Il siparietto elettrico della repressione

Sul #taser, l’affidabilità delle forze dell’ordine e l’uso discutibile dei social media.

“Il popolo è minorenne, la città è malata. Ad altri spetta il compito di curare e di educare, a noi il dovere di reprimere!
La repressione è il nostro vaccino! Repressione è civiltà!”
Gianmaria Volonté – Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

Il 21 marzo 2022, oltre a segnare come di consueto l’inizio della primavera, verrà ricordato anche per il debutto del taser, la pistola elettrica stordente, tra le armi in dotazione alle forze dell’ordine a Torino e in altri capoluoghi italiani. La sperimentazione, iniziata per volontà del primo governo Conte attraverso il famigerato decreto sicurezza di salviniana memoria, non era subito andata nel verso giusto, finendo con il ritiro dei 32 taser forniti dall’azienda a causa di diversi malfunzionamenti.
A quasi un anno di distanza però i problemi tecnici sembrano esser stati risolti e l’introduzione del taser nelle strade delle grandi città può avere inizio, insieme alle polemiche che accompagnano tipicamente questo tanto dibattuto oggetto, del quale si parla molto ma di cui sappiamo relativamente poco.
Inizialmente classificato come “arma non letale” dalla Axon Enterprise(ex Taser International), l’unica azienda produttrice che ne detiene il brevetto, è stato successivamente riclassificato come “arma poco letale” (less-lethal weapon), data la concreta possibilità di riportare danni gravi e permanenti o morte, anche con l’arma depotenziata.
L’effettiva pericolosità del taser rimane tutt’oggi difficile da delineare, in parte per i tentativi della stessa Axon di corrompere i ricercatori, ma anche perché i dati arrivano quasi tutti dagli Stati Uniti, dove l’arma è in dotazione alle forze di polizia ormai dall’anno 2000.
Innanzitutto la potenziale letalità si alza quando si sposta l’uso del taser da un ambiente di sperimentazione protetto a un uso reale su strada, dove la concitazione del momento rende più complicato direzionare gli elettrodi, che rischiano di colpire il volto o altre parti sensibili al posto del torace, tenendo anche in considerazione la facilità con la quale il taser tende a dare molteplici scariche con un solo utilizzo. A questo si aggiungono lo stato di agitazione, problemi cardiaci pregressi o situazioni che portano a una maggiore frequenza cardiaca di base, come l’uso di droga o il praticare uno sport, tutte condizioni che aumentano il rischio di mortalità.
Secondo Amnesty International, dal 2000 a oggi almeno un migliaio di persone sono morte per l’uso di quest’arma nei soli Stati Uniti, ma il numero reale rimane inconoscibile per varie ragioni, prima fra tutte la cosiddetta morte per “excited delirium”: questo termine è stato utilizzato negli USA dai coroner come causa di morte ufficiale per moltissimi casi di decesso dopo l’uso del taser. Si tratterebbe di una condizione di estrema agitazione, una sorta di overdose di adrenalina dall’esito fatale. Peccato che questa condizione non sia presente in nessun manuale di medicina e sia oggi classificata come pseudoscienza dalla World Healt Organization e dalle associazione di medici e psichiatri statunitensi, ma sia stata comunque diagnosticata post-mortem a un grandissimo numero di giovani uomini, la maggior parte dei quali non bianchi.
Questo porta alla seconda grossa problematica del taser, il suo elevato potenziale d’abuso. Condannati come strumento di tortura da Amnesty International, non sono rari i casi di abuso dei taser da parte delle forze dell’ordine: a differenza di un semplice manganello o dell’uso della forza fisica, il taser non lascia segni evidenti. Parrebbero inoltre che l’uso della forza da parte della polizia dotata di taser aumenta fino al 48%, anche quando soluzioni non violente come cercare di far ragionare verbalmente il soggetto sarebbero state la scelta più logica. Pare inoltre che gli agenti visibilmente dotati dello strumento siano proprio quelli maggiormente esposti alle aggressioni rispetto a quelli disarmati, mentre le persone più facilmente colpite da taser siano quelle in stato confusionale, sia per problemi mentali che perché sotto effetto di sostanze.
La domanda che dovrebbe sorgere spontanea a questo punto è la seguente: possiamo davvero fidarci delle nostre forze di polizia al punto da considerare il taser un utile deterrente meno letale di una pistola, o dobbiamo aspettarci che questo strumento porterà con sé dagli Stati Uniti il suo pesante bagaglio di abusi di potere, violenza e torture, peggiorando ulteriormente la situazione sociale già degradata delle zone più povere?

