Il peso della gratitudine

Cronache elementari

Quando ero una bambina e ancora non sapevo che avrei fatto la maestra, ero un’assidua e fervente frequentatrice della messa domenicale. Adoravo i canti di chiesa, alcuni più di altri, e, già allora, delle canzoni mi colpivano soprattutto le parole, quasi incomprensibili, a volte
dolcissime, altre stranissime.
Uno dei canti che più mi stupiva s’intitolava Un piccolo gesto d’amore. Mi ripetevo nella mente il ritornello che diceva: Quante volte crediamo di dare e diamo il di più! Invece l’amore vero è un taglio sul vivo: è dare la vita. Che terribile esagerazione!
Come si poteva dare la vita ogni volta che si amava qualcuno?! Non eravamo mica tutti come Gesù, disposti a morire per amore degli altri!
In queste ultime settimane mi è capitato spesso di ripensare a quelle parole. C’è un termine inglese di uso recente: Mansplaining. Deriva dall’unione di ‘man’ (uomo) e ‘explaining’ (spiegare) e indica l’abitudine da parte di alcuni uomini di spiegare un concetto ad un’interlocutrice femminile utilizzando edulcorati toni bonari e paternalistici, volti a fingere un atteggiamento politicamente corretto, con la presunzione (quasi mai fondata) di essere maggiormente ferrati e qualificati di lei sull’argomento. Il termine è nato nel 2008 e ricalca il titolo
di un saggio di Rebecca Solnit, dal titolo “Men Explain Things To Me”, nel quale l’autrice racconta l’ormai celebre episodio in cui un uomo pretende di darle lezioni sul tema del processo di industrializzazione del Far West consigliandole di leggere sul tema un libro, la cui autrice era
la stessa Solnit.
Il termine è diventato nel tempo molto popolare, utilizzato per descrivere situazioni che non è sempre facile rilevare e far notare. Ho riflettuto su questo tema qualche settimana fa, quando ho accompagnato mio padre ad una visita specialistica: il dottore, che entrambi vedevamo per la prima volta, ci ha più volto sottolineato, con tono fintamente gentile ed accondiscendente, che avevamo portato con noi più copie identiche degli stessi esami medici, ci ha addirittura domandato se avessimo intenzione di tappezzare la casa con tutti quei fogli di fotocopie e, ancora mentre ci salutava, alla fine della visita, ci ha invitato a fare più fotocopie del referto che ci aveva appena lasciato, per non perdere l’abitudine. Ho pensato che spesso una reale o presunta superiorità di ruolo o di cultura spinge a trattare male gli altri, con l’apparente
intenzione di aiutarli o, peggio ancora, di educarli. Forse il termine Mansplaning andrebbe ampliato: si dovrebbe parlare di Doctorsplaning, o di Teachersplaning. È un rischio, infatti, che corriamo anche con i nostri bambini, come genitori e come insegnanti: il rischio di fingere di far
evolvere qualcuno attraverso le nostre azioni e parole, mentre in realtà contemporaneamente lo schiacciamo e lo facciamo sentire inferiore. E ho pensato a tutto questo quando Juri, arrivato da un mese in Italia dall’Ucraina, si rifiutava di dire grazie, nonostante i ripetuti inviti che lo
invitavano ad essere più educato. Ho pensato a come mi sentirei se dovessi ringraziare qualsiasi sconosciuto, ogni giorno, perché mi dà cose che per me era normale e giusto avere nella mia vita quotidiana, nella mia casa, nella mia scuola, nella mia terra. E che comunque non
sono quelle, non sono le mie.
Forse anche io, come Juri, mi rifiuterei di ringraziare. D’altronde, bisogna davvero ringraziare per un dono? Anche quando il dono è una piccola restituzione di ciò che le circostanze della vita mi hanno tolto e che all’altro non costa nulla dare? Ed è così
fondamentale ricevere quel grazie?
Non sono più da molti anni un’assidua e fervente frequentatrice della messa domenicale, ma le parole di quel canto mi ritornano spesso in mente e forse, ora, mi sembra di coglierne il vero significato. Quante volte crediamo di dare e diamo il di più! Invece l’amore vero è un taglio sul vivo: è dare la vita.

Betta Dolcemiele – Maestra
Illustrazione di Lucilandus