Inverno liquido

Presentato allo Zac! il 2 marzo il libro di Dematteis e Nardelli

Ogni volta che un libro nasce a fronte di conseguenze dovute al cambiamento climatico si riapre una ferita, si vive l’amarezza di un declino progressivo del territorio, si vedono deperire floride economie, si verificano spopolamenti di zone,  perdite di occupazione e abbandoni, alla mercé del degrado, di strutture ed impianti che, come raccontato in questo libro, sono deputati alla pratica dello sci di massa.
Gli impianti di risalita, le seggiovie dondolanti, che consentono di allargare comodi sguardi sull’ineguagliabile panorama delle vette, stanno oggi chiudendo a causa della scarsità o assenza d’innevamento, prodotto dall’aumento delle temperature e dagli squilibri climatici. Gli impianti, per l’inutilizzo, sono forme scheletriche di ferro incalzate dalla ruggine, ennesimo emblema di un paesaggio sempre più imbruttito. La vena aurifera della neve, vero oro bianco per l’industria della montagna, si va esaurendo dipingendo nuovi scenari di crisi e riaccendendo vecchi interrogativi che restano senza adeguate risposte.
L’altra sera, a presentare Maurizio Dematteis, uno degli autori del libro, giornalista, scrittore e videomaker, c’era Vanda Bonardo, responsabile nazionale delle Alpi per Legambiente e autrice della postfazione di questo lavoro. Tema centrale del libro “Inverno liquido”, la fine del turismo invernale e dello sci di massa con le conseguenti ricadute sull’intero indotto di quella che è la prima industria della montagna.
Se la neve non c’è più, crolla un’intera economia e con questa si mette a repentaglio un tipo di benessere che sembrava garantito nelle nostre abitudini vacanziere. E perché la neve, la soffice coltre, il mantello bianco che incappuccia le montagne di sfavillante bellezza e allieta, sulle piste da sci, gli appassionati d’alta quota, non c’è più?
Perché la temperatura continua a salire, liquefacendo e disperdendo l’oro bianco. A confermare questi eventi, Vanda Bonardo parla, dati alla mano: ”Tra il 1960 e il 2018, in ben trenta località delle Alpi, la temperatura è cresciuta di 3 gradi. L’aumento medio della temperatura in montagna risulta il doppio di quello registrato in pianura. Le superfici dei ghiacciai si riducono del 60-90 % del loro volume e questo implica, per evidente deduzione, anche una pianura senz’acqua.”. Anche Mercalli, citato per l’occasione, ha detto che Cervinia non ha più di 30 anni di prospettiva legata all’economia dello sci. Insomma, non solo stiamo sfiorando i limiti della montagna, ma siamo già oltre il limite stesso.
L’industria dello sci ha, nel tempo, non solo modificato il paesaggio ma anche rappresentato una monocultura industriale di monopolio che ha spazzato via piccole imprese artigianali sul territorio, microculture collaterali ed efficienti, oggi diventate a rischio anche per colpa del clima. Il libro interroga, nella forma del reportage, 25 piccoli esempi di queste realtà minori, ragionando sulle possibili modalità di conversione economica e sopravvivenza di fronte ai mutamenti ecologici.
L’atteggiamento degli intervistati, di fronte alla nuova realtà, va da un senso di smarrimento che genera un rancore imprecisato, alla ricerca di cooperazione per elaborare nuove strategie e reazioni. Non mancano, per fortuna, gli esempi virtuosi come quelli che puntano sul turismo delle escursioni a piedi o in bicicletta. In questi casi però andrebbero smantellati i vecchi impianti di ferro arrugginito che, per ragioni di costi, invece, vengono lasciati in brutta vista.
In definitiva, nulla sembra poter eguagliare la pacchia economica del turismo bianco e quindi, con salomonico cinismo, si continua a rincorrere il vecchio business, creando l’oro bianco artificialmente. Per “fare la neve” occorre prelevare dell’acqua e utilizzare spazi di freddo cosicché le montagne vanno riempiendosi di bacini artificiali il cui costo grava sulle spalle di tutti, ammonisce ancora la Bonardo. Inoltre bisogna considerare gli alti consumi energetici previsti per i cannoni sparaneve, disseminati sulle piste da sci.
E’ chiaro che per compensare le perdite economiche di questa crisi, si alzano i prezzi per cui una camera in montagna o un pomeridiano sulle piste diventano beni di lusso, favorendo principalmente lo sport, il turismo di élite e anche la frequentazione delle maggiori e più attrezzate stazioni sciistiche a danno di quelle minori. La corsa alla “neve firmata”, altra citazione a cui si fa riferimento nominando Mauro Corona, non fa altro che indurre emarginazione e allontanamento sociale.
Oggi, un insegnante a Cortina d’Ampezzo deve affrontare costi di permanenza non più sostenibili e quindi è costretto a trasferirsi. Il turismo bianco induce pratiche autolesioniste da accanimento terapeutico, attraverso la mediazione degli artifici: falsa neve per paesaggi invernali di finzione e sciatori compiacenti. E’ la solita vecchia storia: come se un contadino spremesse l’unica mucca a disposizione, strizzandole maggiormente le mammelle, proprio quando non è più in grado di dare latte e intestardendosi nella convinzione che la stessa povera mucca debba prosperare all’infinito.
In chiusura, Dematteis ci ricorda che la montagna dovrebbe essere di chi la tratta bene, concetto, a mio parere, da elevare a imperativo categorico dettato da etiche convinzioni, e ancora ribadisce la necessità di valorizzare le realtà endogene della montagna rispetto a quelli che ormai sono modelli di sviluppo giunti al capolinea.
Per conto mio, qualcosa potrà cambiare soltanto quando guarderemo alla neve e alla montagna come beni prioritari rispetto a una pista da sci. In termini più precisi: rinuncio allo sci ma ridatemi la neve.

Pierangelo Scala