Imparare da un virus!

I tanti insegnamenti che possiamo trarre dal virus COVID-19

Dunque un’entità invisibile, un virus (‘veleno‘ in latino) sta fermando il mondo. Per vederlo dobbiamo usare almeno un microscopio elettronico, o i raggi X, o la risonanza magnetica nucleare (NMR), solo questi strumenti permettono all’occhio umano di vedere oggetti delle dimensioni di qualche nanometro (un miliardesimo di metro). Le sue dimensioni infatti sono più piccole di un batterio e appena più grandi di una proteina. Sappiamo ancora poco di questa entità scoperta dagli umani solo nel 1892, grazie agli studi di un biologo russo su una strana malattia delle piante di tabacco (Britannica, 2020; Ovcharov, 1952). Gli scienziati dell’evoluzione però ci dicono che i virus sono molto più “vecchi” di noi umani: loro sono in circolazione da più di tre miliardi di anni, noi da appena due milioni di anni; eppure loro hanno bisogno di noi per evolversi, hanno bisogno di un organismo che li ospiti per moltiplicarsi. La loro essenza è “pura informazione”, lunghe catene di molecole che trasportano materiale genetico che per replicarsi ha bisogno delle cellule di altri organismi: “… i virus obbediscono a un imperativo darwiniano primordiale: moltiplicarsi, fare copie di se stesso finché può” (Pievani, 2020).
Gli umani sono l’organismo ideale: siamo ormai quasi otto miliardi di persone sul pianeta Terra e ci spostiamo dappertutto a velocità crescenti: ormai in un solo giorno si contano oltre 200.000 mila voli aerei, oltre 30 milioni di persone che si spostano in 24 ore! (FlightRadar2, 2018; GreenMe, 2018).
Abbiamo inventato mezzi di trasporto di massa e viviamo in megalopoli in crescita dove vive il 60% della popolazione mondiale, insomma abbiamo creato l’ambiente ideale per l’imperativo darwiniano dei virus. Come se non bastasse abbiamo distrutto interi ecosistemi e cacciato animali esotici, dove i virus convivevano da miliardi di anni, e questa è stata una pessima idea perché in questo modo aumentano le probabilità del “salto di specie” da animale a uomo (Pievani, 2020).
Homo sapiens dovrebbe avere una possibilità in più: la capacità di imparare dalle esperienze. Cosa ci insegna questo virus?

1. La sanità è un’infrastruttura critica, non un mercato

Forse è utile ricordare che fin dal 1947 la Costituzione Italiana “… tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti” (art.32). Come pure dal 1948 la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, stabilisce che “… ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari” (art.25). E i diritti umani non sono commerciabili: una sfida come quella dei virus richiede un’infrastruttura sanitaria robusta e pubblica. Richiede preparazione, coordinamento, pianificazione e, in caso di emergenza, la capacità di prendere decisioni e di aumentare gli sforzi rapidamente. Solo un sistema dove collettivamente investiamo il massimo può aiutarci: “…l’emergenza che stiamo fronteggiando ha messo in evidenza l’importanza di un solido Sistema Sanitario Nazionale, diffuso territorialmente, qualitativamente e quantitativamente omogeneo” (Capriati, 2020).
Allora possiamo imparare da questo virus che le scelte politiche degli ultimi decenni di tagliare la spesa sanitaria pubblica sono state poco lungimiranti e che la sanità va invece considerata un’infrastruttura pubblica essenziale per un paese. Nel 2017 l’Italia ha speso in sanità 2.483 Euro procapite, molto al di sotto della Germania che spende oltre 4.000 Euro e sotto la media europea di 2.884 Euro (EU, 2019).
Passata l’emergenza, che vede tutte le strutture e il personale sanitario sollecitati all’estremo, dovremo fare tesoro di questa esperienza e riflettere su nuove strategie e priorità di investimenti. Ad esempio: ha ancora senso spendere 50 miliardi per l’acquisto di aerei da guerra come gli F35? (Liverani, 2019).

