Due chiacchiere con Ruggero Reina, per otto giorni in sciopero della fame per il clima

Militante di Extinction Rebellion Torino, Ruggero Reina ha portato avanti per otto giorni uno sciopero della fame in piazza Castello per chiedere la convocazione di un Consiglio regionale aperto sulla questione ecologica, terminato solo quando le sue richieste sono state accolte.

Dopo avergli dato il tempo di mangiare qualcosa e rimettersi in forze, siamo andati a intervistarlo per farci raccontare in prima persona i motivi della sua protesta e gli obiettivi di Xr.

 

Uno sciopero della fame in piazza Castello non è cosa da poco, hai spaventato i capigruppo del Piemonte abbastanza da far loro convocare un Consiglio regionale straordinario e aperto sul clima. Il nome è altisonante, tu sei soddisfatto del risultato ottenuto?

RR: Il fatto che si sia raggiunto l’obiettivo concreto dello sciopero mi ha ovviamente rallegrato (a me e a tutti coloro che hanno lavorato sodo per raggiungerlo), ma peccherei d’ingenuità se mi ritenessi soddisfatto. Non considero il Consiglio Regionale Aperto un risultato raggiunto, bensì un’occasione ancora tutta da sfruttare. In quella sede verranno ascoltate le voci di Extinction Rebellion Torino, ma anche quelle di tante altre realtà che lottano per la giustizia eco-climatica e sociale. Sarà un’occasione per apportare cambiamenti concreti, ma sarà anche uno strumento per far si che la questione ecologica e climatica entri a pieno titolo nel dibattito pubblico. In questo senso sarà imprescindibile la partecipazione e l’interesse di tutta la cittadinanza.

Negli ultimi mesi Extinction Rebellion ha compiuto un gran numero di azioni dirette per riportare l’attenzione al problema della crisi climatica. Ci parleresti un po’ del movimento? Chi e quanti sono i vostri membri, quali sono i vostri metodi e le vostre azioni, quali invece i problemi più grossi con i quali vi scontrate?

RR: Extinction Rebellion è un movimento nato nel 2018 in Inghilterra, ma a oggi si contano 1187 gruppi locali in 86 paesi di tutto il mondo. È difficile definire “chi” siano i membri del movimento, in quanto la partecipazione è assolutamente eterogenea e non è possibile inquadrarla in qualche categoria. Cittadine e cittadini di ogni età e professione prendono parte alle azioni, accomunate da richieste, principi comuni e dalla consapevolezza che la disobbedienza civile non violenta è uno dei mezzi che si sono dimostrati più efficaci per apportare cambiamenti strutturali a livello politico/sociale (basti guardare alla storia dell’ultimo secolo e agli studi di Erica Chenowheth, Gene Sharp e molti altri). Le tre richieste che il movimento porta avanti sono:  Dire la verità – ovvero che i governi e media riconoscano lo stato di emergenza ecologico-climatica, le responsabilità di un sistema economico/politico che l’ha generato, e che informino tutta la cittadinanza della reale situazione in cui ci troviamo; Agire ora – le politiche di contrasto al cambiamento climatico e alla distruzione degli ecosistemi devono essere la priorità dei governi di tutto il mondo insieme al raggiungimento dello zero netto di emissioni ben prima del 2050 (come richiesto dagli attuali accordi internazionali).  Assemblee Cittadine deliberative – l’attuale sistema politico ed economico si è rivelato fallimentare, si rende dunque necessario il passaggio da una democrazia rappresentativa a una vera democrazia partecipativa, in modo tale che le decisioni necessarie vengano prese dalla cittadinanza e non vengano fatte a discapito delle fasce più fragili e in difficoltà della società.

Quando si parla di clima il più delle volte se ne parla con rassegnazione, la narrazione della catastrofe imminente e inevitabile è ormai quasi interiorizzata nell’immaginario collettivo. Quanto questa rassegnazione è realismo, quanto è influenzata e quanto è invece semplice disinteresse?

RR: Il fatto che la rassegnazione sia il sentimento prevalente nel dibattito pubblico riguardo la crisi climatica ed ecologica è frutto di processi che possono esser fatti risalire già alla metà del secolo scorso. Come Micheal E. Mann (geofisico e climatologo di autorevolezza mondiale) dimostra nel suo libro “La nuova guerra del clima”, c’è stato un chiaro passaggio da una strategia di negazionismo delle evidenze scientifiche che dimostravano la necessità di cambiamenti radicali per far fronte alla crisi eco-climatica a una strategia di “distrazione e rinvio” di tali politiche, strategia di cui le multinazionali del fossile e gli altri portatori di interessi sono protagoniste e che hanno portato a quelle che lui chiama “soluzioni-non soluzioni” che non risolvono il problema e ritardano le azioni davvero efficaci che lederebbero gli interessi economici di lobby politiche e multinazionali del fossile. In tutto questo rientra anche una chiara sfiducia della popolazione nei confronti delle istituzioni e di una democrazia rappresentativa che non è in grado di rappresentare davvero la cittadinanza e contribuisce ad aumentare quel sentimento di impotenza di ogni cittadino che porta necessariamente a questa “rassegnazione” che giustamente fai emergere.

Contro i vaccini ci sono manifestazioni continue alle quali viene dato un enorme spazio dai media, mentre per il ben più grave disastro climatico l’interesse scarseggia, sia nelle piazze che nei giornali. Come vi spiegate questo fenomeno?

