Come sta l’INPS?

Molto interessante e partecipato l’incontro organizzato dallo Spi-Cgil di Ivrea e dalla Cgil sulla reale situazione dell’Inps e sul peso della spesa previdenziale e sociale sul bilancio statale

Un folto pubblico, non solo di pensionati, ha partecipato sabato 21 gennaio all’incontro “Pensioni. Quale futuro” in sala Santa Marta, per presentare i risultati di studi e analisi sullo stato delle pensioni attuali, future e sulla sostenibilità ed iniquità del sistema previdenziale pubblico. Un incontro di alto livello per contenuti e partecipazione realizzato egregiamente dallo Spi-Cgil e dalla Cgil.

Inps: forse non tutti sanno che…
Fin dall’introduzione di Giuseppe Capella del direttivo provinciale Spi-Cgil abbiamo capito che molte affermazioni che si fanno sullo stato dell’Inps e sulla previdenza non corrispondono al vero.
Come primo punto Capella, ha sfatato l’affermazione che lo stato sociale e le pensioni siano la causa del pesante debito pubblico del nostro paese. Le cause sono piuttosto da ricercare altrove, come nel “disavanzo primario” (la differenza tra spese e entrare erariali al netto degli interessi sul debito). Lo studio della Cgil ha rilevato che le nostre spese non sono cresciute più di quelle degli altri paesi europei: dal 1964 al 1975 la nostra spesa pubblica è passata dal 31,5 al 41,9 % del Pil. Un aumento simile a quello di Francia, Gran Bretagna e Germania. La differenza la fanno le entrate che in Italia non crescono di pari passo. Il problema del passivo statale non è dunque la spesa, ma le politiche fiscali e soprattutto l’evasione fiscale, definita “male endemico”. Altra causa del profondo debito pubblico del nostro paese è la separazione, operata nel 1981 (pentapartito Spadolini), fra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro, che cancellò l’obbligo per Banca d’Italia di garantire in asta il collocamento integrale dei titoli di Stato, obbligando quindi il Tesoro a ricorrere al mercato per acquisire credito, comportando quindi una crescita abnorme di interessi passivi che portò all’impennata del debito pubblico che passò dal 57,7% sul Pil nel 1980 al 124,3% nel 1994. Nel 1990 il debito pubblico era di circa 668 miliardi di euro e nel 2008 diventa di 1.663 miliardi.
In 18 anni il Tesoro ha pagato interessi per ben 1.605 miliardi di euro. Il debito cresce non tanto per un aumento della spesa sociale, sanitaria, per l’istruzione, la cultura … ma per gli interessi da pagare.

Il disavanzo Inps
Gian Paolo Patta, rappresentante della Cgil nel CIV (Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps) ci ha svelato un quadro molto diverso dalla percezione comune sulla reale situazione dell’Inps e sulle sue cause.
Il passivo globale dell’Inps è dato di fatto, ma la causa non sta nell’ammontare delle pensioni pagate, ma da altri fattori, due principali: il tenere insieme la previdenza (le pensioni) e l’assistenza e i profondi squilibri interni. L’Inps è formato da un insieme di fondi, più di 40, fortemente squilibrati fra loro. Mentre ad esempio il fondo dei dipendenti privati è in ampio attivo, altri fondi, come la cassa autonomi, agricoltori, enti locali, sono in forte deficit.
Lo squilibrio – ci informa Patta fornendo ampia documentazione – è dato dalla enorme differenza fra il livello di contributi prelevati ai dipendenti privati e quello nettamente inferiore delle altre categorie. Il contributo annuo medio è per i dipendenti di 7.294 euro, per gli artigiani 4.422, per i lavoratori del commercio 4.424 e per i coltivatori diretti 2.347 euro. Di fatto si attua una sorta di solidarietà (non volontaria) di una categoria verso l’altra, ma non parliamo di una categoria privilegiata che aiuta altre più disagiate, ma di lavoratori dipendenti, fra cui naturalmente operai, impiegati di ogni livello.
Oltre al disequilibrio fra i fondi, una grave responsabilità del passivo Inps è paradossalmente da imputare allo Stato e agli Enti locali. Pubblico che affossa pubblico. Il fondo dei dipendenti pubblici, l’Inpdap, è stato abolito e fuso con l’Inps sotto il governo Monti. L’Inps ha così ereditato un risultato d’esercizio in perdita oscillante fra i 5 gli 11 miliardi di euro, dovuto soprattutto alla forte riduzione dei dipendenti pubblici, con sempre meno lavoratori attivi e più pensionati. Oltre a questo, il “tecnico” Monti si è guardato bene dal sanare un’anomalia grave: dal dopoguerra fino al 1995 lo Stato (e gli enti locali) non hanno mai versato contributi per i propri dipendenti, ma si è limitato a pagare le pensioni. Come a dire “inutile versare contributi a me stesso”, ma alla fusione dell’istituto di previdenza del pubblico impiego con quello privato Inps, questi trasferimenti andavano effettuati! Probabilmente lo Stato prima o poi lo farà, lo dice da tempo, ma di certo gli enti locali (Comuni in testa), non lo faranno mai e parliamo di decine di miliardi.

