Galileo, la scienza e il cambiamento climatico

L’inconsistenza degli argomenti di chi non accetta di mettere in relazione il riscaldamento globale con le attività umane.

Il dibattito sulla relazione tra umani e pianeta diventa sempre più urgente. In particolare la discussione sui cambiamenti climatici richiede un momento di riflessione, senza dimenticare l’urgenza di avviare progetti per abbandonare le fonti fossili, e per concentrare le risorse e le energie verso progetti socialmente desiderabili e ambientalmente sostenibili.

Il dibattito sui cambiamenti climatici si polarizza spesso su posizioni difficili da conciliare. Vediamo gli argomenti di chi non accetta di mettere in relazione il surriscaldamento globale con le attività umane.

Il primo argomento di chi nega la relazione tra cambiamenti climatici e attività umane consiste nel sostenere che il clima della Terra è cambiato più volte da quando esiste il nostro pianeta, con periodi più caldi e periodi più freddi, e che queste oscillazioni sono causate da fattori naturali.
La risposta a questo argomento viene fornita da molte ricerche recenti: è vero che la Terra è già stata molto calda, ma mai così calda e mai tutta in una volta. Per la prima volta nella storia un periodo eccezionalmente caldo sta interessando tutta la superficie terrestre nello stesso momento, le temperature medie globali non sono mai state cosi alte da migliaia di anni. In passato picchi di caldo o freddo si verificavano in tempi differenti e in luoghi diversi del pianeta. Insomma non c’è mai stato un surriscaldamento globale (“global warming”) come quello che stiamo vivendo, che sta interessando il 98% del pianeta. I risultati di queste ricerche, pubblicati dalla rivista Nature nel 2019, sono basati su indagini paleo-climatiche, ovvero ricerche che estraggono informazioni sul passato da “carote di ghiaccio”, sedimenti lacustri, coralli, etc. (Neukom e al., 2019). Queste ricerche confermano che il fenomeno è da attribuire con ogni evidenza alle attività umane che causano una crescente concentrazione di gas-serra nell’atmosfera. Ecco perché venne firmato il “protocollo di Kyoto” nel 1997: per regolamentare le emissioni dei principali di questi gas che causano il cosiddetto “effetto serra”: anidride carbonica (CO2), metano (CH4), etc.
Sono dunque le attività umane le principali responsabili del global warming e diversi studi del Consiglio Nazionale delle Ricerche USA hanno da tempo chiarito che questa è anche la posizione della comunità scientifica (US-NRC, 2001; US-NRC, 2008).

Il secondo argomento contro la connessione tra attività umane e global warming sostiene che questa è soltanto una “congettura”, un giudizio fondato su indizi, portando a supporto di tale argomentazione il fatto che persino la comunità scientifica è divisa. Ma in cosa consiste questa divisione della comunità scientifica?
Per rispondere a questa domanda bisogna partire da lontano, dalla stessa definizione di metodo scientifico. Il metodo scientifico parte dall’osservazione della realtà, dalla rilevazione di fenomeni che portano a elaborare teorie, le teorie vengono poi usate per formulare delle previsioni e infine, ma questo è il punto cruciale, le previsioni devono essere verificate (e quindi le teorie stesse dalle quali discendono) attraverso degli esperimenti, delle evidenze. Il nocciolo della pratica scientifica è l’esperimento, le “sensate esperienze” come diceva Galileo nel 1615 nella sua lettera alla Granduchessa di Toscana: “… conclusioni naturali, attenenti a i moti celesti, trattate con astronomiche e geometriche dimostrazioni, fondate prima sopra sensate esperienze ed accuratissime osservazioni” (Galilei, 1615). D’altra parte il metodo scientifico per definizione non può avere certezze definitive: si uscirebbe dal mondo della scienza e si entrerebbe nel mondo dei dogmi. Come scrive il grande fisico italiano Rovelli: “… Il pensiero scientifico è innanzitutto un’appassionata esplorazione di modi sempre nuovi per pensare il mondo. La sua forza non consiste nelle certezze raggiunte, bensì in una radicale consapevolezza dell’estensione della nostra ignoranza; questa consapevolezza ci permette di rimettere in dubbio in continuazione ciò che crediamo di sapere, e quindi di continuare ad apprendere. La ricerca di conoscenza non si nutre di certezza: si nutre di una radicale mancanza di certezze …” (Rovelli, 2014). Gli scienziati cambiano idea sulla base delle evidenze. Ma come fanno a raggiungere il consenso? Con il tempo!

