D’amore si vive

CRONACHE ELEMENTARI

Quando ero una bambina e ancora non sapevo che avrei fatto la maestra, la scuola primaria si chiamava scuola elementare ed iniziava il 1° ottobre. La sera del 30 settembre preparavo con cura i vestiti che avrei indossato il primo giorno di scuola, che per me era sempre importantissimo: rivedere le amiche, la maestra, raccontarsi le vacanze, imparare cose nuove, diventare e sentirsi più grandi!
Andare a scuola significava anche esplorare mondi sconosciuti, mondi dai quali ero esclusa… quasi tutte le mie compagne durante l’estate avevano frequentato posti stupendi che si chiamavano ColoniaDiurna e ColoniaEstivadiBrussonColoniaEstivadiMarinadiMassa, luoghi fantastici, di divertimento, canzoni, avventure, esperienze favolose, animatori affascinanti, oasi di benessere riservate ai figli dei lavoratori Olivetti. Non mi stancavo mai di ascoltare i loro racconti con gli occhi pieni di curiosità, ammirazione e invidia!
C’è un libro di Elisabetta Civardi, pubblicato da Artebambini, che s’intitola La scuola…che scatole! E’ un libro illustrato con piccole opere d’arte fatte con scatole di cartone, un delicato gioco sull’uso di oggetti, colori e materiali. Un libro che invita i bambini a pensare la scuola come luogo di avventure, di emozioni e di re azioni (quale appunto è e dovrebbe essere), ad immaginare la propria scatola/scuola, per crearla e riempirla di decorazioni, oggetti, pensieri significativi.
Che cosa avrei messo da bambina nella mia scatola? Che cosa metterebbero ora i miei alunni? Che cosa ci metterei ora che sono maestra? Oggi metto in quella scatola immaginaria tre biglietti.
Il primo è una domanda: A cosa serve la scuola? Matteo Saudino dice che 7 alunni su 10 alle superiori rispondono che la scuola non serve a niente, che a scuola si annoiano e che sono altri i luoghi in cui loro crescono e vivono esperienze formative. Per Saudino e Chiara Foà, autori di Cambiamo la scuola, la scuola di oggi è un mostro simile ad un’Hydra, metà serpente e metà drago. Tutto, dagli studenti e le studentesse ai docenti, dal personale ATA agli educatori, dai programmi ai genitori, rischia di essere ridotto a numeri e merci. Nella scuola dell’Hydra gli allievi “diventano utenti, le famiglie clienti, la creatività lascia spazio all’esecuzione, la passione alla monotonia e il ragionamento critico al pensiero unico obbediente”. Questa scuola ha più teste, che le fanno assumere caratteristiche sempre più simili a quelle di un’azienda e sempre più lontane da quelle di un istituto formativo. Distruggere l’Hydra significa superare individualismi e paure, per ricostruire ed alimentare una scuola umanista, incentrata sulla persona e sulla relazione.
Il secondo biglietto della mia scatola è un’immagine, la fotografia di un’opera di Maurizio Cattelan, Charlie don’t surf, del 1997, esposta al Castello di Rivoli. Rappresenta un bambino, rivolto verso la finestra, seduto davanti ad un banco di scuola. Indossa i jeans e una felpa col cappuccio, il banco , quello classico in metallo col ripiano verde e la sedia con seduta in legno in frassino chiaro, somiglia proprio a quello della mia scuola di quando ero un’alunna e ricorda anche quello dei miei bambini nella nostra aula. Il bambino appare calmo, forse diligente, immobile. Spostandosi verso la parte davanti ci si accorge che le sue mani, appoggiate sul banco, sono trapassate da due matite. Ho letto che Cattelan ha sempre vissuto come una punizione dover andare a scuola e che è stato ripetutamente bocciato.
Sul terzo biglietto della mia scatola c’è scritto D’amore si vive, il titolo del docu-film di Silvano Agosti del 1984. Ogni volta che riguardo il faccino paffuto di Frank, il bambino di 8 anni intervistato dal regista e ascolto le sue parole, sorrido: “Io la scuola la vivo un po’ male, perché non ne ho voglia. La scuola vorrei che fosse sì studiare, ma poi a giocare…invece è così mogia, si studia sempre, ci sarà mezz’ora di ricreazione, il pomeriggio ce n’è un’ora…cioè non è molto precisa nelle sue cose. E poi la scuola è una cosa da stare in gabbia, a scuola non puoi vivere, non puoi giocare…son robe che nella vita non c’entrano, la nota, la maestra che dà la nota, invece nella vita c’entra l’amore, il bene, la gioia, la felicità, scoprire la vita.” E vorrei dirlo a Frank, che oggi è adulto, che anche nella scuola c’entrano la gioia, il bene, la scoperta, che anche nella scuola c’entra l’amore.

Betta Dolcemiele – Maestra

Illustrazione di Beatrice Alemagna