Scontro tra generazioni
Negli ultimi anni, e ancora recentemente anche per voce del presidente Inps, Boeri, si vuole alimentare il conflitto generazionale: sono i giovani che stanno pagando le pensioni ai vecchi! è il ritornello. La verità è che questo conflitto non esiste, è una falsità: il debito pensionistico è nulla rispetto al debito pubblico generale. C’è chiaramente un interesse a “terrorizzare” i giovani, è la stessa Inps che fa campagna allarmistica verso i giovani per spingerli ad attivare assicurazioni private, il sistema pubblico subisce molti attacchi ingiustificati e non viene difeso da chi dovrebbe farlo.

La riforma Fornero
Anche il governo Monti, lo sappiamo bene con le conseguenze negative della controriforma Fornero appena iniziate, attaccò il sistema pensionistico dichiarandolo insostenibile. Fornero puntò il dito contro il costo delle pensioni affermando che fosse troppo alto e che il deficit sarebbe peggiorato.
Nulla di più falso: una ricerca della professoressa Maria Luisa Pesante che cita il rapporto del NUVSP (Nucleo di valutazione della spesa previdenziale) dell’aprile 2012, rivela che, al netto delle tasse, nel 2010 il saldo pensionistico previdenziale dell’Inps era positivo per circa 24 miliardi. Ed anche comprendendo la spesa assistenziale si arriverebbe a un disavanzo di soli 9 miliardi, ossia circa lo 0,6% del Pil, contro una previsione del 4,4% della Fornero. Il principio di base della riforma Fornero, ovvero l’insostenibilità della spesa pensionistica, crolla e rimane solo la profonda iniquità di una riforma che a partire da queste false premesse andrebbe totalmente abolita.

Aumentare le entrate Inps
Per migliorare il bilancio Inps, perché non aumentare le entrate? Le politiche degli ultimi anni sono andate piuttosto nella direzione opposta: gli sgravi contributivi, soluzione effimera per aumentare l’occupazione, l’aumento della precarietà, i voucher, gli orari ridotti, il lavoro nero mai risolto, hanno portato alla riduzione dei versamenti contributivi all’Inps, delle entrate.
Perché non rendere possibile e accessibile versare o integrare contributi all’Inps direttamente? Perché costringere a sottoscrivere assicurazioni private per integrare o formare una pensione futura? In Germania, a partire dai 16 anni si ha diritto a iscriversi al corrispondente tedesco dell’Inps, anche se non si lavora (con mille euro si riscattano un anno di contributi), vengono inoltre coperti i periodi vuoti e il liceo e l’università fanno parte dell’anzianità contributiva. Le donne in Germania per ogni figlio hanno 3 anni di contributi pieni, non figurativi. In più il lavoro di cura per bambini fino a 10 anni e anziani è calcolato per la pensione.
Perché in Italia non possiamo fare altrettanto? Perché la stessa Inps non promuove queste pratiche che andrebbero a suo vantaggio?

Aprire il dibattito pubblico
Occorre una proposta equa di risanamento dell’Inps . Si devono unire i fondi o almeno equilibrare i livelli di contribuzione fra le diverse categorie, dividere assistenza da previdenza, far rientrare il debito contributivo dello Stato e degli Enti Locali. Sono questi i temi principali da porre in essere per il risanamento dell’Inps. E non possono che farlo i rappresentanti delle categorie dei lavoratori, perché è chiaro che l’Inps stessa sembra non voler risanare sé stessa.

Cadigia Perini