Disastro Rsa. Il Piemonte come la Lombardia non ha protetto i suoi anziani.

La situazione dei contagi nelle Rsa in Piemonte si aggrava a mano a mano che vengono fatti i tamponi. Il ritardo nello screening ha portato al mancato contenimento del contagio se non l’ha favorito.

Le Residenze Sanitarie Assistenziali (Rsa) sono strutture riservate ad anziani non autosufficienti che necessitano di assistenza medica e infermieristica costante. Si tratta di luoghi dove risiedono persone spesso con un quadro clinico critico, persone da curare e proteggere.
Eppure in questi e verso questi contesti che avrebbero richiesto la più alta attenzione per evitare o per lo meno contenere il contagio, sono stati fatti errori che hanno trasformato le Rsa in una sorta di lazzaretti.
E non si tratta di errori veniali, visto che si parla di trasferimento di malati di Covid-19 dagli ospedali alle Rsa e di gravi ritardi nel fare i test ai ricoverati e al personale anche di fronte a decessi per Covid nelle strutture.
In Piemonte come in Lombardia, alla prima grave mancanza di dispositivi di protezione individuale, che con il tempo si è quasi colmata, si è passati allo scellerato inserimento nelle strutture per anziani di persone ricoverate in ospedale, per alleggerire i nosocomi, senza far loro prima il tampone. Ma ancor peggio, infatti a fine marzo la Regione Piemonte ha anche autorizzato il trasferimento nelle Rsa di persone positive al Covid. Un atto di una gravità assoluta e in contraddizione con le direttive nazionali.

Il caso Piemonte

Il contagio in Piemonte

Il Piemonte negli ultimi giorni diventa caso nazionale. Ci si interroga sul perché nella nostra regione i contagi continuino a crescere tanto da far dire che occorre una vigilanza speciale per il Piemonte. Dopo il colpevole ritardo nelle diagnosi e il caos organizzativo (niente tamponi nemmeno a chi aveva tutti i sintomi del Covid-19, centinaia di mail dei medici di base per segnalare casi sospetti di coronavirus perse con i pazienti mai controllati), il presidente Cirio tenta di rassicurare la popolazione e il paese dicendo che l’aumento di contagi è dovuto solo all’aumento del numero dei tamponi. Questa affermazione più che tranquillizzare fa infuriare. Sì, perché il Piemonte pur avendo avuto un paio di settimane di preavviso dal primo caso a Codogno, si è fatto trovare impreparato. Quando il contagio è arrivato nella nostra regione i laboratori per l’analisi dei tamponi erano ancora solo due per l’intera regione e di conseguenza era molto basso il numero di tamponi che si riusciva ad analizzare, solo 200 al giorno (i tamponi venivamo fatti ma rimanevano “in coda”, ritardando di molti giorni l’esito). Oggi i laboratori sono dodici e l’assessore all’Innovazione, Matteo Marnati, ha annunciato che «si stanno facendo 7.300 tamponi al giorno e che la Regione sarà in grado di analizzare nell’arco di poche settimane oltre 10.000 tamponi al giorno, ma l’obiettivo è di superare i 10.000 diventando così la prima Regione per numero di tamponi analizzati». Anche se è meglio tardi che mai, la gara andava però fatta ad inizio epidemia a non dopo due mesi. Questo ritardo ha come conseguenza il fatto che oggi non abbiamo i dati sull’esatta diffusione dell’epidemia in Piemonte.
L’assessore Luigi Icardi, pensando forse anche lui di tranquillizzare la popolazione, informa che «Se togliamo le Rsa, dove i positivi sono il 60%, la curva è in forte discesa», come se nelle Rsa vivessero degli alieni e senza far cenno alle cause di quel picco esponenziale di contagiati in strutture che dovrebbero essere fra le più protette.
Appare evidente una grande falla nel sistema di protezione e prevenzione sanitaria piemontese.

