proprietari cercarono mezzi per prepararsi a reprimere la rivolta quando sarebbe giunta, senza intervenire sulle cause della rivolta stessa. “Se in trecentomila si organizzano non ci salviamo”. Gli oppressi pregavano affinché un giorno la brava gente non sarebbe più stata povera. Gli oppressori sapevano che un giorno avrebbero smesso di pregare, e sarebbe stata la fine.


I ain’t got no home in this world anymore , (brano di Woody Guthrie), non ho più casa in questo mondo, canta la voce di Congiu, ed è la storia perpetua di milioni di uomini sfrattati dalla propria casa a causa della disoccupazione, della crisi, della povertà, dell’insicurezza politica in cui versa il Paese d’origine, delle guerriglie che attentano all’incolumità degli abitanti.
Oggigiorno non si tratta d’accoglienza, si parla a denti stretti di tolleranza, a malincuore, quasi fosse un sacrificio per gli uomini integrare uomini. Ascoltando la storia narrata di genti cacciate e costrette a mettersi in marcia il parallelismo con la carovana hondureña viene naturale; intervistato da una giornalista televisiva un italiano residente negli Stati Uniti, alla domanda “Favorevole o no all’accoglienza?”, risponde con una frase che racchiude la sua opinione negativa, scocciato all’insinuazione sull’apparente ovvietà della risposta.
Come nello spettacolo così il paradosso si presenta in detta situazione: un individuo appartenente a un popolo di migranti che desidera respingere altrettanti migranti. E le loro grida d’aiuto non recepite, così come la loro terra abbandonata, trasportate dal vento si disperdono in cielo come polvere.

Annalisa Mecchia