È lecito piangere sul latte versato?

Osservazioni sulla protesta dei pastori sardi

Il latte versato, quello comunemente fuoriuscito da una bottiglia che, accidentalmente si rovescia, è oggi diventato un gesto intenzionalmente compiuto dai pastori sardi, come forma estrema di protesta, contro il far west del mercato. L’abbassamento del costo del pecorino, prodotto con il latte sardo, ha fatto precipitare il prezzo d’acquisto del latte al di sotto del costo sostenuto per produrlo. Il perché di questa caduta dei prezzi del pecorino, nella filiera che raccorda il produttore al consumatore, si deve a chi tira le redini del mercato scaricandone l’andamento negativo sui produttori della materia prima che, di tutta la filiera, sono l’anello più debole.
Da qui la ribellione legittima e sacrosanta dei pastori e la loro clamorosa protesta con il latte ovino prodotto che diventa fiume bianco sulle strade, che si dirama in fiotti e cascate dai viadotti, andando a morire sull’orlo dei fossati o sotto le ruote delle automobili. Lingue di latte candido che si perdono al suolo.
Nonostante condivida le ragioni di fondo di questa lotta, queste scene viste in tv hanno urtato il mio stomaco e anche quello di altri, compresa quella parte dei pastori che hanno ammesso di aver agito così con il pianto nel cuore. Un noto giornalista italiano, sul web, li ha però prontamente difesi considerandoli degni di una medaglia proprio perché, soltanto buttando il latte per terra, avrebbero richiamato l’attenzione sul tipo di sfruttamento a cui sono sottoposti. Lo stesso giornalista ha poi definito, a scanso di equivoci, “non violenta” la natura della loro protesta. Sarà perché appartengo a una generazione, che pur avendo avuto la fortuna di non patire la fame, è stata educata alle regole della parsimonia e del non spreco, a me invece il latte sversato a bidoni è apparso come un atto violento commesso contro quella cosa viva che si chiama cibo e che, se non altro per come procedono le cose nel mondo, dovrebbe ubbidire al principio di un’inviolabile sacralità. Sono consapevole che tonnellate di cibarie, ogni giorno, finiscono nella spazzatura, lo so che la nostra società preferisce buttare che riciclare, sono al corrente che tutto si getta via compresa la vita, ma questa cosa non mi va giù e che l’abbiano fatta i pastori, davanti agi occhi di tutti, meno che mai. Non capisco, infatti, come dar fuoco a un cassonetto o spaccare una vetrata possa essere considerato un atto di violenza e gettare via il latte no, gesto che, dal mio punto di vista, rappresenta un’azione ben più grave e sacrilega. Ma si sa che il concetto e le forme della violenza sono discutibili e diversamente percepite. Per esempio la violenza strategica esercitata del potere, avvezzo ai soprusi, è strisciante e subliminale e stenta a risultare evidente anche quando scatena la rabbia popolare. Al contrario, quella dei manifestanti in lotta è sempre manifesta, palesemente individuabile e di conseguenza facilmente riprovevole. Stabilire il confine tra la violenza, perpetrata da chi domina il mercato, e la legittima difesa di chi ne subisce le regole, è un compito di improba difficoltà. Inoltre il popolo, pur inizialmente propenso alla solidarietà con i lavoratori, non tollera troppo a lungo i disordini e le rivolte di piazza, finendo per dimenticare le vere cause che ne sono all’origine. Personalmente non demonizzo, in assoluto, il mercato che a volte premia onestamente i più bravi, ma detesto quel tipo di sfacciata furbizia con cui i padroni del business azzerano il loro rischio di impresa, compensandone le perdite solo attraverso i sacrifici dei lavoratori. In altre parole non si tratta di far pagare le perdite anche ai lavoratori ma semmai di farle scontare anche agli imprenditori.
Per tornare al tema del latte versato, io non concepisco che, per bucare il video e catturare l’attenzione, si debba ricorrere allo spreco di cibo. Se si pensa di sensibilizzare le coscienze con queste iniziative, cosa succederà quando crescerà l’assuefazione allo shock? Forse che strapperemo il pecorino dalle mani dei bambini e lo calpesteremo sotto i piedi oppure, per una più macabra efficacia, impiccheremo qualche pecora al parapetto di un viadotto? Invece di alzare il livello di shock contro le coscienze smorzate non è meglio elevare queste ultime attraverso l’educazione virtuosa? Un modo per farlo potrebbe essere quello di considerare lo spreco di cibo come un tabù. Il cibo non si deve gettare via in nessun caso. E’ lecito, dunque, piangere sul latte versato? Secondo me sì. Non solo è lecito e utile ma è anche doveroso.

Pierangelo Scala