Tornando alla domanda iniziale: esiste una connessione tra il consumo di fonti fossili e il global warming? Di fronte a questa domanda molto complessa sono emerse diverse ipotesi, ognuna di queste è stata sottoposta a verifiche accurate e, dopo un certo periodo di tempo, le ipotesi hanno cominciato a “convergere”. Quando sono emerse le prime evidenze, queste hanno permesso di formulare delle predizioni ancora più fondate, la teoria ha cominciato a diventare sempre più solida. Nel mondo della scienza non si vota, si raggiunge il consenso. Ebbene il consenso della comunità scientifica riguardo alla domanda iniziale ha raggiunto il 97%.
Molti studi indipendenti sul tema sono arrivati ad una risposta importante: il consenso sul fatto che le attività umane siano le principali responsabili del global warming ha raggiunto il 97% degli scienziati (Cook e al., 2016).
A quel punto, un gruppo di ricercatori ha voluto approfondire le posizioni di quella minoranza, di quel 3% che ancora non accetta questa conclusione. Hanno ricontrollato gli studi provenienti da quel 3% di scienziati, hanno verificato le assunzioni di base e rifatto tutti i calcoli. Il risultato di questo enorme lavoro è molto interessante: ognuna delle analisi contiene almeno un errore (nelle assunzioni, nella metodologia, o nell’interpretazione dei risultati). Ancora più interessante: una volta corretti questi errori si ottengono risultati in linea con le conclusioni del resto della più ampia comunità scientifica. Altro aspetto importante: questi studi del 3% degli scienziati non sono consistenti nelle spiegazioni alternative: qualcuno attribuisce il global warming all’attività solare, altri alle attività orbitali di altri pianeti, altri ancora ai cicli delle correnti oceaniche e così via (Benestad e al., 2016).

In definitiva, il 97% degli esperti concorda con una teoria supportata da una mole imponente di dati scientifici: il global warming è causato dalle attività umane. Naturalmente non si può censurare quel 3%, però non si può nemmeno affermare che “la comunità scientifica è divisa”. In alcuni casi si arriva a citare addirittura Galileo, sostenendo che, pur essendo in “minoranza”, aveva ragione. Va ricordato che Galileo è esso stesso il fondatore del metodo scientifico e non aveva di fronte dei colleghi o esperti, aveva di fronte il San’Uffizio che, come noto, non usava “metodi scientifici”. La comunità scientifica del tempo era molto “esigua” (vedi Copernico) ma era sulle posizioni di Galileo.

E’ tempo di agire

Partiamo da un punto fermo: il fenomeno del global warming è strettamente correlato con la rivoluzione industriale e con l’utilizzo massivo di fonti fossili come combustibili, che a sua volta ha aumentato ad una velocità mai vista la concentrazione di gas-serra nell’atmosfera. Nel 2019 le ultime stime dicono che arriveremo a emettere in atmosfera oltre 43 Miliardi di tonnellate di CO2 (Gton CO2) (vedi fig.1).


Se questo è vero allora possiamo vederne anche l’aspetto positivo: se il global warming è causato dagli umani, allora gli umani possono anche fare qualcosa per affrontarlo!
E questo vale anche per le persone più “scettiche”: progettare il futuro va fatto comunque! E allora perché non farlo affinché sia anche socialmente desiderabile e ambientalmente sostenibile?
Ad esempio al livello europeo emergono proposte di ridurre la CO2 del 50% entro il 2030, e del 100% entro il 2050 (es. la Danimarca), ma anche a livello locale si possono avviare progetti interessanti. Vediamone alcuni.

