Anche a teatro le migrazioni provocano svolte

A cinquant’anni dal Convegno di Ivrea del 1967 al Giacosa sono di scena le Svolte al futuro, pratiche di cambiamento

Lella Costa e Laura Curino

A Ivrea nel 1967 si svolse un convegno che solo molti anni più tardi fu riconosciuto come punto cardine del nuovo teatro in Italia. Proprio dal “Manifesto per un nuovo teatro” lanciato da Giuseppe Bartolucci, Ettore Capriolo, Edoardo Fadini e Franco Quadri sulla rivista Sipario l’anno precedente, era partita l’idea di un momento di riflessione e di confronto per tutto il mondo dell’arte scenica alle prese con una realtà che si stava modificando sotto i suoi piedi perché il ’68 non nacque all’improvviso ma da anni di grandi ribollimenti. Furono giorni impetuosi e poco tranquilli, segnati da contestazioni anche interne tanto da non rendere possibile neanche una condivisa relazione sugli esiti del convegno. Ci provò Alfredo Tradardi con l’aiuto della Regione vent’anni dopo, con interviste ai partecipanti (1) e trascrizione degli atti ma l’opera si arenò prima della conclusione e solo ora, in occasione dei cinquant’anni, Francesco Bono sta cercando di concludere l’intera ricerca (nonostante riferisca di non essere stato per niente aiutato dall’Archivio Storico Olivetti detentore delle bobine originali) per una prossima pubblicazione.

Gabriele Vacis

A commemorare e riprendere quel convegno hanno pensato in diverse sedi (Milano, Genova, Torino) studiosi del teatro e ricercatori mentre ad Ivrea l’evento è stato ricordato con una mezza giornata di incontri e riflessioni, Svolte al futuro, con “persone straordinarie che hanno cambiato il significato delle parole e la società civile”, il 18 dicembre al Giacosa.
In apertura è toccato proprio a Tradardi rimarcare la distanza tra la visionaria straordinarietà di quel convegno e lo striminzito ricordo della giornata attuale, confortato dalla presenza di Gerardo Guccini, docente di Discipline dello spettacolo all’Università di Bologna.
Sul palco si sono poi alternate personalità molto diverse tra loro, anche per i rispettivi campi di appartenenza, in dialogo con protagonisti del teatro italiano e della società eporediese.
Dopo Piercarlo Grimaldi, a lungo Rettore dell’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo, è toccato ad Angelo Pezzana, fondatore del FUORI a Torino, raccontare l’evoluzione della parola omosessuale, parola che fino al 1972 non si poteva neanche scrivere su un quotidiano.
Più inconsueto l’incontro con Suor Giuliana Galli, che dalla lunga esperienza alla guida dei volontari al Cottolengo di Torino è passata all’assistenza psicologica agli immigrati fondando l’onlus MAMRE accettando nel frattempo di far parte del comitato di gestione della Compagnia di San Paolo. E se assistere i malati e i poveri è da sempre un impegno usuale per una suora, affrontare l’inedito, che è la situazione attuale dovuta alle migrazioni di massa, è il compito che oggi Suor Giuliana si sente di dover sostenere, senza disdegnare l’uso del denaro per restare ipocriticamente con le mani pulite.
E il teatro? Anche Lella Costa ha raccontato quale è stata la svolta nella sua vita, quando a metà anni ’70 da studentessa interessata ad operare nel quartiere popolare di Niguarda a Milano aprendo un consultorio femminile insieme a psicologi e psichiatri si è ritrovata a interpretare così bene la parte della paziente da voler provare veramente l’esperienza del teatro. L’esplosione della comicità nei primi anni ’80 ha visto in scena per la prima volta una donna, lei, senza personaggio, e non si era mai visto. Era Lella Costa, senza maschere, che si rivolgeva però a tutti, non solo alle donne, e per questo si è sempre appoggiata ad autori maschili, con uno sguardo diverso dal suo.
Lo sguardo sul teatro, aperto con la rievocazione del convegno di Ivrea del 1967, si è chiuso, come un cerchio, con l’esposizione del lavoro intrapreso da Gabriele Vacis, già regista del Teatro Settimo da cui proviene anche Laura Curino, con l’Istituto di Pratiche Teatrali per la Cura della Persona. Dopo più di trent’anni di lavoro teatrale innovativo e pluripremiato, Vacis ha deciso di cambiare strada e cercare il teatro oltre il teatro, come grandi maestri del ‘900 hanno fatto. Sfruttare la grande forza del teatro per aiutare la comunicazione, lo scambio, l’ascolto. L’Istituto, nato come progetto del Teatro Stabile di Torino, ha un ricco programma di laboratori, seminari , eventi da realizzare con la comunità dei migranti dell’area torinese e piemontese, come si può vedere dal sito http://www.listituto.it/ ricchissimo di interviste, video e programmi.
“Il mio desiderio sarebbe che un bel teatro come questo”, ha detto Vacis,”potesse restare aperto tutto il giorno, perchè il teatro è un posto dove stare, guardarsi negli occhi e ascoltarsi. Non ci sono tanti posti dove questo può realizzarsi.”
Ma non ci sono solo laboratori. Il primo esito spettacolare che nascerà dall’Istituto di Pratiche Teatrali per la Cura della Persona sarà Cuore/Tenebra. Migrazioni tra De Amicis e Conrad con la regia di Gabriele Vacis, prodotto dal Teatro Stabile di Torino, che andrà in scena dal 22 maggio al 10 giugno 2018 al Teatro Carignano di Torino.
“L’inclusione è ormai la poetica di molti tra gli attori, registi, drammaturghi più innovativi. Questa realtà comporta un mutamento radicale delle figure stesse dell’attore, del regista e del drammaturgo. Un loro ripensamento profondo.”
Se a Ivrea 1967 è nato un “nuovo teatro”, oggi, 2017, la parola può essere “inclusione”.

