Donne e disabilità, il doppio dei problemi e la metà del riconoscimento

Bocciata dal Consiglio Comunale di Ivrea la mozione per l’adesione al 2° Manifesto sui diritti delle donne e delle ragazze con disabilità nell’Unione Europea.

Un’altra mozione bocciata, dopo quella per l‘adesione all’anagrafe antifascista di Stazzema, con gli stessi voti: minoranza favorevole, Lega e sindaco astenuti, Neri e Piras (Gruppo misto) contrari.
Un’altra occasione sprecata per dare visibilità al tema tanto importante quanto poco dibattuto della multidiscriminazione (episodi di discriminazione verso un individuo a causa di più motivi diversi) che colpisce le donne portatrici di handicap.
Il manifesto bocciato dal Consiglio Comunale, adottato a Budapest il 28-29 maggio 2011 dall’Assemblea Generale del Forum Europeo sulla Disabilità (EDF) in seguito ad una proposta del Comitato delle Donne dell’EDF, si propone come strumento chiave per promuovere l’uguaglianza, la sensibilizzazione, l’accesso effettivo alla giustizia, i diritti sessuali e riproduttivi delle donne e delle ragazze con disabilità.

Le motivazioni ufficiali addotte dalla maggioranza a giustificazione di tale scelta sono sostanzialmente due: la prima, di carattere tecnico, lamentava l’impossibilità di decidere su di un manifesto del quale era pervenuta in Consiglio Comunale soltanto la sintesi. Il manifesto completo (64 pagine) risulta però consultabile su internet, come fatto notare dall’opposizione, che ricorda anche come la mozione fosse stata presentata già venti giorni prima. La seconda motivazione sta invece nella mancata comprensione del tema, articolandosi in una domanda retorica e qualunquista mascherata da buon senso: “perché parliamo di discriminazioni multiple e disabilità solo per il genere femminile?”. La disabilità non distingue certo il genere no?
Queste affermazioni hanno suscitato aspre critiche dall’opposizione e il consigliere PD Andrea Benedino ha accusato di ignoranza la maggioranza. Più che di ignoranza però questo genere di affermazioni si inserisce in una tendenza alla rinuncia della complessità, al tutto è uguale a tutto, un modo di pensare tristemente diffuso in questo paese e applicato indiscriminatamente alla maggioranza dei temi del discorso pubblico. Una tendenza incoraggiata e rinforzata dagli stessi media di massa, più propensi al titolone che alla riflessione critica. Il problema è che la realtà il più delle volte è complessa, non tutto è uguale a tutto.

Il problema della multidiscrimazione verso le donne disabili è una realtà, basta una veloce ricerca in rete per trovare testi, manifesti, manuali pratici e teorici redatti da ricercatori e associazioni che si occupano del tema, a disposizione di chi volesse saperne di più. Non serve un particolare sforzo intellettuale per capire come la multidiscriminazione agisca, ma in questo caso un esempio è più efficace della teoria: recentemente si è parlato molto dei fenomeni del femminicidio e della violenza di genere in relazione al loro aumento vertiginoso a causa del lockdown. Se una donna che vive in situazioni simili si trova spesso in una condizione di dipendenza e sudditanza psicologica verso il compagno, questo meccanismo è acuito dalla disabilità, che la rende effettivamente dipendente in tutto e per tutto dal partner violento e dal suo volere. Tutto ciò diventa ancora più sinistro se ci si ricorda che, a differenza di altre caratteristiche che rendono vittime di discriminazione (genere, provenienza geografica, preferenze sessuali), la disabilità non è per forza una caratteristica congenita, ma può capitare a chiunque in qualsiasi momento della vita, andandosi ad aggiungere a condizioni di disagio preesistenti. Nei casi di violenza di genere, può anche essere una conseguenza di queste.

Lo stesso meccanismo accade per le violenze sessuali, dove la disabilità rende le donne, agli occhi dell’aggressore, un bersaglio più semplice: sia per una reale o presunta minore possibilità di difendersi durante la violenza, sia perché in un eventuale processo le dichiarazioni di una donna disabile vengono considerate solitamente meno attendibili, soprattutto quando si tratta di qualche forma di disabilità mentale. Anche nel mondo del lavoro la disabilità può diventare un punto di svantaggio, non solo per la persona stessa ma anche per il genitore che se ne occupa, che statisticamente risulta essere maggiormente la madre e quindi già potenzialmente un candidato meno appetibile per le aziende.
Con questi esempi si potrebbe andare avanti a lungo, ma in tutti si rivede lo stesso meccanismo: come è ben noto alle associazioni che se ne occupano, i problemi derivanti dalla multidiscriminazione non si sommano, si moltiplicano. Lo stesso non si può dire purtroppo per l’attenzione sociale ricevuta, che tende invece a diminuire.
Volendo andare al di là di quanto affermato dalla maggioranza, le reali motivazioni della bocciatura sono verosimilmente da ricercarsi in un ormai tedioso gioco di palazzo, sempre più simile a un rituale morente che a un qualcosa utile a spostare opinioni (e meno che mai voti), in cui la maggioranza fa ostruzionismo verso qualsiasi proposta in odore di sinistra, anche quelle puramente simboliche che non presuppongono nessun impegno concreto di forze o soldi pubblici, uno schema che abbiamo visto riproporsi identico sia con la mozione antifascista che con la richiesta dei Fridays For Future di dichiarare l’emergenza climatica. Senza illudersi che un’eventuale approvazione da parte del Consiglio Comunale di Ivrea possa spostare alcunché di concreto, è sempre un peccato veder andare sprecata una buona occasione per dare un segnale e parlare seriamente di una tematica importante, sacrificata come tante altre sull’altare delle dinamiche elettorali.

Lorenzo Zaccagnini

Immagini: In alto a sinistra: A portrait of artist Sophie Morgan, di Tanya Raabe
In basso a destra: Diversity, di Alison Lomas,