Welfare aziendale. Il trucco c’è e si vede.

Da quando le “politiche sociali” sono diventate “welfare”, nulla di buono è arrivato a chi di quelle politiche ha bisogno

Dietro al termine inglese si nasconde un’idea privatista dello stato sociale: “meno Stato più privato” e “da cittadini a consumatori” sono gli slogan sottesi a quella parolina. E’ una regola antica, quando si smettono di usare le parole chiare, comprensibili a tutti, lì si insinua un inganno. Accade ad esempio che per la prima volta nel contratto nazionale dei metalmeccanici pezzi di salario siano stati convertiti in “bonus” da spendere in specifici settori e operatori commerciali. E’ il welfare aziendale, bellezza!

Welfare aziendale: non sempre le novità portano buone nuove

Nella legge finanziaria di fine 2016 il governo a guida PD ha intrapreso una serie di provvedimenti per aiutare le imprese a convertire pezzi di retribuzione in bonus per i dipendenti. Dopo l’introduzione del welfare aziendale nel contratto nazionale, il dispositivo si è esteso ai premi di produttività. L’adesione dei lavoratori a questa conversione della loro retribuzione è volontaria (per ora…), ma le aziende e buona parte sindacale hanno fatto una gran pubblicità a favore di questa gran novità, presentata come un vero affare per i lavoratori, con non poche pressioni per la sottoscrizione. Solo la Fiom è rimasta decisamente critica come scrive Federico Bellono, segretario provinciale Fiom Torino, che dichiara “il sistema di welfare imposto da Fiat e Cnh massimizza i risparmi aziendali (se i dati sono corretti, oltre 5 milioni di euro) con i 700/800 euro tolti dalle buste paga dei lavoratori e trasformati in prestazioni”.

L’adesione in FCA e CNH

Il primo piano welfare aziendale del Paese riguarda due colossi dell’auto: FCA (Fiat Chrysler Automobiles) e CNH Industrial (automezzi industriali e agricoli, già New Holland e Iveco).
I dipendenti dei due gruppi hanno avuto tempo fino al 7 maggio per aderire (e potranno eventualmente recedere entro il 30 settembre), il risultato delle adesioni è stato tutto sommato modesto se si considera il grande spiegamento di forze per convincere i lavoratori a sottoscrivere il piano.
In FCA ha aderito il 40% con questo dettaglio: Cassino 58%, Polo produttivo Torino 48%, Melfi 46%, Pomigliano 40%, Sevel 40%. Mentre molto più bassa l’adesione in CNH che raggiunge il risultato medio del 16,2%, dati superiori a quelli negli stabilimenti torinesi che va dal 22% al 40%.

Aderendo al piano, i dipendenti destinano il loro premio di produzione a un “Conto Welfare” utilizzabile per fruire dei beni e servizi inseriti nel “Paniere Welfare”. A titolo di esempio il paniere può contenere buoni spesa o carburante, spese per istruzione (mensa scolastica, testi scolastici, centri estivi) ai servizi di cura (assistenza famigliari, anziani o non autosufficienti), di ricreazione (abbonamenti palestra, corsi formativi), previdenza integrativa. Il premio erogato in buoni, beneficia della detassazione e decontribuzione oltre che della quota aggiuntiva aziendale del 5%, che la dice lunga su quanto questo sistema sia conveniente per le imprese. Facciamo un esempio: su un premio di 700 euro chi non aderisce percepisce un netto di 570 euro, mentre chi sceglie Conto Welfare avrà bonus per 735 euro. Apparentemente non c’è dubbio su cosa scegliere, ma l’inganno è che quei 735 euro non corrispondono a una quota che il dipendente può spendere come vuole, ma solo il potenziale utilizzabile scegliendo beni o servizi da un certo “paniere”. In più l’accreditamento sul Conto Welfare avviene mensilmente e non in un’unica soluzione.
Se il dipendente recede dal piano, il residuo del premio non fruito (tolto il 5% aggiunto dall’azienda, naturalmente) verrà versato nella prima busta paga utile decurtato delle relative tassazioni.
Il piano in ogni caso si chiude al 30 novembre prossimo e se il dipendente non ha consumato i suoi buoni, l’importo residuo gli verrà accreditato in busta paga con tasse e contributi dovuti (salvo il lavoratore abbia un fondo pensione integrativo, in questo caso verranno versati in questo, con gioia di chi amministra questi fondi), un chiaro invito a spendere tutto l’importo entro la scadenza.

Non ci vuole una laurea in economia per capire che i benefici per i lavoratori sono effimeri, mentre le aziende ancora una volta non possono che ringraziare il Governo amico per un aiuto a senso unico.

Dice giusto Bellono “L’unico antidoto sono i lavoratori che scelgono le erogazioni in denaro, per poi decidere di usarlo come e dove vogliono loro.

Cadigia Perini

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