In attesa che la luce si rincontri con il buio

In attesa della riapertura dei cinema, quando la luce del proiettore tornerà a incontrarsi con il buio della sala, non rinunciamo ad ampliare la nostra cultura cinematografica. In questo periodo di isolamento e segregazione, sicuri che ormai abbiate dato fondo a quella lista di film che vi ripromettevate di vedere quando ne aveste avuto il tempo, vi veniamo in soccorso con questa rubrica settimanale di consigli cinematografici. Buio in sala e… buona visione!

Pelle (Pieles)

Regia: Eduardo Casanova
Catalogo: Netflix
Paese: Spagna
Anno: 2017

Eduardo Casanova, regista emergente ed enfant prodige del panorama spagnolo, dirige questa piccola perla sconosciuta del catalogo Netflix: riprendendo la tradizione “corale” tipica del cinema iberico, Pelle racconta le storie di persone affette da gravi deformazioni fisiche o terribili patologie mentali, vite destinate ad intrecciarsi tra loro.
Un’opera tanto estrema e disturbante nelle immagini quanto sensibile nelle riflessioni dove è il corpo il vero protagonista, la vera tematica centrale sviluppata sia nella sua accezione di deformità della carne, in maniera che non può non ricordare David Cronenberg, sia come riflessione sui temi dell’accettazione del corpo, proprio e altrui, e dell’autodeterminazione di esso.
Il binomio perfezione- imperfezione permea tutto il film donandogli un’atmosfera surreale: le scenografie sature di rosa in ogni possibile sfumatura e la maniacale ricerca della simmetria nell’inquadratura richiamano le atmosfere di Wes Anderson, in contrasto con i deformi protagonisti, appena usciti da un film di Edward Lynch, ineluttabilmente asimmetrici e impossibilitati a raggiungere quella perfezione che risulta, in fin dei conti, soltanto un’immagine illusoria.
Uno dei grandi pregi della pellicola sta proprio nella caratterizzazione e nell’approfondimento dei tanti protagonisti, personaggi mai appiattiti sulla loro deformità ma tridimensionali, persone vere con pregi, difetti, desideri e paure, in cui è fin troppo facile identificarsi. Un’impresa notevole considerando anche l’insolita breve durata del film (appena 77 minuti), in controtendenza rispetto al panorama internazionale del cinema d’autore, forse per questo ancora più interessante, una prima opera originale e coraggiosa di un regista giovane da tenere d’occhio.
In un continuo altalenare tra la commedia grottesca e il dramma, Pelle risulta un film tanto crudo ed estremo quanto delicato e intimista, una riflessione sul corpo e sulla diversità, sull’amore che tutti desideriamo ma che non possiamo ricevere se non impariamo prima ad amare e accettare noi stessi, ma anche su come l’orrore vero si nasconda dentro di noi, dietro un volto all’apparenza normale.

