Embraco: una storia di resistenza operaia

Verso lo sciopero generale di Torino della categoria

La vertenza Embraco ha ormai acquisito una notorietà fuori dal comune, con una sovraesposizione mediatica e politica assolutamente inusuale: una sorta di tempesta perfetta, dovuta a ragioni diverse che messe insieme hanno avuto un effetto esplosivo.
Ma non è detto che tutto ciò serva a trovare una soluzione per i lavoratori.
Quali sono in tutti i casi queste ragioni?
Intanto la vicenda di Embraco sfata una serie di luoghi comuni come il fatto che la crisi sia finita, e proprio mentre affrontiamo l’ennesima ristrutturazione aziendale l’opinione pubblica si accorge che tra gli effetti non tanto collaterali del Jobs Act c’è la riduzione degli ammortizzatori sociali: nel caso di Embraco fino a due anni fa avremmo avuto a disposizione per i lavoratori un anno di cassa integrazione per cessata attività.

E poi c’è il tema delle multinazionali e dei loro comportamenti predatori: è pur curioso che lo si scopra oggi, forse perché in questo caso appare con più evidenza l’impotenza del nostro paese di trattare alla pari con aziende straniere, anche nel caso di una multinazionale brasiliana relativamente piccola come Embraco (tra l’altro anche la Sandretto di Pont era stata acquisita e poi chiusa da un’azienda brasiliana, la Romi).
In verità questo schema va relativizzato, perché in fin dei conti qual è la differenza se una fabbrica viene chiusa da un’azienda straniera piuttosto che italiana?
Inoltre l’Embraco è fornitore nonché di proprietà della Wirphool americana, una delle più grandi multinazionali al mondo nel settore degli elettrodomestici, presente in Italia con numerosi stabilimenti ex-Indesit ed ex-Merloni, e che forse ha le spalle troppo larghe se è vero che lo stesso Ministro Calenda l’ha chiamata in causa molto timidamente.
E Calenda è un’altra chiave che spiega questa vicenda: mai ministro si era speso con tanta virulenza nei confronti di un’azienda, e soprattutto tanto si era esposto senza – fino a questo momento – raccogliere alcun risultato. Certo pesa la vicinanza delle urne, ma anche l’evidente tentativo di risolvere sul piano muscolare una partita per la quale il Governo non ha strumenti adeguati: Calenda sembra interpretare bene la logica del “o la va o la spacca”. Tanta propaganda e molta impotenza!

Poi ci sono i lavoratori: quelli italiani, sospesi fra grande determinazione, crescente disillusione e quindi disperazione, e quelli slovacchi, colpevoli di aver rubato il lavoro agli italiani. Uno schema particolarmente sgradevole ma anche molto funzionale alla deriva razzista e “sovranista” a cui assistiamo quotidianamente.
La cronaca della vertenza si muove velocemente: Embraco non ha per ora voluto ritirare la procedura di licenziamento collettivo dei 500 lavoratori di Riva di Chieri, per chiedere la cassa integrazione durante la quale far decollare un piano di reindustrializzazione del sito. La procedura scade il 25 marzo e da quella data possono partire le lettere di licenziamento. Per questo il governo ha avocato a sé il compito di individuare aziende interessate ad insediarsi dove ora c’è Embraco e assorbirne i dipendenti.
Nella settimana che inizia il 26 febbraio è attesa una convocazione da parte del Mise (Ministero dello sviluppo economico) per informare i sindacati sulle aziende interessate alla reindustrializzazione dello stabilimento, poi mercoledì una delegazione di lavoratori sarà a Bruxelles, mentre il 2 marzo si terrà una grande assemblea dei delegati metalmeccanici torinesi per preparare lo sciopero generale di Torino della categoria entro la metà di marzo.
La lotta continua, e anzi, almeno in questo caso, diventa più grande!

Federico Bellono