Bollette salate: colpevolizzare gli stili di vita individuali per non toccare gli extraprofitti

Un resoconto della serata di martedì 18 allo ZAC sulla crisi energetica. Ardissone (AEG): «Le aziende dell’energia ricorreranno alla rateizzazione fin dove potranno. Poi non so cosa succederà»

Costi. Bollette. Povertà energetica ed economica. Fino a poche settimane fa l’ormai ex Ministro della Transizione Ecologica (nonché nuovo consulente dell’energia del Governo Meloni) Roberto Cingolani rassicurava l’Italia sullo stato dell’approvvigionamento di gas e invitava le famiglie ad assumere “comportamenti virtuosi“ per ridurre i consumi. L’Unione Europea e i capi di stato cercano ormai da diverse settimane di raggiungere un accordo sull’andamento imbizzarrito dei costi dell’energia, aggirando il tema del tetto al prezzo del gas e ricorrendo a concetti “supercazzola“ come “corridoio dinamico temporaneo” per non spaventare i mercati.
Ma l’inverno sta arrivando e famiglie e imprese vivono da ormai diversi mesi in uno stato di grave e crescente preoccupazione.

Va letta in quest’ottica l’ottima partecipazione alla serata “Crisi energetica: origini, conseguenze e possibili soluzioni” di martedì 18 ottobre allo ZAC! (a cui, purtroppo, non ha partecipato alcun amministratore locale) organizzata dal neonato circolo Nuovi Equilibri Sociali. Tre i relatori: Andrea Ardissone, presidente Aeg, Leonardo Locci, referente Interstampa Torino e Ferdinando Pezzopane, giovane portavoce di Fridays for Future.

«L’energia ha raggiunto un livello di prezzi mai toccato nella storia e sarebbe falso pensare che ciò sia dovuto esclusivamente alla guerra in Ucraina» ha esordito Ardissone, provando a ricostruire le cause globali che hanno portato all’attuale situazione energetica. «La crisi nasce all’inizio degli anni 2000 con l’ascesa economica della Cina che ha aumentato il fabbisogno energetico di cinque volte, diventando il primo paese consumatore di energia e generando squilibri, ma quel che va detto è che il modello di sviluppo non è sostenibile e la domanda è molto superiore alla produzione». E quali alternative hanno i cittadini per far fronte all’inverno imminente? Ardissone ha così risposto: «se l’inverno sarà rigido occorreranno azioni di razionamento. Bisogna che ognuno di noi consumi meno e chi può faccia il possibile per efficientare le proprie abitazioni».

Leonardo Locci, dal canto suo, ha invece spostato l’attenzione sull’elemento della speculazione dietro ai rincari fuori controllo da parte delle aziende energetiche. «Siamo di fronte a vere e proprie “bollette speculative”, ma tutto nasce con la liberalizzazione dell’energia elettrica a seguito del decreto Bersani del ’99. La promessa, allora, era che in un regime di concorrenza i prezzi si sarebbero abbassati, ma è evidente che sia accaduto il contrario». Per quanto riguarda il costo attuale del gas Locci ha duramente criticato il ruolo e la responsabilità della borsa di Amsterdam: «è alla borsa di Amsterdam che si decide il prezzo del gas. Oggi non c’è un reale problema di fornitura del gas; il gas c’è. Sono cinquanta persone alla Borsa che decidono il futuro di tutti noi».

L’intervento di Ferdinando Pezzopane, infine, si è concentrato sul binomio crisi energetica – crisi economica e sociale. «Chi paga questa crisi energetica? Sono circa 5 milioni le persone in ritardo con i pagamenti delle bollette e FFF stima che l’8,8% delle famiglie sia in condizione di “povertà energetica”. La maggior parte dell’energia viene consumata da classi medio-alte, per cui come si possono pretendere ulteriori comportamenti virtuosi da chi già da tempo risparmia per pagare le bollette a fine mese?». «La politica, in questo momento – ha poi aggiunto – tenta di scaricare l’argomento energetico sulle responsabilità individuali, trascurandone la portata collettiva. Perché, per esempio, è dal 1999 che non tassiamo il cherosene con cui si fanno volare i jet privati? O ancora perché non emulare la Germania che sul tema dei trasporti pubblici ha inserito il biglietto unico a 9 euro?».

La decrescita ignorata, ora infelice e obbligata (ma non per tutti)

Che il consumo di energia sia una questione prettamente individuale legata alle abitudini personali e agli stili di vita è un fatto indiscutibile; nel tentativo di migliorarci e di vivere maggiormente in armonia con il pianeta e con il suo ecosistema ognuno di noi ha fatto e fa quotidianamente scelte più o meno consapevoli che lasceranno inevitabilmente un’impronta ecologica. Ma partire dal presupposto che il cambiamento individuale sia precondizione per un cambiamento generale è un ragionamento falso oltre che portatore d’iniquità sociale. Come si può chiedere a famiglie e lavoratori precari di abbassare la fiamma del gas, fare docce più brevi, ridurre il tempo di accensione del forno senza al contempo andare a toccare gli interessi di società che hanno registrato “extraprofitti” vertiginosi? Secondo alcune stime fornite da Europa Verde, solo per l’Eni, azienda sotto il controllo statale, si parla di 20 miliardi di euro in più guadagnati tra 2021 e 2022. Il decreto Aiuti bis ha imposto una tassa al 25% sugli extraprofitti nei confronti delle grande società energetiche (per Eni è stato stimato un importo di 1,4 miliardi); una tassa che, con alcune eccezioni, è già stata ostacolata e respinta dalla maggior parte delle aziende coinvolte e che si sono appellate ad una presunta incostituzionalità della misura e hanno presentato ricorsi a pioggia all’Autorità per l’energia e al Tar. L’8 novembre dovrebbe arrivare la pronuncia del Tar in merito ai ricorsi e se il tribunale amministrativo dovesse sospendere l’efficacia del provvedimento rimandandolo alla Consulta risulterà molto difficile finanziare su questa tassa ipotesi di “restituzione” di risorse a famiglie e imprese (considerando che il pronunciamento della Consulta non arriverebbe prima di un anno e mezzo).

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese“. Così recita l’articolo 3 della Costituzione. Possiamo seriamente credere che i padri e le madri costituenti nel riferirsi agli ostacoli di ordine economico alludessero alle docce troppo calde?

Andrea Bertolino