Cosa succede sul fronte delle donne per cui la casa non è un luogo sicuro? Chi si occupa di loro?

Sono 19 le donne, con o senza figli minori a carico, seguite da vicino dalla Casa delle Donne d’Ivrea e nessuna di queste, per il momento, si trova in una condizione di pericolo. L’attenzione, comunque, resta alta

Mentre fuori il virus non conosce chiusure o barriere, o frontiere o beni di prima e seconda necessità, noi reclusi in casa dobbiamo fare ordine, stilare priorità, fare i conti con ciò che non possiamo controllare e soprattutto con ciò che dobbiamo lasciare andare. C’è chi canta dai balconi, chi cucina, chi legge, chi racconta storie, chi cerca a fatica di lavorare, chi deve intrattenere figli sempre più agitati, chi non sa come gestire genitori lontani e malati, chi semplicemente sta lì a sperare che tutto finisca al più presto. In genere la casa è ristoro e conforto, ma non per tutti. Ci sono donne per le quali la casa è la fonte primaria di paura e sofferenza e doverci restare chiuse può significare essere in serio pericolo (la violenza sulle donne era ed è una delle emergenze del paese). Raccogliamo una preoccupazione che si è espressa anche a livello nazionale, lo abbiamo letto sui giornali, e vediamo cosa succede da noi, qui nel nostro Eporediese.

Sul territorio La Casa delle Donne di Ivrea offre da anni un servizio puntuale ed efficiente a tutte le donne che necessitano aiuto: lo sportello Alzati Eva. Ma cosa succede ora che anche loro hanno dovuto chiudere, almeno fino al 3 aprile? Lo abbiamo chiesto direttamente alla presidente Letizia Carluccio Lesca, che ci ha fornito il quadro generale.

Il laboratorio di counselling di gruppo, previsto il lunedì, è sospeso, ma tutte le attuali partecipanti sono in contatto con la counselor Federica Laurenzio. I sostegni individuali, che presuppongono un supporto, anche nell’accompagnamento in tutte le tappe istituzionali (assistente sociale, avvocato, giudice), continuano a distanza con telefonate ad hoc e, dove previste, giornaliere: Alda Maderna e Federica Laurenzio seguono attualmente 19 donne con o senza figli minori. Lo stesso fa a distanza, dove possibile, Sara Giorio,  che si occupa di supporto alle famiglie conflittuali con figli da 0 a 6 anni, all’interno del progetto CIPI (canavese insieme per l’infanzia). Nessuna delle 19 donne seguite è in stato di pericolo, per fortuna ed alcune di loro hanno già sporto denuncia, quindi sono in attesa che l’iter faccia il suo corso, quando si potrà rientrare in una sorta di normalità.

Le forze dell’ordine, contattate in seguito alla chiusura delle attività, non hanno fornito nomi o recapiti per costruire una rete definita, che renda più facile per chi ha bisogno contattare la persona giusta (del resto sono dispiegate in strada per i controlli sul rispetto del decreto). Anche le assistenti sociali che si conoscono non hanno la possibilità, per procedura, di dare un numero ed un nome fisso, stanno lavorando a rotazione e chi c’è, c’è. Quindi nel messaggio di segreteria telefonica che ascolta chi telefona al numero della Casa delle Donne, 0125 49514, viene segnalato il numero di telefono di Federica Laurenzio, la counselor che si è resa disponibile per fare da raccordo sul territorio, cioè sarà lei a fare triage (per usare un termine molto caldo) e a stabilire contatti, sperando, ovviamente che le telefonate siano pochissime.

Per quanto riguarda lo sportello di ascolto di Cuorgnè, aperto lo scorso ottobre nell’ambito del progetto CIPI, è stato comunicato alla cittadinanza un numero di cellulare 3453634578, attivo come in orario di sportello, tutti i giovedì dalle 17.00 alle 19.00, e la cui segreteria viene ascoltata quotidianamente da una volontaria che in base alle necessità risponde ed indirizza.

Per adesso la situazione è dunque sotto controllo, ci si augura rimanga tale.

Naturalmente, anche in questo settore, come in tantissimi altri, salta agli occhi la mancanza di una procedura univoca da applicare in caso di emergenza (non ce n’era una e si sta improvvisando), una linea di azioni con le persone in carica per eseguirle o farle eseguire. Ed è forse questa la tragedia nella tragedia, quella che ci espone, non soltanto al rischio del contagio, ma anche a subire gli effetti collaterali del caso, se così li possiamo chiamare. La Casa delle Donne ha applicato un metodo sensato e utile, ma se al di fuori, le istituzioni rispondono col caos (o col caso, chiamiamolo come meglio ci aggrada), non è per nulla confortante.

Grazie al lavoro di queste donne, che ne aiutano altre, perché è davvero importante e ci fa notare, se ancora ce ne fosse bisogno, che il mondo dell’associazionismo e del volontariato è un rete seria e motivata su cui sempre si può contare. Mai come adesso abbiamo la necessità di sentirlo e di ripeterlo.

Lisa Gino