2. I virus non hanno i passaporti

Un altro importante insegnamento dovrebbe essere quello di iniziare a ripensare le nostre piccole nazioni, i nostri staterelli con i loro confini. Molti di questi sono ancora quelli della pace di Vestfalia (1648). Si pensa davvero di poter affrontare sfide come questa del coronavirus senza un minimo di coordinamento globale? Ognuno da solo?
Gli umani, forse troppo lentamente, stavano finalmente rendendosi conto che l’allarme lanciato nel 1972 dal Club di Roma andava raccolto: una crescita infinita è impossibile su un pianeta finito (Meadows e al., 1972). I primi segnali di una nuova sensibilità, soprattutto tra le giovani generazioni, stavano emergendo proprio in questi mesi: il cambiamento climatico è strettamente correlato con la rivoluzione industriale e con l’utilizzo massivo di fonti fossili come combustibili, che a sua volta aumenta ad una velocità mai vista la concentrazione di gas­serra come la CO2. Un problema come questo richiede un coordinamento a livello planetario per essere affrontato.
Qualche segnale di allarme era arrivato anche sul fronte dei virus: il rischio di pandemia era già emerso nel 2006, con il virus H5N1 del 2006 (“aviaria“). Ora, improvvisamente ci troviamo di fronte ad una nuova emergenza storica e di dimensioni globali: il covid­19 o coronavirus. In pochi giorni questo nuovo virus si è diffuso su scala planetaria. Come i gas­serra, i virus non hanno bisogno di passaporti per viaggiare.
Da questo shock collettivo possiamo imparare a superare le barriere che abbiamo eretto negli ultimi secoli, barriere che spesso servono solo a mantenere sottomessi i popoli ai quali abbiamo depredato le loro risorse naturali. Riconoscere che questo benessere e le barriere erette per mantenere le differenze hanno costi umani e ambientali ormai insostenibili. Trenta annni fa si festeggiava la Caduta del Muro di Berlino, da allora abbiamo eretto migliaia di chilometri di nuovi muri: tra Europa e Africa, tra USA e Messico, tra Israele e Palestina. Nel 2018, gli esseri umani (quelli che ereggono muri) hanno speso 1.822 miliardi di dollari in armi (SIPRI, 2019). Di fronte a sfide globali come il cambiamento climatico e i virus, possiamo ancora permetterci di spendere queste enormi risorse in armamenti?
Superare le barriere significa avviare progetti congiunti di collaborazione, “progetti senza frontiere” per iniziare a condividere con i nostri vicini di pianeta il benessere raggiunto.
Ad esempio, un coordinamente globale minimo per il coronavirus lo chiede, e molto velocemente, l’Organizzazione Mondiale per la Sanità (WHO).

3. La conoscenza si moltiplica donandola

Una delle aree di ricerca necessarie per capire meglio come affrontare i virus è sicuramente la ricerca biomedica. Dalla comprensione dei meccanismi di diffusione e di scatenamento di malattie alla possibile individuazione di rimedi farmacologici, la ricerca scientifica può aiutare ad affrontare queste sfide.
Stati e aziende farmaceutiche vanno ancora avanti in ordine sparso, eppure già nel 2006 l’epidemia del virus dell’aviaria ci aveva già fatto capire, anche grazie alla scienziata Ilaria Capua, che rendendo pubbliche le sequenze geniche dei virus, tutti possono collaborare alla ricerca più facilmente, è la cosiddetta scienza open­source (Bogner e al., 2006). Le aziende farmaceutiche sostengono che la conoscenza per produrre i medicinali richiede grandi investimenti in ricerca che per essere ripagati richiedono di tenere alti i prezzi dei farmaci. Ma chi l’ha detto che la ricerca farmaceutica (e medica in generale) debba essere privata? Se davvero i costi per acquisire questa conoscenza sono così elevati allora perché non cambiare modello passando da un modello basata sulla competizione ad uno basato sulla collaborazione?
Una cosa analoga avviene già nella ricerca in fisica, dove nessun paese da solo riuscirebbe a costruire un laboratorio come il CERN di Ginevra diretto dalla scienziata Fabiola Gianotti. Qui nel 1952 venne fondato il più grande laboratorio al mondo in fisica delle particelle dove persone da tutto il mondo portano avanti ricerche in modo collaborativo, coscienti di rappresentare la frontiera di secoli di studi precedenti.
Perché non adottare un modello simile per la ricerca farmaceutica? Cooperare su scala globale per condividere conoscenze e persone esperte, per studiare questi virus, per predisporre opportune precauzioni ed eventualmente trovare anche risposte farmacologiche?