Un elevato potenziale d’abuso

Proprio in questi giorni è stato chiesto il giudizio per i 25 imputati del personale del carcere del quartiere Vallette (Lorusso e Cotugno) di Torino, ai quali si contestano i reati di maltrattamenti, violenze e, per la prima volta, tortura nei confronti dei detenuti avvenuti negli ultimi 6 anni. Non si parla di mele marce, ma di un vero sistema di insabbiamenti e omertà in stile mafioso, nel quale erano coinvolti tutti, dalle guardie carcerarie ai vertici del carcere. È soltanto un esempio, non certo l’unico. Episodi di abusi da parte delle forze di polizia sono presenti nella città di Torino e si ritrovano in un po’ tutti i campi, dall’antidroga alla Digos, nei Cpr e durante i TSO. La situazione, allargando lo sguardo da Torino al resto d’Italia, non migliora.
A onore del vero bisogna dire che tutto il dibattito preesistente riguardo al taser ha avuto un peso anche qui in Italia: nel concreto le sale operative delle forze dell’ordine dovranno mettere in preallarme la centrale del 118 per ogni evento in cui sarà inviata una pattuglia con taser a bordo, cosicché nel momento in cui il taser dovesse essere utilizzato per davvero, potrà intervenire un mezzo di soccorso. Una soluzione che ha suscitato non poche perplessità, lasciando scontenti sia i sostenitori che i detrattori dell’arma, e che ha tutto l’aspetto di un pasticcio burocratico all’italiana, ma che permette comunque allo Stato di mettere le mani avanti rispetto ai possibili abusi e a eventuali morti da taser.

Un hashtag di troppo

Chi invece non sembra stare trattando la questione con la giusta delicatezza è la “nostra” Virginia Tiraboschi, senatrice di Forza Italia eletta per il collegio di Piemonte 1 e “santa patrona” della giunta eporediese. Con un post su Facebook tanto candidamente feroce quanto la linea del suo partito, la senatrice sottolinea la necessità di intensificare i controlli della polizia sul territorio, poiché “l’aggravarsi della situazione economica farà precipitare il tessuto sociale, che a un impoverimento eccessivo reagirà con la violenza”, concludendo il tutto con un bel “#taser”.
Se ne dia atto alla senatrice Tiraboschi: il contenuto del post in quanto ad analisi è incontestabile. Il tessuto sociale si va disgregando, la povertà sia economica che culturale prima o poi porta sempre all’innalzarsi dei crimini e della violenza. È quasi una legge sociologica e il nostro paese non fa eccezione: l’abbiamo visto con la recente ondata di arresti nei confronti di giovani e giovanissimi, a Torino e non solo. Si parla non a caso delle fasce più fragili, che percepiscono prima e in maggiore misura, sia economicamente che umanamente, l’arrivo della crisi: giovani, spesso stranieri, sicuramente poveri, arrestati per furti, rapine e a volte pure stupri e molestie di gruppo. Insomma, non certo insider trading.
La soluzione a questo problema proposta dalla senatrice è quindi perfettamente in linea con la filosofia del suo partito e in generale della destra: all’aumentare del degrado sociale si risponde sempre e solo con la repressione; se poi questo non farà che peggiorare le cose portandoci in una spirale di violenza senza uscita meglio ancora, un’altra azienda monopolista potrà vendere i suoi giocattoli elettrici e gli elettori continueranno a votare per un’illusione di sicurezza.
Ci sarebbero anche soluzioni diverse a questo problema, come provare a diminuire il divario sociale, proteggere le fasce socialmente più deboli della popolazione, reinvestire su cultura, sanità e istruzione pubblica, tutte soluzioni tanto belle quanto economicamente ed elettoralmente sconvenienti e assolutamente contrarie all’ideologia reazionaria di Tiraboschi.
Non è quindi il contenuto del post che dovrebbe stupire. È quel finale, quel “#taser”. Un finale che lascia un misto di orrore e divertimento, come l’umorismo di una commedia nerissima. Una rappresentazione grottesca ma efficace della realtà che ci aspetta, dove le immagini di poveracci, criminali e pazzi elettrificati in mezzo alla strada da poliziotti sottopagati scorrono sullo sfondo, mentre una signora ben vestita incita al massacro sui social. Ma sempre con una bella foto e un paio di hashtag, non troppi, quelli giusti, che la comunicazione oggi è tutto.

Lorenzo Zaccagnini