Il lavoro ad Ivrea: ambienti diversi, stesso atteggiamento

Riceviamo e pubblichiamo l’intervento di Massimo Fresc su lavoro, Tim e Comdata

A volte torna in mente che viviamo nella terra che vide l’opera di Camillo, Adriano Olivetti e di decine di migliaia di eporediesi per la realizzazione di quella che fu la Società Olivetti. Poi guardando più da vicino qual è la realtà, ogni volta si ha la conferma che di quell’esperienza di lavoro è rimasto ben poco. Sia chiaro, nessuno vuole nostalgicamente riproporre i bei tempi andati, ma non si può neppure considerare che tutto quello che fu, sia andato perso, sepolto. Quell’esperienza concreta vide la realizzazione di un modo di lavorare diverso: si tenevano presente le esigenze della fabbrica, i tempi della produzione, ma si studiava anche come alleviare la fatica dei lavoratori e delle lavoratrici, come ridurre lo stress della catena di montaggio, come valorizzare il contributo di tutti coloro che nella fabbrica lavoravano.

Chi dice che quello fu un modello paternalistico commette un errore storico: da un lato Olivetti è stata per decenni, proprio in quei decenni, leader europeo e mondiale nella produzione di macchine per ufficio e da calcolo, con profitti che avrebbero fatto gola a molti. Dall’altra parte, raffrontando i salari degli operai di quegli anni, in condizioni produttive e territoriali simili (ad. es. tra FIAT e Olivetti), si potevano verificare i maggiori livelli di salario in Olivetti, oltre a la differenza di servizi sociali e culturali come quantità e come qualità tra le due realtà produttive. Questo per dire che si parla non di un bel sogno, ma di un reale storia industriale che si è realizzata per molti decenni.

Questa lunga premessa vuole introdurre la desolazione del mondo del lavoro anche ad Ivrea. Lì dove dovrebbero esserci gli eredi di quell’esperienza olivettiana, proprio nei Palazzi Uffici di via Jervis, da tempo si stanno verificando condizioni di lavoro che rasentano la schiavitù. In particolare, ma non solo, in Comdata dove i lavoratori sono trattati come macchine da accendere e spegnere a piacimento, con orari di lavoro che non sono più tali perché viene chiesto ai lavoratori, inquadrati con i famosi contratti di somministrazione, di lavorare tre ore al mattino e poi “di rimanere nei paraggi” (letteralmente!!) perché dopo alcune ore potrebbe darsi che ci sia ancora bisogno…
Qualche settimana fa in Comdata S.p.A. i dipendenti hanno ricevuto l’ordine di utilizzare le ferie per calmierare i cali di commesse. Ora, le ferie sono una conquista dei lavoratori create apposta per il recupero psico-fisico dei dipendenti ancor più se sottoposti allo stressante lavoro dei call-center che molti sociologi oggi definiscono la nuova “catena di montaggio” (ricordate “Tempi Moderni” di Chaplin?). Già in altre occasioni l’azienda aveva chiesto (appunto, non ordinato) ai lavoratori di utilizzare ferie per sostenere i cali di commesse, e molti lavoratori, su base volontaria, avevano aderito alla richiesta. Ma questa richiesta cosi indisponibile al confronto fin da subito si era ritenuta portatrice di novità ben più gravi.

Ed è stato proprio così. Pochi giorni dopo si è appreso che TIM sta riducendo le commesse verso Comdata in modo importante. Questo ha comportato immediatamente il mancato rinnovo di tutti i contratti interinali e un inasprimento nell’obbligo di effettuare ferie arretrate. E intanto hanno cominciato a girare le prime voci di licenziamento anche dei lavoratori a tempo indeterminato, qualcuno parla di 150 lavoratori a rischio.
Si giunge così all’epilogo, almeno fino ad oggi: TIM prosegue nella sua politica che favorisce solo l’ambito finanziario, degli azionisti, riducendo il piano industriale degli investimenti dal 25 al 19% rispetto ai ricavi e scarica i costi di un’assente strategia di sviluppo industriale sui lavoratori con contratti di “solidarietà espansiva, art. 4 Legge Fornero”, previsti peraltro non come ammortizzatori sociali ma come incentivo alle assunzioni giovanili, dunque qui citati fuori dal perimetro della legge.

Quindi la condizione di crisi si sta estendendo dai lavoratori di Comdata a quelli di TIM. Le operazioni finanziarie e di separazione della rete infrastrutturale dai servizi creerà due aziende, ma con quali ricadute occupazionali?
A queste domande centrali per la vita di migliaia di persone, anche nel Canavese,non sarà possibile rispondere senza un atteggiamento diverso da parte delle società che devono immaginare nuove soluzioni produttive che tengano conto anche di positive ricadute occupazionali. La remunerazione finanziaria non può essere l’unico obiettivo. Sembrano finiti i tempi di “un impresa responsabile”consapevole delle responsabilità verso i lavoratori e la Comunità, ma è necessario e possibile riportare l’attenzione al mondo del lavoro, coinvolgere e provocare le persone e le istituzioni.

Faremo la nostra parte continuando il lavoro svolto ad Ivrea dalla Consigliera regionale Francesca Frediani e dalla neo eletta al parlamento Jessica Costanzo.

Massimo Fresc