1. Tavoli di lavoro: attivare dei tavoli di lavoro (con associazioni, esperti, cittadini, etc.) sul cambiamento climatico per progettare le azioni più urgenti (es. piani energetici locali, piani dei trasporti e mobilità urbana, piani dei rifiuti, piani per l’agricoltura biologica, etc. in ogni comunità, quartiere, scuola, etc.).
2. Energia:
a) incentivare l’abbandono di energia da fonti fossili (petrolio, gas, carbone, etc.)
b) ridurre al minimo i consumi di energia (luci, riscaldamento, etc.)
c) incentivare l’uso di energia da fonti rinnovabili (es. gli edifici comunali, le scuole, etc. quali fonti energetiche usano?)
d) informare sulla possibilità di produrre energia rinnovabile in ogni casa, quartiere, edificio, scuola, etc. molti comuni si fanno promotori delle cosiddette “comunità energetiche” (comunità locali che producono, scambiano e accumulano localmente energia)
3. Mobilità:
a) disincentivare l’uso dell’auto privata informando sulle conseguenze per la salute nostra e del pianeta
b) incentivare l’uso di mezzi pubblici, car-sharing, mezzi elettrici, etc.
c) incentivare gli spostamenti “slow”, a piedi, in bici (il 50% degli spostamenti avviene sotto i 3Km)
4. Rifiuti:
a) incentivare l’economia circolare: “ridurre, riusare, riparare, riciclare”;
b) educare alla riduzione dei rifiuti (es. ricariche ecocompatibili, prodotti senza plastica, etc.);
c) educare a fare acquisti con attenzione al pianeta (es. quando si acquista qualsiasi cosa, porsi le semplici domande “da dove viene? quanto consuma? è riparabile? è riciclabile? dove va a finire?”);
d) informare sugli inquinanti rilasciati nel mare dai prodotti per la pulizia personale e della casa.
5. Cultura:
a) sensibilizzare le persone, i cittadini, su tutti gli aspetti del cambiamento climatico;
b) sensibilizzare alla cura degli alberi (es. “piantiamo alberi”, “adottiamo un bosco”, quando acquistiamo carta, legno, etc. verificare la provenienza: ci sono enti che certificano la sostenibilità del legno usato e preservano le foreste e i boschi).
6. Cibo:
a) ridurre i consumi di carne (le proteine le troviamo anche nei legumi secchi, nella frutta a guscio, etc.);
b) educare a mangiare più frutta e verdura di stagione (coltivate in serra richiedono più energia, 10:1);
c) sostenere l’agricoltura biologica.

E’ proprio quello che ci chiedono di fare (con urgenza) i giovani di tutto il mondo di Fridays For Future.

Ivrea, 25 Gennaio 2020
Norberto Patrignani

Riferimenti
– Benestad R.E., et al. (2016), Learning from mistakes in climate research. Theoretical and Applied Climatology, 126, 699–703 (2016).
– Cook J., et al. (2016), Consensus on consensus: a synthesis of consensus estimates on human­caused global warming, Environmental Research Letters, Vol.11, N.4.
– Galilei G. (1615), Opere, Edizione Nazionale a cura di Antonio Favaro, Giunti­Barbera, Firenze 1968, vol. V, pp. 309­348.
– GCP (2017), GlobalCarbonProject.org.
– Harvey C., Gronewold N. (2019), CO2 Emissions Will Break Another Record in 2019, 4 Dicembre 2019, Scientific American.
– Neukom, R., Barboza, L.A., Erb, M.P. et al. (2019), Consistent multidecadal variability in global temperature reconstructions and simulations over the Common Era. Nature Geoscience, 12, 643–649 (2019).
– Rovelli C. (2014), Cos’è la Scienza, Mondadori.
– US­-NRC (2001), US National Research Council, Summary, in Climate Change Science: An Analysis of Some Key Questions, Washington, D.C., U.S.A., National Academy Press, 2001.
– US-­NRC (2008), US National Research Council, Understanding and Responding to Climate Change, Board on Atmospheric Sciences and Climate, US National Academy of Sciences, 2008