4. Tutto è connesso

Un grande insegnamento dovrebbe essere quello di iniziare a pensare il pianeta (e noi con esso) come un grande sistema complesso dove gli umani non sono più i padroni ma uno dei tanti nodi di una fittissima rete di interconnessioni. La conoscenza non deve più essere quella dei tempi di Francis Bacon (1561­ 1626), uno strumento per dominare la natura, ma uno strumento per capire sempre meglio come convivere in armonia con essa, e per capire l’importanza delle interrelazioni piuttosto che concentrarsi sulle singole entità. In un sistema complesso disconnettere una componente, magari per studiarla meglio, comporta la distruzione del sistema complesso stesso. In natura i confini non esistono, tutto comunica con tutto e molti processi naturali attraversano normalmente più organismi. Un esempio recente: in India negli allevamenti veniva usata una sostanza chimica come antinfiammatorio, il diclofenac, che però restava presente nelle carcasse degli animali una volta morti. Le carcasse venivano mangiate dagli avvoltoi che morivano avvelenati. La scomparsa degli avvoltoi ha portato all’aumento improvviso dei cani inselvatichiti che a loro volta sono i principali portatori del virus della rabbia per l’uomo (WWF, 2020).
Essere parte di una rete comporta anche vulnerabilità, ad esempio, permette ad un messaggio o evento di diffondersi molto velocemente indipendentemente dalla distanza! (“vulnerability due to interconnettivity“). La scienze delle reti e della complessità ci sta aiutando a migliorare la distribuzione dell’energia e nello stesso tempo a capire come rallentare la diffusione di virus (Barabasi, 2020).

5. La tecnologia aiuta, usiamola con saggezza

In questa emergenza possiamo anche imparare ad usare con saggezza le tecnologie informatiche.
Ad esempio all’Ospedale di Chiari, tra Brescia e Bergamo, mancavano valvole per i respiratori, la ditta fornitrice non riusciva a soddisfare le richieste, allora hanno deciso di costruirsele con le stampanti 3D e con l’aiuto di tecnici, le hanno provate e sembrano funzionare. Il brevetto che le proteggeva è stato giustamente ignorato (Bauducco, 2020).
Sicuramente in questi giorni di quarantena scopriamo che molti degli spostamenti quotidiani potrebbero essere normalmente evitati. Le tecnologie informatiche entrano in gioco nelle due sfide globali che abbiamo di fronte: ci stanno aiutando ad affrontare la sfida del coronavirus mantenendo i contatti con le persone a noi care e, nello stesso tempo, ad affrontare le sfide del cambiamento climatico. Infatti possiamo ripensare a molti processi lavorativi che possono essere de­materializzati. Le ultime stime dicono che “muovendo bit invece che atomi“, nel 2030 potremmo risparmiare circa 6 Gton di CO2 sul totale di 43 Gton di CO2 emesso in atmosfera nel 2019 (Harvey e Gronewold, 2019). Questo ovviamente se avviamo subito progetti in questa direzione entro il 2030 (GESI, 2020).
Molte persone stanno scoprendo che esistono soluzioni informatiche basate su software libero e che garantiscono una gestione corretta dei nostri dati. Alcuni esempi: tutanota.com come posta elettronica, al posto delle mail controllate dai titani del Web; signal per la messaggistica su smartphone, al posto di whatsapp controllata da facebook; riot o la semplicissima app jisti per la videoconferenza. Oppure jami.net per una videoconferenza peer­to­peer, senza server in mezzo, collegandosi direttamente tra persone.
Stiamo sperimentando, in molti casi per la prima volta, la didattica a distanza per scuole e università, ma se l’intero pianeta si connette ai server dei titani del Web, possono crollare anche questi, come sta succedendo in queste ore. Allora scopriamo che non è necessario essere in videoconferenza live per fare una lezione, possiamo registrarla o caricare il materiale didattico e lasciarne libera la fruizione quando è più comodo, senza sovraccaricare la rete con innumerevoli accessi simultanei.

