Cisterna di Latina, altro massacro

Qualche riflessione sul tema del “femminicidio”, a cominciare da quello verificatosi a Cisterna di Latina, nel Lazio

Ennesimo, barbaro massacro quello di Cisterna di Latina dove un carabiniere che dovrebbe, anche solo come dovere professionale, esercitare un certo controllo sulla propria emotività e sull’arma che ha in dotazione, stermina la sua famiglia perché la moglie voleva lasciarlo. Siamo alle solite con il contatore delle donne ammazzate che incrementa con inarrestabile progressione. Anche in questo caso non si è trattato di un raptus passionale, un gesto improvviso dettato da uno scoppio di follia, ma di un’azione criminale premeditata con freddezza come peraltro succede spesso in casi del genere. Anche a Cisterna di Latina, purtroppo, la giustizia italiana, a corto di leggi adeguate e di senso di preveggenza, non ha prestato che scarsa attenzione agli appelli rivolti dalla donna ai fini di ottenere una qualche forma di protezione.
Così anche questo massacro, la moglie in fin di vita a cui francamente non si sa cosa augurare e due figlie piccole uccise a bruciapelo dal loro papà biologico, forse poteva essere evitato se solo si fosse accordato alla prevenzione un qualche valore che, senza privare repentinamente una persona violenta della sua libertà, avrebbe almeno potuto privarla dell’uso delle armi. Adesso la complicità morale, di questo sterminio, è da attribuirsi anche a chi poteva fare e non ha fatto.
Gli uomini che commettono un femminicidio sono dei frustrati. Dipendono in mille modi dalle donne con cui vivono, e nella loro testa, se ne credono i padroni. Pensano di essere forti e addestrati alla vita per fare i capofamiglia, termine che andrebbe di fatto abolito dal linguaggio corrente, e di solido hanno soltanto la loro forza bruta. Questi uomini uccidono non perchè le mogli li lasciano, ma perché si sottraggono al loro assoggettamento. Non potendo capire il perché questo accada, in quanto incapaci di una visione autocritica e rispettosa del diritto d’emancipazione della consorte, la distruggono, perché eliminare attraverso la violenza una persona è più facile che soffrire per cercare di comprenderla.
Inoltre questi uomini sono dei vigliacchi, dato ormai certificato nel comportamento di questi maschi padri padroni, vigliacchi perché se una donna avesse la stessa forza fisica di un uomo ci penserebbero due volte prima di aggredirla. È una considerazione banale, ma andrebbe ricordata a quei mariti che già si sono resi protagonisti di atti di violenza. Inoltre io vorrei che, dato l’alto numero di casi di femminicidio e di maltrattamenti, aggressioni, stupri (quasi sette milioni di donne hanno subito delle violenze almeno una volta nella vita) noi come italiani smettessimo di definirci un paese civile. In un paese civile questi fatti non devono verificarsi e finché, invece, succedono, tutti insieme, istituzioni, educatori, semplici cittadini dovremmo abbassare la testa, a partire da tutti quelli che sono subito pronti ad additare di colpevolezza una donna che tenti magari di rifarsi una vita. Che i ruoli familiari siano ancora una specie di carcere sociale è chiaro. Che l’amore non centri nulla o quasi con l’istituzione del matrimonio è altrettanto chiaro, che gli uomini violenti abbiano una psicologia infantile sembra noto eppure questi concetti sfuggono ancora a troppe persone. Anni fa un film come “Ultimo tango a Parigi”, di Bertolucci, fu mandato addirittura al rogo per una scena erotica tra Maria Schneider e Marlon Brando in cui lui esprimeva una serie di considerazioni sulla realtà della “sacra” famiglia, famiglia a cui, purtroppo, si sacrificano inconsapevolmente le libertà personali. Il film fu fatto passare per immorale per ragioni di sesso, ma in realtà la censura condannò quello che Marlon Brando diceva contro i dettami della famiglia convenzionale. È passato un bel po’ di tempo, ma la libertà delle donne, per certi uomini eternamente schiavi del loro ruolo di maschi alfa, è ancora una minaccia da spegnere nel sangue.

Pierangelo Scala