Collateral

Regia: Michael Mann
Catalogo: Amazon Prime
Paese: U.S.A
Anno: 2004

Max (Jamie Foxx) fa il tassista di notte: carica le persone, le accompagna dove vogliono e nel frattempo ci scambia due chiacchiere. È un sognatore e ci tiene a farlo sapere al mondo. Una sera sul suo taxi sale Vincent (un Tom Cruise brizzolato inedito nel ruolo di cattivo), il quale in cambio di una cospicua sommetta lo ingaggia per tutta la notte. Già alla prima tappa però, Max si rende conto che il suo passeggero è un sicario e che lui è diventato suo complice. Quella pistola puntata contro il sedile, del resto, non gli lascia poi molte alternative…
Un vero cinefilo prova un sentimento libidinoso per i film in pellicola: c’è quel qualcosa di palpabile, sporco e allo stesso tempo orgastico. Come un’opera di Burri. Ma un cineasta non può che abbracciare la modernità, l’evoluzione della tecnologia, e credetemi: c’è qualcosa di lussurioso anche nel digitale.
Michael Mann ne è consapevole, ed utilizza il digitale per riprendere la frenetica corsa di Max e Vincent, dal tramonto fino all’alba. Ed è proprio la notte la vera protagonista di Collateral: con i suoi lampioni, con i fanali delle auto, con le insegne al neon delle discoteche e con le fredde luci della metropolitana; la notte, che con quel rumore figlio della grana acquista un’organicità iper-realista, permettendoci di vedere (e vivere) le stesse cose che vedremmo se fossimo su quel taxi.
Collateral è un film che smette di essere film (la parola “film”, lo ricordiamo, significa “pellicola”; ma cosa ne rimane della pellicola, se giriamo in digitale?), e proietta l’esperienza cinematografica verso un futuro che ormai è presente, dato che dal 31 dicembre 2013 la pellicola (pace all’anima sua) è ufficialmente morta.
Ancora una volta Michael Mann, abile sperimentatore, si dimostra un precursore, ed apre la strada alle immense possibilità del nuovo mezzo cinematografico, che superata l’iniziale reticenza si rivela ricco di potenzialità.
Il film vanta inoltre due interpretazioni spettacolari, un cameo di Jason Statham e una sceneggiatura brillante, fatta di scene d’azione alternate a dialoghi filosofici e nichilisti. Se le scene d’azione sono per tutti, i dialoghi potrebbero risultare ostici per qualcuno. Ma direi che oltre al nichilismo, dopo un mese di quarantena, non ci resta poi molto.

La proprietà non è più un furto

Regia: Elio Petri
Catalogo: Raiplay
Paese: Italia
Anno: 1973

Film conclusivo della “trilogia della nevrosi” di Elio Petri, iniziata nel 1970 con Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (la nevrosi del potere) e continuata nel 1971 con La classe operaia va in paradiso (nevrosi del lavoro), La proprietà non è più un furto porta in scena la nevrosi del denaro.
Fortemente disapprovato alla sua uscita (1973) dalla critica di sinistra dell’epoca, considerato eccessivamente catastrofista e nichilista, risulta invece ancora oggi incredibilmente attuale nella sua riflessione sui concetti di denaro e proprietà, di onestà e furto.
Il da poco scomparso Flavio Bucci interpreta il ragionier Total, impiegato di banca allergico al denaro, che si riscoprirà “marxista-mandrakista”, un ladro politicizzato che ruba solo ciò di cui ha bisogno e mai denaro, iniziando a perseguitare ciò che identifica come simbolo del capitalismo, un ripugnante e disonesto macellaio (interpretato magistralmente da Ugo Tognazzi), cliente di riguardo della banca dove lavora, che possiede molti soldi e una bella amante.
La narrazione è intervallata da monologhi autoriflessivi dei vari personaggi, tutti simboli della nevrosi del capitalismo, donando al film l’impronta criptica e interpretativa tipica del regista. Tutto il film è una discussione dialettica, un continuo attacco al concetto di proprietà che va ben oltre la classica teoria marxista approdando ai concetti di “Avere o Essere” tipici della filosofia di Erich Fromm: la proprietà più che un furto è una malattia.
Ma ancor più che sulla proprietà la riflessione del film si focalizza sul concetto di furto, portando su schermo un vero e proprio elogio del crimine, questo sì di chiara matrice marxista, sia come redistribuzione forzata nella sua forma di esproprio proletario, sia come elemento intrinsecamente necessario per il funzionamento della società: il ruolo sociale del ladro, vero “cavaliere del lavoro” più di qualunque industriale, senza il quale verrebbe meno la funzione della polizia e quindi dello Stato stesso.
Un film grottesco e cupo, estremo ed estremista, uno sguardo impietoso e una critica tagliente e senza mezzi termini alla società, un tipo di cinema politico coraggioso e sempre attuale di cui in Italia da anni si sente la mancanza.

A cura di Pietro Pedrazzoli e Lorenzo Zaccagnini