Scopriamo la possibilità di ri­distribuire, de­centralizzare quello che è stato centralizzato sul Web: possiamo installare su un server locale il software libero per videoconferenze e ambienti di collaborazione a distanza, per le scuole e per il lavoro, riprendendo nelle nostra mani il controllo dei dati e dei sistemi. Certo resta il collo di bottiglia della rete telefonica, anch’essa a rischio di saturazione. Ma questo aprirebbe un discorso ancora più vasto sulla necessità di ri­prendere il controllo pubblico dell’infrastruttura telematica che la stagione delle privatizzazioni degli anni ’90 ha messo sul mercato. In questi momenti emerge la necessità di ri­considerare la rete telematica come infrastruttura critica essenziale per un paese, come bene comune; il mercato può ovviamente offrire servizi ma “al di sopra” di essa.
Stiamo scoprendo anche l’importanza dei dati che possono aiutarci ad affrontare questa emergenza virus: i primi risultati pubblicati da un team di ricercatori che studia i sistemi complessi, ci dicono che gli italiani stanno rispondendo bene e in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale alle restrizioni sulla mobilità, e questo sicuramente aiuta a rallentare l’epidemia (Pepe e al., 2020).

Nel 1836, il poeta Leopardi, nel canto La ginestra, suggeriva di cambiare prospettiva come umani: la Terra e noi con essa siamo un punto infinitesimo nell’immensità dell’universo. Di fronte alle sfide della natura gli umani possono solo unirsi in “social catena” per affrontare meglio le minacce globali e per far cessare le sopraffazioni e le ingiustizie della società (Leopardi, 1836).
La speranza è quella di fare un grande salto cognitivo collettivo: imparare da un virus!

Norberto Patrignani

Riferimenti
– Barabasi, A,L.(2020). Network Science.
– Bauducco, S. (2020, 15 Marzo). Coronavirus, nel Bresciano mancano valvole per respiratori: ingegnere ne stampa 100 in 3d. Coperte da brevetto? Non possiamo fermarci. Il Fatto Quotidiano.
– Bogner, P., Capua, I., Lipman, D.J., Cox, N.J. & al. (2006). A global initiative on sharing avian flu data
, Nature, v.442, p.981.
Britannica (2020), Dmitry Ivanovsky (1864­1920), Russian microbiologist.
– Capriati, M. (2020, 12 Marzo). Insalubri disuguaglianze. Coronavirus e sanità.
– EU (2019). State of Health in the EU ­ Italia.
– Flightradar24 (2018). The Busy Summer Skies, Continuing to Break Flight Tracking Records. Flyghtradar24.
– GESI (2020). Global e­sustainability initiative.
– GreenMe (2018, 17 Luglio). Record di aerei nel cielo, oltre 200mila in un solo giorno. Ecco perché non è una buona notizia. GreenMe.
– Harvey C., Gronewold N. (2019, 4 Dicembre). CO2 Emissions Will Break Another Record in 2019. Scientific American.
– Leopardi, G. (1836). La ginestra, o fiore del deserto. Canti.
– Liverani, L. (2019, 19 Novembre). Spese militari. F35, passa la mozione della maggioranza che approva il programma. Avvenire.
– Meadows, D. H., Meadows, D. L., Randers, J., & Behrens, W. W. III. (1972). The limits to growth. A report for the Club of Rome’s project on the predicament of mankind. Universe Books.
– Ovcharov (1952), Dmitry Iosifovich Ivanovski 1864­1920. Accademia delle scienze dell’U.S.S.R.
– Pepe, E., Bajardi, P., Gauvin, L., Privitera, F., Cattuto, C., Tizzoni, M. (2020, 13 Marzo). COVID­19 outbreak response: first assessment of mobility changes in Italy following lockdown, COVID­19 Mobility Monitoring project.
– Pievani, T. (2020), L’editoriale. Coronavirus: uno sguardo evoluzionistico, Il bolive, Università di Padova.
– SIPRI (2019), Stockholm International Peace Research Institute ­ SIPRI Yearbook 2019.
– WHO (2020), World Healt Organization
– Pratesi, I. (a cura di) (2020, Marzo). Pandemie, l’effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi. Tutelare la salute umana conservando la biodiversità. WWF Italia.