Francesco Curzio

 

(1)Intervista a Eugenio Barba
“Io mi domando come mai fui invitato a Ivrea, dato che tutti i partecipanti erano italiani; in realtà si trattava di un’iniziativa che con un’intuizione eccezionale riuniva tutti i rappresentanti di una determinata “nicchia ecologica” teatrale che quasi non erano coscienti di appartenervi, avendo profili ed energie differenti.
Ricordo che fu Franco Quadri ad invitarmi. Io rimasi meravigliato arrivando con i miei attori e scoprendo che era un’iniziativa molto nazionale.
Noi eravamo completamente isolati e ignorati in Danimarca, il fatto che fossimo stati invitati a Ivrea è stato il nostro primo riconoscimento all’estero, che ebbe a livello psicologico un’importanza estrema per gli attori e per me. Io mancavo da molti anni dall’’Italia, e quella fu la prima volta che vi ritornavo. Ivrea rappresentò soprattutto l’incontro con Dario Fo: da questo incontro è nata, oltre all’amicizia, una serie d’incontri professionali a Holstebro in Danimarca che hanno avuto un’importanza enorme per la Scandinavia.
Con Ivrea ebbi la sensazione che esistevo perché uno esiste se la coscienza dell’’altro te lo fa notare, se vi è un osservatore, che a volte chiamiamo spettatore, ma soprattutto se vi è un osservatore dal di fuori che ti conferisce, ti investe di un significato o di un importanza, di un profilo che uno a volte sopravvaluta o sottovaluta.
Non so se portammo qualcosa di nuovo a Ivrea. Debbo dire che era un Convegno in cui soprattutto c’era lo scambio di idee; era il tentativo di sintonizzare tutte le diverse energie di questa “nicchia ecologica” che prevaleva durante i dibattiti; per cui noi che non eravamo abituati a questo tipo di presenza, a parlare, a lavorare in questo modo, dove il confronto era sia a livello tecnico e professionale che di metodo di lavoro, di tappe in cui uno si trovava in quel momento, noi ci sentivamo un po’ spaesati.
Ivrea nel ’67 rappresenta forse per noi uno dei ricordi più netti nel nostro passato di gruppo, della fase che ci fece passare da un bozzolo a una crisalide, la sensazione di essere una crisalide che probabilmente aveva la possibilità di volare; il fatto che la gente si rivolgesse a noi significava moltissimo, e significava poi avere la coscienza, la consapevolezza della propria identità, delle proprie possibilità e del proprio potenziale.
Rispetto a quello che si sentiva dire a Ivrea, io penso che in questi anni tutti i desideri, le aspirazioni, i bisogni, le necessità, l’’urgenza di qualcosa d’altro si siano realizzate, e il bilancio è molto, molto positivo.
Credo che con Ivrea si può datare il momento in cui si è rivelata la falsa unità del fenomeno teatrale. Allora il teatro era considerato un’’emanazione della letteratura, del testo, un edificio dove degli attori presentavano degli spettacoli, e con Ivrea si defila chiaramente la presenza, sempre esistita ma ignorata, trascurata da tutti i critici o storici del teatro, di un teatro parallelo, di un altro teatro che non è solamente quello di avanguardia, ma è un teatro con tanti altri aspetti. Comunque questa falsa unità, questa falsa armonia viene distrutta, e ne appare un’’altra complementare del fenomeno teatrale che è quella che abbiamo conosciuto da quel tempo in poi.”