Gli esposti, le indagini della Procura

In diverse province sono stati aperti dei fascicoli in procura contro ignoti per i casi di morte nelle Rsa piemontesi. Sono arrivati anche i primi esposti. Il Codacons chiede alla Procura di Ivrea di indagare per “epidemia e omicidio plurimo doloso” in relazione ai decessi per Coronavirus avvenuti nelle Rsa del Canavese di Piovano Rusca di Nole Canavese, Sereni Orizzonti di San Mauro Torinese, Villa Lina a Corio Canavese, Residence del Frate a Bairo, G. Arnaud a Volpiano, Annunziata a Marcorengo di Brusasco, Beata Vergine della Consolata Fatebenefratelli a San Maurizio Canavese, San Giovanni Battista a Bosconero. Il Codacons denuncia «A nostro avviso ci sono delle carenze nella gestione dei ricoverati, ma anche sul personale costretto in alcuni casi a lavorare senza protezioni».
Un secondo esposto è stato presentato da Ezio Locatelli in qualità di segretario del Partito della Rifondazione Comunista alla procura di Torino. Nell’esposto Rifondazione sollecita l’accertamento delle responsabilità e di eventuali illeciti penali alla base del disastro Rsa in Piemonte. L’esposto chiede in particolare di “verificare se nell’iter legislativo regionale vi possano essere state delle aporie che possano aver inciso sull’incremento dei contagi e dei decessi nelle Rsa”, specifica l’avvocato Maurizio Merlo, incaricato dal PRC per la presentazione dell’esposto. «In Piemonte sono state bypassate le linee guida del governo – afferma Locatelli in conferenza stampala Regione ha aperto le Rsa ai malati Covid e non ha protetto i residenti come non ha protetto gli operatori con dispositivi adeguati.» E all’assessore Icardi che nei giorni scorsi ha dichiarato “non vogliamo scaricare nulla su nessuno ma le residenze sono strutture private che hanno un loro direttore sanitario e amministrativo”, Locatelli ricorda che «la titolarità di queste strutture e la responsabilità di come vengono erogati i servizi nelle Rsa, purtroppo in gran parte private, rimane in capo alla Regione
Ma quali sono stati i passi legislativi “difettosi” che l’esposto chiede di verificare? L’avvocato Merlo ha riassunto i fatti: in data 20 marzo la giunta regionale ha emesso una proposta di deliberazione dove chiede alle Asl di verificare le disponibilità di posti letto nelle Rsa per ricoverare malati Covid, anche stipulando nuovi contratti di convenzione. Questa delibera anche se non pubblicata viene distribuita alle Asl che iniziano a muoversi (acriticamente) nella direzione indicata dalla Regione. Iniziano i primi spostamenti di malati Covid nelle strutture per anziani. Il 25 marzo il Ministero della Salute aggiorna le Linee guida nazionali per la prevenzione del contagio indicando di considerare le Rsa come residenze ad alto rischio all’interno delle quali risiede la popolazione più esposta al contagio e verso le quali quindi occorre mettere in atto la maggiore protezione possibile. Nonostante le raccomandazioni governative, se mai ce ne fosse stato bisogno, la Regione Piemonte il 10 aprile pubblica la deliberazione del 20 marzo senza cancellare il trasferimento di contagiati nelle Rsa.

La situazione delle Rsa di Ivrea

Rsa Saudino Ivrea

A Ivrea ci sono due strutture per anziani non autosufficienti: Saudino in zona lago San Michele e Residenza Anna Maria in via San Giovanni Bosco. Fino ad una decina di giorni fa sembrava che Ivrea fosse un’isola felice, ma la realtà era un’altra: non vi erano evidenze di contagiati, semplicemente perché non erano ancora stati fatti test. Il 23 aprile sono arrivati gli esiti dei tamponi chiesti per il Saudino e l’isola felice svanisce, sono 24 i positivi, di cui 4 fra il personale sanitario. Venti residenti su 46 erano stati dunque contagiati dal CoV-Sars2, “tutti asintomatici” stando alle dichiarazioni ufficiali. Cosa è successo al Saudino? Leggiamo che il 27 febbraio viene trasferita dall’ospedale di Ivrea una persona con una polmonite grave. Non è dato di sapere se le fosse stato fatto il tampone per il Covid. Dopo un paio di giorni la persona peggiora, viene riportata in ospedale dove purtroppo morirà. Dopo qualche settimana alcuni residenti accusano febbre, una di loro viene ricoverata in ospedale e il primo aprile muore con il CovSars-2. Dopo quest’ultimo decesso la direzione della Rsa chiede i tamponi per tutti, ma bisognerà attendere fino al 21 aprile perché arrivi nella struttura il personale per i test. Perché si sono chiesti così tardi i tamponi? E perché ci sono volute quasi tre settimane per averli? Queste sono domande che dovranno avere una risposta. E non sono accettabili come risposta le parole del sindaco di Ivrea, Stefano Sertoli che in uno dei suoi video alla cittadinanza parla di situazione sotto controllo e di «”apparente ritardo”, perché sempre dovuto alla stessa causa che sono pochi i tamponi disponibili e quindi anche gli operatori dell’Asl devono seguire un criterio di priorità.» Se non è una priorità una “epidemia nell’epidemia” quale è la diffusione del contagio nelle Rsa, vuol dire che abbiamo un problema, grosso.
Ora attendiamo di conoscere se e quanti contagiati ci sono nell’altra struttura eporediese Residenza Anna Maria, dove i tamponi dovrebbero essere fatti entro la settimana corrente. Mentre altre Rsa stanno ancora aspettando i controlli su tutti i residenti e il personale, come alla Globo Azzurro di Lessolo, dove ci sono sei ospiti con la febbre isolati nelle loro camere in attesa dei testi richiesti ormai da più di tre settimane.
Sarebbe interessante sapere dove vengono fatti i 7300 tamponi giornalieri annunciati dalla Regione.
Proteggere gli operatori sanitari (che occorre sottolineare lavorano spesso in condizioni al limite e con poche tutele lavorative, per lo più lavoratori-soci di cooperative, oltre che sanitarie) e le fasce più deboli della popolazione è un dovere di legge oltre che un dovere morale.
Ormai molti danni, con perdite di vite, sono stati fatti, però si può e si deve recuperare. Tutte le omissioni e responsabilità vanno indagate, perché l’emergenza non è un attenuante per comportamenti superficiali o irresponsabili.

Cadigia Perini