Giù la maschera

Cronache elementari

Quando ero una bambina e ancora non sapevo che avrei fatto la maestra adoravo le poesie di Gianni Rodari.
Mi faceva sorridere il modo in cui lui era capace di giocare con le parole, di rendere gli errori quasi simpatici, di descrivere la scuola e la vita come un grande circo immaginario in cui potevano accedere con incredibile armonia le cose più strane e imprevedibili, in cui i grandi combinavano guai quanto e più dei bambini, i maestri insegnavano la grammatica in modo spiritoso, i piccoli avevano una saggezza semplice e profonda.
C’è una filastrocca di Rodari dedicata al primo giorno di scuola:

Suona la campanella;/
scopa, scopa la bidella;/
viene il bidello ad aprire il portone;/
viene il maestro dalla stazione;/
viene la mamma, o scolaretto,/a tirarti giù dal letto…/
Viene il sole nella stanza:/su, è finita la vacanza./
Metti la penna nell’astuccio,/
l’assorbente nel quadernuccio,/
fa la punta alla matita/
e corri a scrivere la tua vita./
Scrivi bene, senza fretta /ogni giorno una paginetta. /
Scrivi parole diritte e chiare: /
Amare, lottare, lavorare.

Ecco, scrivere la vita. Riscriverla… Il 12 settembre è stato per noi il primo giorno di scuola, un primo giorno speciale, come non ne vedevamo anni. Niente mascherine, né distanziamenti in aula e posti fissi, niente turni in mensa, divisione del cortile tra le classi, ingressi diversificati, niente foglio con la trascrizione della temperatura corporea da compilare ogni mattina.
I bambini possono di nuovo lavorare a coppie, in gruppo, prestarsi gli oggetti scolastici, giocare coi giochi di classe e con la palla, cantare, lavarsi i denti dopo il pasto, scambiarsi di banco, fare “i postini” portando materiali o messaggi nelle altre classi, lasciare libri e quaderni a scuola; toccarsi, prendersi, abbracciarsi. Finalmente SI alle uscite sul territorio comunale, alle gite, all’intervento di esperti e volontari a scuola. Possiamo tornare a vivere una normalità a cui eravamo abituati e che davamo per scontata e che ora ci sembra una gioia inusuale per la quale sentirsi grati. Dopo la pioggia viene il sereno, dice Rodari e tutto passa trascorre e cambia, ci ricorda Beatrice Alemagna nel suo albo illustrato “Le cose che passano”: passa il sonno, una ferita, i pidocchi (per fortuna), i pensieri neri e la paura.
Ma questo sarà comunque un anno scolastico difficile, perché in realtà non è tornato tutto come prima della pandemia e nello stesso tempo tutto è rimasto uguale: ci sono ferite da risanare nei bambini, negli insegnanti, nelle famiglie; ci sono i problemi irrisolti, che non sono scomparsi insieme a mascherine e igienizzanti; ci sono reti da avviare o da ricostruire, aperture da creare, legami da ricucire, in classe e fuori.
Perché sì, siamo tornati, ma somigliamo tutti un po’ a Pezzettino, il protagonista della storia scritta da Leo Lionni, tutti un po’ in viaggio, alla ricerca di una nostra identità, da scoprire, da ritrovare.
E forse proprio la scuola può essere può essere l’isola CHI SONO, dove Pezzettino approda, esausto, dopo un lungo viaggio burrascoso, il luogo in cui riesce piano piano a ricomporsi, a ritrovarsi, a rispecchiarsi nell’interazione con gli altri, per poter finalmente arrivare a dire “Io sono me stesso!

Betta Dolcemiele – maestra