RR: Riallacciandomi alla prima richiesta di Extinction Rebellion, “Dire la verità”, direi che la questione che poni fa emergere una grande lacuna delle linee editoriali dei media, interessati più alla vendibilità di una data notizia piuttosto che al trattare l’informazione in maniera sistemica. Da qui anche la difficoltà della comunità scientifica di inserirsi in questo contesto e divulgare efficacemente e democraticamente i propri risultati.

Il cambiamento climatico è un problema enorme, il tempo è poco e sappiamo che le cose non si risolveranno dall’oggi al domani. Come Extinction Rebellion, quali obiettivi vi proponete di raggiungere nel breve termine?

RR: Rispondo brevemente a questa domanda dicendo che Extinction Rebellion non si fermerà fino a quando le nostre richieste non verranno messe in atto. Ogni obiettivo a breve termine (come, ad esempio, il Consiglio Regionale Aperto) va in questa direzione, cercando di coinvolgere sempre più la cittadinanza riguardo quella che è stata definita “la più grande crisi che l’umanità si trova ad affrontare”.

Si parla spesso di denatalità in Italia, i cui principali fattori sembrano essere la mancanza di sicurezza lavorativa e di welfare, soprattutto per i più giovani. Quanto invece il disastro climatico già in atto può disincentivare all’avere figli?

RR: Crisi climatica ed ecologica significa anche crisi sociale ed economica, non è quindi scollegata da quei fattori di welfare e assoluta incertezza lavorativa che citi. Il sistema economico/politico che produce precarietà e insicurezza economica è lo stesso che ha portato al disastro ecologico climatico attuale ed è quindi necessario considerare la lotta per la giustizia eco-climatica come lotta per la giustizia sociale. Non mi ritengo un tuttologo e non voglio cadere nella tentazione di semplificare la questione della denatalità riducendola a pochi fattori, personalmente preferisco considerare tale questione come frutto di una moltitudine di fattori interconnessi tra di loro. L’ultimo report dell’IPCC ci ha messo in contatto con l’amara verità che con le politiche attuali ci ritroveremo tra pochissimo tempo a vivere un pianeta che l’essere umano non ha mai conosciuto e, personalmente, tale consapevolezza non può che portarmi ad essere terrorizzato dal mondo che i miei figli potrebbero ritrovarsi a vivere (con gli accordi della COP26 si arriverà a + 2,7° entro la fine del secolo). Da qui la determinazione di tutti coloro che lottano per cambiare realmente le cose.

L’ecologia senza lotta di classe è giardinaggio. Una citazione che suona un po’ datata, ma che pone una domanda molto attuale: la transizione climatica può avvenire senza che il suo peso venga riversato sulle spalle della classe lavoratrice?

RR: Concordo pienamente con la citazione, ed è il motivo per cui Extinction Rebellion chiede l’istituzione delle assemblee cittadine come processo di democrazia partecipativa che permetta a tutte le fasce demografiche e sociali di avere un ruolo di primo piano nell’attuazione di politiche che hanno impatto diretto sulla comunità e sui singoli membri che la compongono, e non subire passivamente delle decisioni calate dall’alto. Una delle strategie messe in atto per ritardare la necessaria transizione ecologica è fare in modo che questa venga percepita come fonte di ineguaglianza sociale e relegarla a mera questione di “ambientalismo”. La crisi climatica ed ecologica è qui adesso e sta già portando al collasso. Quella che in occidente viene definita lotta ambientalista, nel sud del mondo è una questione di sopravvivenza. In Italia, solo per fare un esempio, il 2021 è stato definito l’anno nero per l’agricoltura e se non fossimo in un sistema dipendente dalle importazioni, ci saremmo già resi conto che il nostro territorio non produce cibo necessario a garantire la sopravvivenza di tutti. La storia ci insegna anche che in ogni periodo di crisi, la prima risposta fisiologica è un accentramento del potere a discapito della democrazia. Quello per cui Extinction Rebellion lotta non è solo una questione che riguarda “l’ambientalismo”, ma anche la democrazia e la costruzione di un principio sociale che permetta davvero di co-creare una società resiliente e democratica.

Una frase di Mark Fisher definisce perfettamente la nostra realtà: “Oggi è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo.” Credi che il mondo finirà per colpa del nostro sistema di produzione e consumo o ecologia e capitale troveranno un modo di convivere? Esistono altre soluzioni sono possibili?

RR: La frase citata da Fisher mette in luce come il capitalismo venga considerato l’unico orizzonte possibile anche a discapito della sopravvivenza stessa dell’umanità. Non credo e non ci sono prove a supporto della possibile esistenza di un capitalismo “verde” e sostenibile. Non ci sono prove, come l’ideologia “eco-modernista” alla base delle attuali politiche internazionali sostiene, che la soluzione all’attuale crisi eco-climatica risieda nell’innovazione tecnologica, mantenendo quella che in realtà non è altro che una maschera per portare avanti il business-as-usual. Quando il Ministro Cingolani e l’attuale presidente Cirio (vedi le sue dichiarazioni rilasciate nel consiglio regionale aperto del 2019) sostengono di voler tenere la questione ambientale lontano da ogni ideologia, si macchiano di profonda disonestà intellettuale, in quanto l’ideologia alla base della loro totale inazione è ben chiara ed è esattamente quella che ci porta a dover affrontare un imminente collasso. Un altro mondo è possibile, ma per renderlo tale è necessario che ogni cittadina ed ogni cittadino sappiano che non sono soli e non sono impotenti, per questo Extinction Rebellion, come qualsiasi altra realtà che lotta ogni giorno per cambiare le cose, non si fermerà. Il nostro è un appello ad ogni persona: Se non tu, chi? Se non ora, quando?

 

Lorenzo Zaccagnini